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La “macronia” in crisi, la sinistra francese più unita e radicale

di Franco
Ferrari

I dati politici di fondo emersi dalle elezioni legislative sono abbastanza chiari anche se in parte diversi da quelli che ci si attendeva, sulla base dei sondaggi, subito prima del voto.

Il primo riguarda evidentemente la sconfitta della coalizione di maggioranza raccolta attorno a Macron, che la sinistra francese chiama sarcasticamente la “Macronie”, come se fosse un territorio altro da quello dove vive quotidianamente la maggioranza dei francesi.

L’obbiettivo di fondo della strategia politica del Presidente da poco rieletto era di ridisegnare il quadro politico francese, cavalcando la crisi dei due partiti tradizionalmente di maggioranza, i socialisti da una parte i neogollisti dall’altra, con una miscela di populismo anti-partiti, tecnocrazia modernizzante, retorica europeista. Questa operazione, svuotando e assorbendo gran parte dell’elettorato moderato di centro-sinistra e di centro-destra e costruendo un nuovo ceto politico al di là dei cleavages tradizionali, doveva consentire di ricostruire un’egemonia delle classi dominanti, sventando i pericoli provenienti dal “populismo”.

L’operazione ha dimostrato da subito le sue difficoltà, che non sono solo di manovra e di assetto parlamentare o di leadership, ma sono evidentemente strutturali, in un contesto nel quale si accumulano le diverse crisi e la capacità dell’establishment di indicare una via d’uscita si fa sempre più incerta.

Eletto cinque anni fa prendendo soprattutto voti dal versante sinistro ha via via precisato una politica orientata a destra e questo in parte ha modificato la base elettorale di Ensemble, la coalizione tripartita che sostiene Macron. Non si è insediata localmente, tant’è che in nessuna circoscrizione elettorale va molto oltre il 35%. I suoi punti di forza sono prevalentemente quelli tradizionali della destra moderata. Un arretramento del consenso era messo nel conto ma non una sconfitta di queste dimensioni che lo pone a una cinquantina di seggi dalla maggioranza assoluta. Il sistema istituzionale francese presenta degli elementi contraddittori. Se il Presidente della Repubblica ha la maggioranza assoluta in Parlamento si può muovere quasi come un monarca assoluto. Se la perde si trova immediatamente a diventare un’anatra zoppa praticamente privato di margini di manovra tranne che sulle grandi questioni di politica estera.

Macron si deve presentare in questi giorni ad una serie di appuntamenti internazionali ed evidentemente il suo peso risulta diminuito, anche se non si può dire che i vaghi accenni di autonomia dall’atlantismo guidato da Washington, di cui si è fatto interprete nel suo primo mandato, siano mai assurti alla prefigurazione di un orizzonte veramente alternativo per l’Europa.

Al momento nessuna forza politica sembra interessata a puntellare il suo governo. I primi interlocutori dovrebbero essere i neo-gollisti sulla sua destra, ma al loro interno ci sarà chi punta su una crisi definitiva del macronismo per tornare punto di riferimento per tutta l’area della destra classica piuttosto che adattarsi ad un ruolo subalterno. Potrebbe tentare di dividere la Nupes attraendo socialisti e verdi ma ammesso che fossero disponibili questi non hanno un numero di seggio sufficienti per garantirgli una maggioranza solida. Ed il rischio di essere stritolati, come dimostrano le esperienze italiane subalterne alla sinistra liberale (ultimi i 5 stelle), è sempre incombente.

Nel fare un bilancio dell’alleanza di sinistra si può evidentemente mettere l’accento sugli elementi positivi come sui limiti. Ma intanto il dato di fondo politico-elettorale è inequivocabile. Per la prima volta da molti anni (forse dai tempi della sinistra plurale di Jospin) la sinistra, includendo in questa anche gli ecologisti che spesso sono stati tentati dall’essere una versione spruzzata di verde di un partito liberale, non si presentava unita. Non era scontato che dopo una campagna presidenziale caratterizzata dalla divisione e dalle polemiche interne fosse possibile trascinare gli elettori dentro la prospettiva unitaria. Questo sostanzialmente è avvenuto. La sinistra che era diventata marginale nel confronto politico (anche se la France Insoumise ha utilizzato con una certa abilità il parlamento in funzione “tribunizia”) torna ora ad essere un attore importante.

I dati elettorali dicono che in diverse aree del Paese è una forza di consistente insediamento territoriale e quindi non solo espressione di una tendenza di opinione. Queste aree sono particolarmente concentrate nelle zone popolari delle grandi città, come si è visto a Parigi e in parte dell’ex cintura rossa che la circonda. Raccoglie parte dell’elettorato più povero e più istruito, quello che potremmo definire come il nuovo proletariato. La sua forza si insedia sia in aree di tradizione comunista, ma che il PCF non riesce più ad esprimere, sia in aree della tradizione socialista mitterrandiana, laica, pro-welfare, con un forte spirito repubblicano (nel senso della “Republique sociale”).

Melenchon, a cui certamente non manca la capacità di iniziativa politica e di cogliere l’occasione, ha lanciato subito la proposta del gruppo parlamentare unico. Chiara l’intenzione tattica, dato che, scomposta nei vari partiti, la Nupes non è più il secondo gruppo parlamentare. Ruolo che consente di utilizzare una serie di prerogative istituzionali, come la presidenza della Commissione Finanze. Questo ruolo andrebbe al Rassemblement National che è più forte anche della France Insoumise, di gran lunga la maggiore componente della sinistra. Melenchon ha ricevuto risposte negative ed ha riconosciuto che forse la sua proposta richiedeva una certa maturazione. Ma la prospettiva unitaria e la trasformazione di un accordo tattico pre-elettorale in una convergenza strategica sono l’obbiettivo da perseguire.

Questo dettaglio indica uno degli elementi di verifica che si porranno per l’alleanza. Melenchon ha costruito La France Insoumise come un partito movimento, “gassoso” come è stato detto, e questo gli ha sempre consentito una grande capacità di manovra e di iniziativa. Ma un’alleanza più complessa con forze politiche strutturate in modo tradizionale, anche se oggi indebolite, richiederanno una modalità di gestione più articolata. Questo però senza paralizzarsi in una continua trattativa tra direzioni politiche o in una ricerca esasperata della riaffermazione delle specifiche identità, che rappresenterebbe piombo per le ali della coalizione.

Abbiamo visto gli elementi di novità positiva, ma si deve anche registrare che nel voto è mancata una forte dinamica elettorale che riuscisse in particolare a smuovere l’astensionismo giovanile e popolare che ormai si è radicalizzato e che pesa soprattutto nelle elezioni parlamentari. Nella presenza nel parlamento di espressioni dirette del conflitto e delle variegate forme di movimento sociale che in Francia permangono (più che in Italia certamente, ma non bisogna nemmeno esagerarne l’entità), piuttosto del tradizionale ceto politico che percorre tutta la trafila istituzionale dal ruolo di sindaco fino al Parlamento, si può determinare una nuova capacità di interagire con queste aree che ancora non si mobilitano.

L’altro dato che emerge dal voto è il rafforzamento della destra nazional-populista. Va detto che l’impatto sulla presenza parlamentare è assai più elevato di quanto non sia la effettiva crescita di consenso. L’anomalia era l’esclusione di fatto dalla rappresentanza di un’area elettorale che rappresenta ormai stabilmente un venti per cento dei cittadini. Per certi versi ora il partito della Le Pen dovrà mettersi “a fare politica” più di quanto non abbia dovuto fare negli anni passati e non è detto che questo non apra contraddizioni nelle quali la sinistra possa inserirsi.

Diversi i fattori che hanno favorito il risultato del RN. Innanzitutto il processo di “dedemonizzazione” dell’estrema destra al quale hanno contribuito sia i neogollisti che i macroniani che hanno assunto tematiche anti-immigrati e securitarie proprie del partito della Le Pen. In secondo luogo l’RN si è insediato in alcune realtà territoriali (alcune con una tradizione operaia e di sinistra che hanno pagato gli effetti della deindustrializzazione e della globalizzazione, altre più classicamente di destra e “vandeane”) e questo gli consente di competere in un numero maggiore di circoscrizione. Un altro elemento è stato sicuramente il comportamento degli elettori macroniani che, reagendo ad una retorica sugli “opposti estremismi” venuta dall’alto, hanno preferito astenersi se non votare per l’estrema destra, nei duelli diretti tra Nupes e RN.

La Francia, dopo il voto, entra sicuramente in una fase di turbolenza e di incertezza. La sinistra torna ad essere soggetto politico attivo con una egemonia delle posizioni radicali su quelle moderate. Questo le consente di rompere con l’adattamento socialdemocratico agli interessi delle élite liberali e capitalistiche, riuscendo a tornare credibile per settori popolari che si erano allontanati. La strada è ancora lunga, ma intanto il cammino è iniziato.

Franco Ferrari

 

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