A costo di sembrare illusi, collaborazionisti, disfattisti, credo che non dobbiamo stancarci di continuare a batterci contro la guerra come strumento per risolvere i conflitti.
Questo ci fa essere naturalmente contro l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ed allo stesso tempo impegnati a comprendere la genesi di quel conflitto e le possibilità di fermarlo.
Stesso discorso vale per Hamas che ha scelto la violenza, terreno meno favorevole alla causa Palestinese visto la potenza militare Israeliana e la mancanza di remore del suo governo.
- Si vogliono convincere i cittadini che non esistono altre vie se non la forza
- Si vogliono definitivamente distruggere le istituzioni sovranazionali e quel tanto di diritto internazionale che le regge , dopo due guerre mondiali, per tornare alla legge del più forte.
- Si sono sabotate iniziative promettenti, come quella che a marzo 2022 poteva vedere quanto meno un cessate il fuoco in Ucraina per arrivare ad un sistema di rassicurazioni reciproche circa la minaccia alla propria sicurezza futura.
- Si sta costruendo un sistema economico-sociale che ha alla base il riarmo ed una competizione mondiale basata sulla produzione militare. I dati sono sconvolgenti a cominciare dall’Europa e siamo solo all’inizio.
Persino la prospettiva ipotetica di raggiungere la pace è fondata sulla guerra. lo stra-citato detto Latino “se vuoi la pace prepara la guerra” è stato sostituito da “ se vuoi la pace fai la guerra”, come interpretare diversamente la recrudescenza del conflitto in Ucraina nel “timore” che il cambiamento nell’amministrazione USA imponga la fine della guerra?
Sul Medio Oriente, poi, la questione Palestinese, non risulta essere al centro di quel conflitto e rischia, ancora una volta, di divenire la vittima di un gioco molto più grande, come si dimostra dall’allargamento dei combattimenti in Siria dove tutti gli opposti interessi si condensano , le due guerre si saldano e compare la questione curda come ulteriore obiettivo da colpire.
La cosa più incredibile e difficile da credere è come la politica si confronta con tutto questo.
Pensando alla sinistra il termine “rimozione” mi pare quello più appropriato, poco si parla e quando si è messi alle strette da voti parlamentari, ci si barcamena come accaduto più volte nelle risoluzioni Europee, da ultimo la settimana scorsa tra voti contrari agli emendamenti e favorevoli alle risoluzioni che li contengono fino a sostenere l’uso delle mine antiuomo o la fornitura di missili capaci di colpire il territorio russo mentre non una parola si spende sulla richiesta di arresto di Netanyahu da parte della CPI.
Tuttavia, anche la parte della sinistra che più coerentemente ha posto la guerra al centro dell’attenzione non ha ottenuto il consenso immaginato.
Su tutto questo c’è da riflettere anche perché sono convinta che il consenso che una parte della destra ottiene in Europa sia legato anche alle posizioni sulla guerra.
Da una parte si avverte nella società una inquietudine legata all’incertezza sul futuro di cui la guerra è parte, dall’altra tutto ciò sembra alimentare comportamenti quali l’astensione dal voto, sempre più evidenti e diffusi.
In conclusione: nonostante gli sforzi meritori di molte associazioni, partiti, singole personalità a cominciare dal Papa, non siamo stati in grado di costruire una politica credibile “contro la guerra”. Ma non dobbiamo pensare che sia impossibile farlo.
L’anno prossimo saranno 50 anni dalla Conferenza di Helsinky sulla sicurezza e cooperazione in Europa.
Era il primo agosto 1975 quando 35 Paesi europei con USA e URSS (Cina osservatore) condivisero un documento alla base di quello che divenne “il dialogo est/ovest.
Se in piena guerra fredda questo fu possibile, è inaccettabile che, a 35 anni dalla caduta del muro la guerra torni in Europa proprio come conseguenza della morte della politica a cui ha contribuito l’UE, per come si è costruita.
Tutto ciò impone una riflessione a partire dal 1989 fino alla crisi dell’unipolarismo USA.
Mentre, a partire dagli anni ’70 il tema di un diverso ordine mondiale sembrava essere presente tra gli orizzonti politici, oggi, che esso è di fronte a noi come una realtà ineludibile, la politica abdica e, quindi la risposta, non a caso, diventa la guerra.
Tornare ad Helsinky vuol dire spazzare via quei luoghi comuni presenti nell’attuale chiacchiericcio che non si può definire dibattito politico, tra cui quello più alto del muro di Berlino secondo cui esisterebbero incompatibilità tra sistemi regolabili solo con la guerra.
Questo compito dovremmo darcelo e riuscire a svolgerlo coinvolgendo quante più realtà possibili e assillando la politica istituzionale perché assuma in pieno le sue responsabilità.