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La Moldavia divisa al centro della contesa

di Franco
Ferrari

Gli elettori moldavi sono stati chiamati il 20 ottobre per esercitare un doppio diritto di voto. Dovevano rinnovare la Presidenza della Repubblica con Maia Sandu, eletta nel 2020, che si presentava per un secondo mandato, e altri 10 candidati che competevano per la carica. Il più titolato, secondo le previsioni e i sondaggi, era Alexandr Stoianoglo, indipendente ma sostenuto dal principale partito d’opposizione, il Partito Socialista della Repubblica Moldava. La Sandu era invece appoggiata dall’attuale partito di governo di destra liberale, il Partito di Azione e Solidarietà (PAS).
Lo scontro elettorale è stato rappresentato dai media occidentali e dagli osservatori come uno scontro tra la componente filo-occidentale e la parte pro-russa del paese. Questa rappresentazione è stata confermata dal contemporaneo referendum che doveva decidere se modificare la costituzione inserendovi l’obbiettivo, a lungo termine, dell’ingresso nell’Unione Europea.
Questo referendum è stato fortemente voluto dalla Presidente filo-occidentale Maia Sandu, al di là della sua reale efficacia che è scarsa, dato che l’ingresso nell’UE potrà essere solo il frutto di un lungo processo appena avviato, per favorire la mobilitazione elettorale in suo favore.
L’esito del referendum, contrariamente ai sondaggi diffusi in occidente che prevedevano un largo successo dei favorevoli, è stato vinto dal “Sì” con il 50,38%. Una prevalenza di circa 12.000 voti sui contrari. La partecipazione è stata del 51,68%, con un 4,72% di voti bianchi o nulli. Nell’esito del voto va tenuto presente che il governo pro-occidentale ha attuato diverse misure amministrative per condizionare l’esito del voto. Tra queste in particolare la riduzione del numero di seggi utilizzabili dai cittadini della Transnistria, a prevalenza russa, e della consistente comunità di emigrati in Russia. Fra i cittadini che vivono in Moldavia, solo il 45,38% ha votato “Sì”, mentre determinante è stato il voto all’estero col 76,96% di favorevoli.
Evidente l’interesse degli emigrati in paesi dell’Unione Europea a favorire l’ingresso del paese di origine che migliorerebbe le loro condizioni di vita e di lavoro. Ma altrettanto chiaro il risultato per quanto riguarda la convinzione dei cittadini moldavi che l’avvicinamento all’Unione Europea non determinerebbe un miglioramento delle loro condizioni di vita, che restano molto difficili ad oltre trent’anni dalla fine dell’Unione Sovietica.
Il paese risente sia delle divisioni lasciate irrisolte dalla dissoluzione dell’Urss come dalle conseguenze economiche e politiche della guerra in Ucraina. La Moldavia ha attraversato vicende storiche complesse ed è attraversata da conflitti legati alla compresenza di una popolazione di origine romena con una componente di origine russa, che ha costituito una entità di fatto autonoma nella regione della Transnistria ed un’altra di derivazione turcofona presente nella regione autonoma della Gagauzia.
Il governo di destra filo-occidentale del PAS, a cui appartiene Maia Sandu, negli ultimi anni ha inasprito il conflitto interno mettendo in campo una serie di misure che hanno reso più complicati i rapporti sia con la Transnistria che con la Gagauzia come riferisce un recente report dell’International Crisis Group (“Moldova Divided: Easing Tensions as Russia Meddles and Elections Approach”). Inoltre, in nome della lotta alle interferenze russe, ha ridotto gli spazi democratici, come ha denunciato in un recente comunicato il Partito della Sinistra Europea.
Chiusura di un partito politico, blocco dei media di informazione dell’opposizione, uso sempre più intenso delle risorse pubbliche da parte del governo sostenuto dalla Commissione Europea di Bruxelles hanno contribuito ad inasprire il conflitto interno.
Il governo, in questo sostenuto dall’ambasciata Usa e da Bruxelles, ha denunciato con toni sempre più allarmati l’influenza “maligna” della Russia sulla vita politica moldava. In questo modo si è trasformata in minaccia esterna quella che dovrebbe essere considerata una semplice possibilità dell’opposizione di criticare un eccessivo avvicinamento all’occidente e la volontà di mantenere buoni rapporti con la Russia.

Dopo l’esito del referendum, assai meno favorevole di quanto previsto, la Presidente Maia Sandu ha dichiarato che 300.000 voti sarebbero stati “comprati”. Se è certo che la Russia abbia utilizzato, in vari modi, la propria influenza e cerchi di avere in Moldavia un governo non troppo ostile, gli allarmi lanciati, in genere non suffragati da prove significative, sono destinati ad identificare qualsiasi forma di opposizione e di critica come un’azione del nemico esterno.
Il fatto che gli Stati Uniti dal 2022 abbiano trasferito al governo moldavo 822 milioni di dollari in “aiuti” e che l’ambasciata statunitense sia particolarmente attiva nell’intervenire nella politica interna moldava o che Ursula von der Leyen sia andata a Chisinau, qualche tempo prima delle elezioni, a promettere 1 miliardo e 800 milioni di euro di “aiuti”, non sono considerate forme di interferenza nelle libere decisioni dei cittadini moldavi.
La guerra in Ucraina ha prodotto un peggioramento delle condizioni economiche della Moldavia e la preoccupazione che per un possibile coinvolgimento del conflitto. Il fatto che tra una parte della popolazione circoli la convinzione che l’UE sia diventata una fonte di acutizzazione dello scontro interno e del pericolo di guerra, viene attribuita alla “maligna” influenza russa e alla conseguente “disinformazione”.

L’evoluzione della politica moldava sarà condizionata dall’esito delle elezioni presidenziali. Il primo turno ha visto prevalere Maia Sandu col 42,45%, seguita a distanza da Alexandr Stoianoglo col 25,98%. Quest’ultimo, originario della Gagauzia, era Procuratore generale del paese fino al 2021, quando venne arrestato sulla base di accuse lanciate dal partito di Maia Sandu. Accuse che si sono rivelate infondate e che hanno poi portato alla sua assoluzione. Stoianoglu viene etichettato dalla stampa occidentale come filo-russo ma in realtà si è sempre schierato a favore di una politica estera equilibrata della Moldavia con la volontà di mantenere buoni rapporti con tutte le potenze. Una collocazione resa certamente più difficile dal crescente clima di guerra fredda globale.

Gli osservatori occidentali definiscono come “pro-russi” altri quattro candidati che hanno raccolto complessivamente circa il 27% dei voti e come filo-occidentali due candidati che hanno ottenuto in tutto circa il 3% dei voti. Secondo questa classificazione il risultato del secondo turno sarebbe tutt’altro che scontato per la Sandu, ma vi sono anche altre motivazioni che influenzano il voto e quindi è difficile fare previsioni. La decisione di polarizzare il paese attorno alla questione dello schieramento geopolitico, voluta dalla presidente uscente, contando su una netta prevalenze dell’opinione pubblica filo-occidentale promessa dai sondaggi, potrebbe ora giocare a suo sfavore. Anche il fatto che il referendum sia servito a mobilitare l’elettorato che vive nell’emigrazione e considerato a suo favore, al primo turno, potrebbe produrre un minore effetto nel ballottaggio nel quale il referendum non c’è.  Nell’altro campo pesa evidentemente la difficoltà di mobilitare elettori che si sono espressi a favore di candidati diversi, benché tutti etichettati come “filo-russi”.

La Moldavia rischia di essere sottoposta a tensioni crescenti che mettono in discussione la convivenza pacifica così come è stato per l’Ucraina e in parte anche per la Georgia che voterà la prossima settimana.
Se la Russia punta a non avere paese ostili ai suoi confini, oltre che a salvaguardare le enclave russofone anche alimentando il separatismo, l’occidente (UE, USA, NATO) interviene sempre più pesantemente nei conflitti in una logica di espansione della propria potenza all’interno di una visione sempre più militarizzata del contesto globale.

Alimentare i conflitti interni, spezzettare i paesi multietnici per costruire delle aree di influenza economiche e politiche, è una strada che l’Unione Europea ha già utilizzato nella vicenda jugoslava, con le drammatiche conseguenze che conosciamo. Se nei paesi considerati ostili, come la Serbia, si è sostenuto il separatismo delle minoranze etniche (Kosovo), fino a determinare una revisione di fatto dei confini precedenti, in altri paesi, definiti come amici, si sono sostenuto politiche di centralizzazione e cancellazione dei diritti delle minoranze. Questo è avvenuto in Ucraina nei confronti delle minoranze russe o russofone della Crimea e del Donbass o in Moldavia nei confronti della Transnistria e della Gagauzia. Un gioco imperiale pericoloso che alimenta il conflitto e il pericolo di allargamento della guerra. Si è anche accettata una progressiva riduzione di spazi democratici. L’Unione Europea tende sempre più a diventare espressione di un doppio standard nel quale la retorica contrasta quotidianamente con le scelte politiche concrete.

Franco Ferrari

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