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La resistenza del popolo kurdo contro il genocidio

di Giovanni
Russo Spena

L’Unione delle Comunità del Kurdistan (federazione di partiti che si ispirano al confederalismo democratico) il 26 dicembre ha ribadito: “Quello che viene fatto in Rojava da Erdogan non è diverso da quello che viene fatto a Gaza”.
La Turchia, informa il presidente del consiglio esecutivo dell’Aanes, “attacca senza soste le nostre regioni, le infrastrutture, i pozzi di petrolio, le istituzioni… Con questi attacchi vuole rinvigorire l’Isis”. La quale c’è ancora, in piccole cellule, che attaccano, insieme all’operazione militare turca, per disintegrare da anni l’esperienza democratica nata dal confederalismo teorizzato dal fondatore del PKK Ocalan.
“Pensieri che spezzano le sbarre: non potete imprigionare le idee”, così abbiamo intitolato la resistenza del popolo kurdo e la guida intellettuale e politica di Ocalan nella “giornata internazionale dei diritti umani” dello scorso 10 dicembre.
Il tema è centrale nel fondamentale recente libro di Laura Schrader, illustre studiosa della resistenza kurda e del pensiero di Ocalan, cofondatrice dell’Istituto Internazionale di Cultura Kurda. Libro intenso, molto documentato ed emozionante, il cui titolo è Berxwedan, edizione Punto Rosso, con la coinvolgente prefazione di Silvana Barbieri e Rosella Simone, appassionate militanti della Resistenza kurda.
Alla politica di genocidio, alla guerra di annientamento, protetta dallo scudo dell’Alleanza Atlantica, il popolo kurdo resiste. Resiste nei villaggi, nelle carceri turche, nell’organizzazione straordinaria della donne, simbolo di libertà. Resistenza e progetto alternativo sono guidate dal pensiero di Ocalan. Il 9 ottobre ha segnato il venticinquesimo anniversario del viaggio in Europa e in Italia per lanciare il messaggio di pace e democrazia.
Messaggio che l’Europa e l’Italia, guidate da governi vigliacchi di fronte ai ricatti militari ed affaristici della Turchia, non vollero ascoltare, consegnando Ocalan ai suoi torturatori. Le sue idee le impariamo dai suoi scritti, che vediamo sperimentate in Rojava, nelle terre liberate, nei territori che vivono “tempi di speranza”. Quando leggo i suoi scritti , dall’isola/prigione di Imrali, penso alle “lettere dal carcere” di Gramsci, strumento fecondo di pedagogia democratica di massa. Amo particolarmente “Sociologia della libertà” e “Civiltà e libertà”, un manifesto della cultura democratica. Strumento anche per la nostra ricerca contemporanea.
Ocalan scrive di libertà e democratizzazione, mai di “secessione”. Solo a lui ci si può affidare, anche in vista della necessaria negoziazione (speriamo presto) che viene chiamata “processo di soluzione”. Così come solo Marwan Barghouti libero potrebbe negoziare con autorevolezza e “connessione sentimentale” nel conflitto israelo/palestinese. La tesi fondamentale di Ocalan è, non a caso, quelle di Marx: l’immaginazione ci rende umani. E spiega, con precisi riferimenti storici, alcuni tra i più vitali, creativi, immaginifici movimenti rivoluzionari degli ultimi decenni (pensiamo, ad esempio, agli zapatisti in Chapas) sono stati tra quelli che, nello stesso tempo, hanno usato una comunicazione molto simbolica ed innovativa e, insieme, hanno recuperato una tradizione indigena: terra e libertà. Libertà, tradizione, immaginazione , ci insegna la cultura kurda, devono convivere per un progetto realmente rivoluzionario.
E’ questo intreccio culturale e di lotta che Ocalan chiama “sociologia della libertà” . Essa vive anche di ossimori storici: pensiamo al ruolo e al destino delle donne; artefici della più importante e pervasiva  rivoluzione culturale, eppure violentate ed emarginate. Ocalan presta una attenzione particolare al ruolo delle donne e spiega che tra una cinquantina di anni l’accettazione acritica di sfruttamenti e servilismi di oggi saranno “buttati a mare”. Non vivranno in eterno nelle forme attuali quella che oggi viene chiamata “civiltà”, così come quello che chiamiamo “stato”. Si tratta, infatti, di amalgami spuri di elementi che vivono e vivranno, purtroppo, processi di “deriva totale”. Nelle relazioni di genere, nelle servitù familiari emergono profonde forme di violenza strutturale che rendono complesse le lotte di liberazione.
Speriamo che Ocalan, da uomo libero, possa al più presto guidarci su questo percorso rivoluzionario. Sembra a me di profonda attualità la sua concezione innovativa sul tema della statualità. “La molteplicità etnica e confessionale non deve tradursi in un moltiplicarsi di rivendicazioni nazionaliste , ma nel superamento dello stato/nazione attraverso forme di democrazia diretta”. Il suo “confederalismo democratico” , infatti, è un nuovo paradigma politico e sociale, una soluzione non nazionalista ma egualitaria, contro i settarismi della guerra perenne in Medio Oriente. Con la massima partecipazione popolare.
E’ così che, nella materialità dei processi sociali, pur sotto gli attacchi di una guerra imperialista, viene superata la storica marginalizzazione prodotta dal capitale e dal patriarcato. E’ uno sforzo storico: l’abolizione del patriarcato e, insieme, del potere dominante sui corpi e sulle menti. Concludo con l’ultima frase, molto significativa, della prefazione di Silvana Barbieri e Rosella Simone: “A Berlino, nel 2022, eravamo in 700, arrivate da cinquanta paesi ad ascoltare le proposte di questa rivoluzione democratica che parte dalla martoriata terra di Rojava, dove la rivoluzione delle donne, l’autogoverno, l’autodifesa, la critica e l’autocritica, la messa in discussione della mascolinità tossica, il rispetto di tutte le fedi e di tutti i generi è pratica nel presente. Noi c’eravamo ed è stato come un bagno di speranza e la scoperta di un solido progetto. Donne, vita, libertà”.

Giovanni Russo Spena

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