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La nuova Cortina di guerra cambia l’Europa

di Paolo
Morawski

Riprendiamo con lo stesso titolo da poloniaeuropae.it/ –

Il Nuovo Est attacca e si distacca, l’Europa si sposta a est, il Centro esplode, che fa l’Ovest?

A cento giorni dall’inizio della guerra di aggressione coloniale di Putin in Ucraina provo a mettere ordine negli appunti con qualche considerazione personale nel dolore per una guerra assurda e criminale che non si riesce a fermare.

Il centro si è spostato a est. L’Ucraina, nel momento stesso in cui il 24 febbraio 2022 ha fatto irruzione nel nostro quotidiano e continua a condizionarlo, è diventata centrale: per la nostra attenzione quanto per i destini dell’Europa. Anche in Italia, da oltre tre mesi la nostra esistenza direttamente o indirettamente ruota intorno a ciò che accade in Ucraina e a ciò che decide innanzitutto Mosca, poi intervengono Washington e Bruxelles. Spostandosi il baricentro continentale verso est, la Polonia è diventata molto più importante. Ha fatto entrare e accolto nel paese circa 3,7 milioni di profughi ucraini (dati UNHCR) che hanno pacificamente attraversato le sue frontiere, e oltre la metà dei profughi non sono proseguiti altrove, si sono fermati in terra polacca, accolti generosamente dalla popolazione. Un moto di solidarietà mai visto che riguarda tutte le classi sociali. Lo stesso è accaduto in Ungheria nella quale sono entrati circa 690 mila profughi ucraini, in Romania (590 mila), nella Repubblica di Moldova (483 mila) e in Slovacchia (466 mila).

Rispetto alla guerra il primo cerchio di solidarietà, dunque, è composto oltre che dalla Polonia, da Romania, Moldova, Slovacchia. Un secondo cerchio di accoglienza riguarda la Germania (780 mila), la Repubblica Ceca (360 mila). Un terzo cerchio di ospitalità comprende l’Italia (126 mila), la Spagna (110 mila), la Turchia (85 mila) e la Bulgaria (79 mila). L’Ungheria è un caso a parte: ospita i profughi ma non aiuta e non supporta l’Ucraina, al contrario rema contro – spettacolo indecoroso, purtroppo non isolato. I dati forniti dalla Federazione Russa (oltre un milione di profughi ucraini) meriterebbero una riflessione analitica ad hoc.

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Immagini di fonte UNHCR. In azzurro la quantità dei passaggi di frontiera. In verde i singoli rifugiati dall’Ucraina registrati nei diversi paesi

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Immagine: in blu i paesi che il 27 febbraio 2022 avevano immediatamente chiuso il loro spazio aereo alla Federazione Russa.

La Polonia in vario modo cerca di svolgere un ruolo europeo più significativo. È il paese attraverso il quale passano principalmente le armi all’Ucraina. Ed è la Polonia (insieme ad altri paesi dell’est europeo, paesi baltici in testa) che si fa spontaneo difensore della causa ucraina presso l’UE e nelle assise multilaterali, soprattutto in ambito NATO. Tutto ciò ha indubbiamente aumentato la rilevanza polacca agli occhi di USA, NATO, UE. Dall’inizio della guerra Varsavia cerca di instaurare un asse privilegiato con Kyïv. Il nuovo obiettivo a cui già si lavora in Polonia (con la Svezia) è promuovere e aiutare la (prossima?) ricostruzione dell’Ucraina. Tanto di cappello, ma, attenzione! Senza tutta l’UE, senza la spinta propulsiva di Germania, Francia e Italia (quella attuale di Draghi-Mattarella) si farà poco. Ciò per ricordare che gli europei slavi hanno bisogno degli europei romano-germanici. E viceversa.

Resta lo “scandalo” delle polemiche polacche e ungheresi sullo Stato di diritto. Al riguardo l’UE non deve arretrare di un millimetro. E va risolto l’intoppo dei veti incrociati. L’unico modello europeo auspicabile, perché funzionante, è quello a maggioranza.

Gioca a favore del riavvicinamento polacco-ucraino il comune giudizio (quanto mai negativo) sulla Russia e sulla rinnovata competizione geopolitica nell’area compresa tra il Baltico e il Mar Nero. E pure, aggiungerei, un’identica visione molto “nazionale”, per non dire “nazionalista” di quello che si vuole che l’Europa sia. Preoccupa non solo il ritorno del nazionalismo espansivo russo nelle sue attuali forme assassine, ma anche il propagarsi dell’idea che – in Europa – racchiudersi nelle proprie piccole patrie, statualità e lingue sia la soluzione migliore per non avere “rogne” e fare “passare la nottata”. Certamente così “la nottata” non passerà e avremo infinite “rogne”.

Il centro si è spostato, oltre che a est, anche a nord-est. Se l’asse polacco-ungherese non fosse oggi spezzato (a causa delle scelte anti-Ue e anti-Nato e pro-Russia di Budapest) avremmo oggi un tentativo di asse Kyïv-Varsavia-Budapest. Invece la guerra ha rinforzato l’identità di vedute tra Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia. Dell’inclinazione svedese a favore della rinascita ucraina si è già accennato. Con la volontà di adesione di Finlandia e Svezia alla Nato l’area Baltica ha acquisito nuova centralità e “personalità”, come effetto “imprevisto” dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia (vedi). Tra Stoccolma, Helsinki, Tallinn, Riga, Vilnius e Varsavia (da aggiungere Berlino – e pure Copenaghen, Oslo?) si addenserà probabilmente una nuova area di interessi coesivi, basati purtroppo per ora soprattutto su logiche politico-militari, ma già ora anche su comuni problematiche energetiche. È indubbiamente una situazione completamente nuova che corre parallela alla russificazione militarizzata del Mare d’Azov e di parti dell’Ucraina. Il vecchio mondo post 1989-1991 non fa in tempo a finire che già nascono e si rafforzano nuove costellazioni.

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Immagine: Nel 2050 un Baltico più coeso? Scenari europei

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Se ciò che fino a ieri chiamavamo Europa dell’est si è spostato verso est, il 24 febbraio scorso noi italiani-europei occidentali abbiamo preso definitivamente atto del fatto che oltre l’UE c’è un Nuovo Est (NE) che – visto da occidente – comincia dopo l’Ucraina, alle frontiere della Bielorussia (purtroppo per i bielorussi “prigionieri” del regime di Lukašėnka) e poi della Russia (purtroppo per i russi “prigionieri” del regime di Putin) e che comprende disgraziatamente (per ora?) parti dell’Ucraina orientale e marittima conquistate dalla Russia a partire dal 2014 e poi ancora in questo terribile anno 2022. La novità epocale è che la Russia (Federazione Russa) in questo ultimo decennio-ventennio si è staccata dal resto dell’Europa. Dapprima si è trattato di un allontanamento e di un’opposizione progressivi, adesso la contrapposizione è netta, radicale, a lungo termine (anche se si vorrebbe sperare non definitivamente). L’Europa e il blocco occidentale hanno certamente commesso errori in questi trent’anni, dovuti tra l’altro al “complesso di vittoria” per la caduta dei Muri, per l’implosione dell’URSS e del suo impero. Ma chi ha ritratto la mano, come ci si ritrae davanti al diavolo e ai suoi gironi infernali, è stata negli ultimi vent’anni la classe dirigente russa. E che ora attacca quel diavolo immaginato con proiettili, bombe, missili.

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Immagine: l’Europa divisa, di Nicola Morawski

Tra UE/NATO e Russia ora corre una nuova Cortina di guerra, che riecheggia e innova la cortina di ferro della Guerra fredda. Celebre è l’affermazione del marzo 1946 di Winston Churchill: “Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente” (ascolta).

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Immagine: in bianco la Cortina di ferroche durante la Guerra fredda divideva in due il continente

Prima di proseguire vorrei ricordare a me stesso che nella realtà dei fatti sono state due le cortine di ferro attive durante la Guerra fredda. La prima, quella più nota in Occidente, la Cortina esterna correva lungo la frontiera Baltica della Polonia e lungo le frontiere occidentali degli altri paesi satelliti dell’URSS: Germania dell’Est, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria. La seconda Cortina era interna al blocco sovietico e si snodava lungo le frontiere occidentali dell’URSS, quindi lungo la frontiera con la Finlandia; le frontiere baltiche delle Repubbliche socialiste sovietiche di Lettonia, Estonia, Lituania; le frontiere occidentali delle Repubbliche socialiste sovietiche di Bielorussia e di Ucraina. In sostanza, dal Baltico al Mar Nero i paesi satelliti facevano da primo scudo contro l’Occidente e da area cuscinetto difensiva-dissuasiva, di protezione dell’URSS.Polacchi, tedeschi orientali, cecoslovacchi, ungheresi, romeni e bulgari erano imprigionati tra le due Cortine: non potevano uscire dal blocco, avevano enormi difficoltà ad entrare nell’URSS. Imprigionati e per giunta separati tra loro da paratie stagne.

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Immagine: l’Europa della Guerra fredda vista da Moscaai tempi dell’URSS con le 2 Cortine

A Ovest il ricordo della Guerra fredda oscilla tra nostalgia (“si stava meglio quand’era peggio”) e rielaborazione ludica (per esempio la trasformazione della memoria negativa della Cortina di ferro in attrazione turistico-sportiva).

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Immagine: Eurovelo 13 è il percorso in bicicletta che mischia e salda tra loro due tracciati delle due Cortine (The Iron Curtain Trail)

Al Cremlino il ricordo dell’URSS oscilla tra la nostalgia della potenza perduta e la rielaborazione del lutto in chiave offensiva.

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Immagine: sarebbe questa la sfera di influenza sognata da Putin? Elaborazione del 2016 di Zeihan on GeopoliticsPer l’analista Peter Zeihan la guerra russo-ucraina sarebbe l’ultimo conflitto della Guerra fredda.

Oggi, 76 anni dopo il discorso di Winston Churchill, siamo costretti a prendere atto del fatto che una nuova Cortina di guerra è scesa da Kaliningrad nel Baltico a Sebastopoli nel Mar Nero separando l’Europa dall’Eurasia. Si sta consolidando una nuova separazione, anzi una disgiunzione, violenta e portatrice di morte, che è territoriale e insieme ideologica (di una nuova ideologia nazionale russo-putiniana). Cala una nuova divisione del continente in sfere d’influenza, una russa e una europea (quest’ultima collegata all’UE e anche sebbene non in modo esclusivo alla NATO). La saracinesca che chiude la Russia all’UE e l’UE alla Russia è materiale quanto immateriale. La disegna la guerra di aggressione in corso, è rinsaldata da contrapposte visioni-del-mondo, si estende alla sfera digitale e virtuale (transazioni bancarie elettroniche, Internet, social, guerra ibrida cyber).

Il distacco della Russia dall’UE va visto in prospettiva. La nuova Cortina di guerra prende più esatto significato nell’ambito di una evoluzione di lunga durata. Come giustamente osserva lo storico Andrea Graziosi, l’Impero russo, nato da fermenti e spinte asiatiche, dal Seicento fino all’inizio del Novecento si è avvicinato in varia misura all’Europa, si è europeizzato e a sua volta è entrato nel gioco europeo, nella cultura europea, nel nostro immaginario attraverso per esempio una formidabile letteratura. Nessun dubbio in proposito. Ma dal 1917, con la nascita dell’URSS, il lato russo si è nuovamente separato dal resto del continente inglobandone peraltro nel 1945 una buona porzione. Quel distacco, tuttavia, è stato decisamente fallimentare. Quindi dal 1985 l’URSS si è riavvicinata un attimo all’Ovest con Gorbačëv (ricordiamo la sua campagna in favore della “Casa comune europea”). Staccatosi il blocco dei paesi satelliti dall’URSS e ammainata la bandiera dell’URSS, il (relativo) riavvicinamento è continuato con la Russia di Él’cin e del primissimo Putin. Ma non appena Putin ha preso saldamente il potere è (ri)cominciato l’attuale distacco che continuerà nel XXI secolo (per quanti anni, decenni?). Così è emersa una faglia tra Est russo e Ovest europeo che pare strutturale. Per il suo essere attualmente beante richiama alla mente i fenomeni della geologia. Fa pensare alle aree di frizione tra masse rocciose, al muoversi-scorrere-collidere-allontanarsi delle placche continentali. In questo caso il distanziarsi della zolla Russia dalla zolla Europa. Ma rispetto ai tempi lunghi della storia è probabilmente l’ennesima fase di passaggio. Prima o poi la Russia fare pace con se stessa, accantonerà ogni velleità imperiale e troverà un modus vivendi pacifico col mondo situato al suo ovest. Prima o poi anche l’Ovest dell’Eurasia troverà un modus vivendi con la Russia che non sia quello della prona sottomissione o della contrapposizione secca. Prima o poi… Per ora per motivi in parte comprensibili come europei siamo intimamente divisi ed esteriormente parzialmente coesi di fronte all’immensa Federazione Russa che si estende fino all’Estremo Oriente, all’oceano Pacifico e al mare di Ochotsk.

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Immagine: in rosso e marrone lo spazio russo-bielorusso e ucraino (sic!) delimitato (in nero) dalla nuova Cortina di guerra, in blu in paesi NATO

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Immagine: La Cortina di guerra attraversa in particolare l’Ucraina, invasa una prima volta nel 2014 (inizio guerra russo-ucraina) e poi nuovamente vittima dell’offensiva militare russa avviata il 24 febbraio 2022. La cartina rappresenta la situazione bellica approssimativa al 31 maggio 2022

I lenti mutamenti nelle relazioni tra Europa e Russia proprio perché hanno attraversato varie fasi fino al netto divario in corso (Cortina di guerra) dovrebbe spingerci alla prudenza quando trattiamo delle relazioni tra l’Est e l’Ovest del continente o, per meglio dire, tra l’Europa romano-germanica e l’Europa degli slavi meridionali e orientali. Molti analisti considerano che l’allargamento a est dell’UE nel 2004 e 2007, se ha ampliato il numero dei paesi membri (dieci in più appartenenti all’Europa centrale e orientale: Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Repubblica Slovacca, Slovenia, Ungheria), se ha aumentato la superfice territoriale e il numero di abitanti dell’UE (di circa 70 milioni), non ha di contro sanato le differenze tra Ovest ed Est. In questo senso il più grande allargamento della storia dell’UE sarebbe stato un fallimento, una bolla di sapone che non avrebbe irrobustito l’UE bensì solo la NATO e gli USA (in considerazione del pronunciato filoatlantismo e filoamericanismo degli europei dell’Est). Ma – ecco il secondo assunto di alcuni analisti – tali differenze mai potranno essere sanate. Il divario tra le due Europe, infatti, non sarebbe figlio della guerra fredda bensì di partizioni antiche, antichissime, permanenze quasi bimillenarie. In quest’ottica la dissociazione Est-Ovest dell’Europa è separazione tra nazioni vecchie e nazioni nuove. Li divide una netta barriera culturale oltre che temporale (l’assunto è che non tutti i popoli vivono nella stessa fase storica: c’è chi sta già qui, in alto, e chi è ancora lì, in basso). Pertanto, il divario Est-Ovest risulta – risulterebbe – quasi inamovibile. Per certi versi con una punta di razzismo atavico si suggerisce senza dirlo che gli “slavi” sono e restano i “barbari” del continente. “Barbari” non sarebbero di contro i Russi, civiltà superiore perché potenza, Impero, conquistatore e gendarme dell’Eurasia. L’insieme di queste semplificazioni, qui rapidamente riassunte, essendo assai diffuse vanno smontate con decisione. La storia dimostra che di inamovibile non c’è nulla, neppure l’Antico Egitto o l’Impero Romano. Ma senza rincorrere i massimi sistemi basterebbe tuffarsi in una sola delle lingue e culture europee per toccare con mano la viva polifonia e policromia di ciò che erroneamente si vorrebbe monocorde e monocromatico. L’intreccio di innesti, scambi, prestiti, contaminazioni, variazioni su tema invalida qualsiasi supposta fissità. La lingua, per citare solo un aspetto, non è “mia” più di quanto non sia “tua” o “sua”, è uno strumento (bello) di comunicazione, non è proprietaria è veicolare, serve a pensare. E se anche queste considerazioni non bastassero (ancora astratte?), chi è interessato potrà spegnere il computer e farsi un lungo viaggio in Europa, zigzagando tra Est e Ovest e tra Nord e Sud, attraversare territori reali, fermarsi nei luoghi e parlare con persone in carne ed ossa. Certo, verificherà che le Europe sono proprio tante, quante le teste, ma, se ha occhi e orecchie accoglienti, verificherà anche che le distinzioni “inamovibili” sono cento, anzi mille volte più sfumate, complesse e meno dirimenti di ciò che si crede o si vorrebbe fare credere. Il divario Est-Ovest come quello Nord-Sud dell’Europa certamente esiste ma non è una faglia, piuttosto una linea sottile in movimento creativo. Come altre sottili linee di divergenza di cui l’Europa è piena (si pensi alle oscillazioni delle relazioni tra Italia e Francia…).

In realtà, con la guerra e lo spostarsi verso est dell’Est è esploso il concetto stesso (oltre che la realtà) dell’Europa centrale. Le vecchie architetture e i vecchi raggruppamenti ereditati dai secoli precedenti forse continueranno a esistere, probabilmente sul piano delle rappresentazioni e delle mentalità. Continueremo a evocare Visegrad e la piccola Mitteleuropa di matrice asburgica (Austria, Ungheria, Slovenia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Galizia polacco-ucraino); l’Europa baltica (Svezia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia); l’Europa che dai Balcani si affaccia sul Mar Nero (Bulgaria, Romania); l’Europa balcanica occidentale che tende verso l’Adriatico e già si candida ad aderire all’UE (Albania, Repubblica di Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e, in prospettiva, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo). Qualcuno richiamerà iniziative centroeuropee e collaborazioni danubiane. Tutto vero, tutto possibile, ma al contempo il nuovo mondo che si innalza sotto i nostri occhi macina e riconfigura ciò che appartiene a logiche, approcci, percezioni e consistenze del passato. La novità saliente non è il “ritorno dell’Europa centrale”, bensì il rimescolamento generale e impetuoso di tutti gli schemi precedenti. Nasce, sta nascendo, è già nata una nuova versione, del tutto inedita della realtà dell’Europa centrale, realtà alla quale la teoria (le nostre concettualizzazioni, le nostre mappe mentali) deve adeguarsi recuperando ogni ritardo. Si tratta oggi di un’area fin troppo ampia e differenziata che copre tutta l’Europa di Mezzotra il Baltico, il Mar Nero e l’Adriatico – tra l’Europa dell’Ovest (che ruota intorno a Germania, Francia, Italia, Spagna e, ancora, Regno Unito) e la Federazione Russa. Questa Nuova Europa del Centro (NEC) include oggi e già assorbe, perlomeno nella sfera dell’immaginario, l’Ucraina e, in prospettiva, la Moldova.

Perché insistere su questo spazio astratto, che non è affatto unitario, al contrario è costituito da una miriade di interessi e volontà nazionali, ciascun protagonista geloso della propria autonomia e del proprio orticello? È mia profonda convinzione che è proprio in quest’area così diversificata che è all’opera un formidabile laboratorio dell’Europa del XXI secolo ovvero il laboratorio dove in maniera conscia o inconsapevole si prepara l’Europa che verrà tra poco, alla velocità della luce, nel 2030-2050. In questa Nuova Europa Centrale (NEC) convergono e si mischiano, amalgamandosi e urtandosi tra loro tutte le correnti di pensiero, tutte le post-ideologie, tutte le concezioni e le opzioni politiche che riguardano l’unificazione del continente, la ragion d’essere delle istituzioni comunitarie, il “nostro” comune modello di sviluppo, il ruolo delle costruzioni nazionali e delle appartenenze regionali e locali. La tavolozza delle opzioni spazia simultaneamente dall’europeismo più spinto al nazionalismo e localismo più feroci passando attraverso tutte le forme di tradizione, di modernità e contemporaneità, di passato medievale e di futuro digitale. Ebbene, le idee, le proposte, le spinte che stanno uscendo e ancora usciranno da questo laboratorio-calderone saranno tra i fattori decisivi della forma che prenderà l’Europa tesa verso la metà del XXI secolo. L’Europa del Centro ci spingerà verso più Europa o meno Europa? Verso una maggiore unità delle popolazioni europee o verso una progressiva disgregazione della costruzione comunitaria, quindi verso un indebolimento e un’inversione delle sue spinte aggregatrici? Gli europei del Centro contribuiranno a rafforzare o a fare fallire l’UE, l’area dell’euro, l’area Schengen eccetera? Le popolazioni della NEC capiranno che solo uniti potremo farcela in un mondo popolato da 8-9 miliardi di persone? O coloro che abitano tra i tre mari (Adriatico, Baltico, Mar Nero) parteciperanno ad affossarci perseverando nel ricercare il proprio io-mio (il proprio ora, qui, “non mi scocciare”). Legittimo ma suicida – come i lemming della leggenda.

Sia chiaro: che i lemming commettano un suicidio di massa durante le loro migrazioni è falsa notizia, credenza popolare priva di riscontri scientifici. Ma di (falsi) lemming suicidi siamo pieni anche noi in Italia, in Francia, in Germania, in Spagna, in Europa occidentale e settentrionale. Nel famoso Ovest (col “complesso della vittoria” e che attrae tutti i “peones” del mondo come carta moschicida) fin troppo vasta è la schiera di populisti, nazionalisti (cosa ben diversa dai patrioti), anti-cosmopoliti, anti-europeisti, anti-UE. Sono ovunque. L’arco delle possibilità disgregatrici ci riguarda tutti, a macchia di leopardo. Con un’aggravante: la guerra di Putin in Ucraina ha fissato il perimetro massimo a est di ciò che chiamiamo Europa e di cui l’UE è l’incarnazione più avanzata. La crisi (poi guerra) libica e le primavere arabe hanno avuto il “merito” dieci anni fa di ricordare all’Europa l’importanza del suo fronte mediterraneo. Anzi, di costringere l’Europa a (ri)occuparsi del Mediterraneo, che in buona parte dipende da ciò che accade in Medio Oriente e sotto al quale c’è l’Africa sub-sahariana in vertiginosa crescita demografica. L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea appena qualche anno fa ha reso più continentale l’UE. L’invasione russa dell’Ucraina ci ricorda ora la rilevanza del fronte est, ci costringe a occuparci di ciò che accade a est dell’Europa e di chiarirci bene tra noi al riguardo. L’idea di Europa come si presenta oggi (2022) è quella della penisola sud-occidentale del supercontinente Eurasia, le cui parti occidentali, nordica, meridionale sono racchiuse dai mari e la cui parte orientale si ferma dove comincia la Federazione Russa e il suo satellite (ahimè) bielorusso. A sud-est, oltre la Grecia, non è chiaro cosa gli europei vogliano dalla Turchia e cosa la Turchia voglia effettivamente dall’Europa. Ma anche questa non-chiarezza sugli obiettivi circoscrive il contorno. Da segnalare – aperta e chiusa parentesi – che, a sentire i vertici georgiani al recente Summit di Davos, anche la Georgia che si trova dall’altra parte del Mar Nero vorrebbe unirsi all’UE).

In questo momento il nostro contesto massimo di riferimento va, dunque, dal Portogallo all’Estonia, dal Regno Unito all’Ucraina, dai lembi settentrionali della Norvegia alla Grecia. La Brexit del Regno Unito, come si è detto, ha ulteriormente ristretto la possibile cornice dell’UE.

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Tre immagini: l’Unione Europea oggi, l’area dell’euro, l’area Schengen

L’Europa, ripeto a me stesso, non è una realtà data o ereditata, ma realtà in costruzione, progetto proiettato in avanti, invenzione di noi europei (aiutati inizialmente dagli americani). Non è una realtà geografica ma storico-culturale-politica avviluppata da un’imponente impalcatura giuridica e da collanti monetari ed economici. All’interno dell’attuale limite massimo, quello che ci è imposto dalla realtà dei fatti, oggi (2022) possiamo organizzarci come meglio crediamo. Possiamo rafforzare o disfare l’UE e le istituzioni europee. Possiamo fare gruppi e gruppetti, bande antagoniste, triangoli, quadrilaterali, pentagoni, esagoni. Al nord come al sud, all’est come all’ovest dell’UE possiamo mollare gli altri e coccolarci con l’idea che “meglio pochi ma buoni”. Possiamo erigere muri interni, possiamo litigare all’infinito, guardarci in cagnesco e rinfacciarci all’infinito ciò che è stato o non è avvenuto. Oppure possiamo far sì che senza negare nulla di ciò che li arricchisce e differenzia (ci mancherebbe) gli europei siano – non una nazione, per carità di patria – ma una società sempre più coesa e inclusiva. Il Covid-19 (che non è ancora debellato) e la guerra ci pongono sfide comuni: sanitarie, economiche, energetiche, militari, alimentari, oltre che climatiche, ecologiche eccetera. Ma anche sfide epocali: come vogliamo reagire a questa guerra? Che dialogo nuovo instaurare con gli americani? Come rendere l’Europa più mediterranea e il Mediterraneo più europeo? Come scegliere, accogliere, integrare stranieri e migranti che vorrebbero vivere in Europa? Possiamo decidere di affrontare sfide, problemi e quesiti insieme e possiamo decidere di affrontarli separatamente. Abbiamo l’incredibile privilegio di essere “liberi” di scegliere. Prima il Covid e ora la guerra mi hanno definitivamente chiarito una volta di più che questa è la scelta essenziale per noi italiani, austriaci, belgi, bulgari, ciprioti, croati, danesi, estoni, finlandesi, francesi, tedeschi, greci, irlandesi, lettoni, lituani, lussemburghesi, maltesi, nederlandesi, polacchi, portoghesi, cechi, romeni, slovacchi, sloveni, spagnoli, svedesi, ungheresi (e altri ci sarebbero). La scelta è tra “più Europa” (UE migliore, più democratica, più federativa, più inclusiva, veloce, efficiente, con tutto quello che ciò comporta in termini di cambiamenti) e “meno Europa” (peggiore soluzione). Scelgo la prima opzione, quella di una maggiore colleganza, consapevole che in una più intensa comunanza c’è un oceano di possibilità e di strade alternative. Ripeto a me stesso, per concludere, che darsi da fare per avere “più Europa” non è un discorso di potenza (di cui francamente…), non è ricercar potere per il potere e per far parte dei Grandi di questo mondo (di cui francamente…), ma cercare di vivere meglio nel paese nel quale mi trovo e di sopravvivere in un pianeta che mi stende sul letto quando (sempre più spesso) fa troppo caldo. Così non si va da nessuna parte.

O dalla parte sbagliata.

di Paolo Morawski

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