Dietro il fascino tanto per bene nelle sue azioni politiche, Macron si compiace del più grossolano fascistissimo “me ne frego”.
Me ne frego di aver contro la Francia, me ne frego di aver perso le elezioni, me ne frego delle batoste a ripetizione prese nel Sahel.
E, alla fine di luglio, la lista si è allungata con un altro je m’en fous: me ne frego dell’Algeria e del Movimento per la Liberazione del Sahara. Può darsi che sia un nuovo capitolo della politica di potenza che i governi francesi non vogliono dimenticare quando si parla di Africa del Nord sull’onda del putiferio scatenato nel 2012 con l’assalto alla Libia.
Qualcuno più attento osserva che l’operazione ad alto rischio avviato con le dichiarazioni di fine luglio miri a un obiettivo tutto interno.
Macron è perfettamente consapevole che il nuovo Fronte Popolare ha il suo massimo sostegno nelle periferie urbane largamente abitate da afro-maghrebini cui la France Insoumise ha ridato dignità politica; e allora, in previsione di una guerra civile che Macron fa di tutto per attizzare, perché non provare a dividere marocchini e algerini scagliandoli l’uno contro l’altro? La divisione delle due comunità sull’indipendenza del Sahara del Sud è un’occasione troppo succulenta per lasciarsela sfuggire e, da questo punto di vista, Macron ha tutto l’interesse a buttare benzina sul fuoco: del resto senza il divide et impera la Francia non avrebbe potuto né creare, né mantenere il suo vastissimo impero coloniale; ed ancora oggi ne fa il perno della sua politica neocoloniale, che in Francia non è mai stata un’esclusiva della destra, ma è purtroppo radicata in vasti settori popolari della popolazione bianca, indipendentemente dalla loro collocazione elettorale.
Il 30 luglio scorso, con una semplice lettera indirizzata al sovrano Mohammed VI, Emanuel Macron ha riconosciuto la sovranità piena e definitiva del Marocco sul Sahara occidentale. Con questa dichiarazione non solo se ne è completamente infischiato del diritto internazionale, ma secondo lo stile che contraddistingue la sua presidenza, si è completamente infischiato dei delicati rapporti franco-algerini, essendo noto che l’Algeria è il maggior sostenitore del Fronte Polisario contro le pretese del Marocco.
Spudorato come suo solito, nella sua lettera il presidente francese ha indicato il piano d’autonomia del Sahara, presentato nel 2007 da Rabat come “la sola base che può dar luogo a una soluzione politica, giusta, durevole e negoziati conformemente alle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle sue abitudini”.
Come sua abitudine, l’inquilino dell’Eliseo non esita a dire il contrario di quello che tutti sanno e cioè che le Nazioni Unite, al contrario di quanto dice lui, considerano questo territorio come non autonomo e che il processo di decolonizzazione (il Sahara occidentale era in passato una colonia spagnola) può considerarsi compiuto solo attraverso un referendum d’autodeterminazione delle popolazioni locali: una consultazione che potrebbe significare anche l’indipendenza rivendicata dal Fronte Polisario, fortemente sostenuto dall’Algeria.
Invece, secondo Macron, “Il presente e l’avvenire del Sahara occidentale si iscrivono nel quadro della sovranità marocchina”. Come se gli oltre cinquanta anni di lotta del popolo sahauri per l’indipendenza non fossero neanche esistiti.
Il riconoscimento della marocchinità del Sahara occidentale (antica colonia spagnola) è davvero un premio per un presidente francese, peraltro lo stesso ondivago personaggio che nel 2017 aveva solennemente dichiarato il colonialismo “un crimine contro l’umanità”.
Per avere adottato il punto di vista marocchino nel 2022, la Spagna ha subito numerose rappresaglie economiche e provocato la rottura del trattato di amicizia e cooperazione algerino-spagnolo. E la Francia?
Per ora il governo algerino ha ritirato il suo ambasciatore a Parigi e presumibilmente il presidente Abdelamajid Tebboune cancellò la visita in Francia prevista per l’autunno dopo la sua rielezione alla Presidenza.
Restano aperti i dossier che negli anni recenti hanno provocato ripetute crisi tra i due paesi: la cooperazione in materia d’immigrazione, i diritti dei binazionali, il miglioramento delle condizione di vita degli shibani, per non dire del lavoro che si vorrebbe comune sulla memoria dei 130 anni di infelice rapporto Francia-Algeria.
La politica francese – tanto nel Maghreb che nel Sahel – non avendo possibilità di imporsi con la forza, punta sull’instabilità e il disordine. Sostiene i Touareg, spina nel fianco del Mali e della neonata AES e, verosimilmente, non è estranea all’offensiva delle forze jihadiste.
In questo specifico caso soffiando sul fuoco di un possibile scontro tra Marocco e Algeria, due rivali che impegnano una parte significativa del loro bilancio per le spese militari: nel 2023 18,3 miliardi di dollari l’Algeria e 5 miliardi il Marocco. Perché l’Algeria non è stata ammessa a far parte dei BRICS, nonostante il sostegno della Russia? Un veto posto dall’Arabia Saudita?
La rottura marocco-algerina
La rottura marocco-algerina precede di gran lunga quella franco-algerina e si può anche pensare che la questione del Sahara occidentale sia più una conseguenza che un pretesto di questa rottura.
Durante il lunghissimo periodo dell’occupazione francese dell’Algeria – 1830-1960 – la più lunga, sanguinosa e impegnativa impresa coloniale del terzo impero coloniale, la solidarietà del Regno del Marocco per i fratelli algerini, al sostegno all’insurrezione di Abel el Kadize nel 18401, all’installazione dell’esercito della frontiera dell’FLM sulle frontiere del Marocco.
Il suo smantellamento fu sempre rifiutato dal re Hassan II nonostante i francesi offrissero ai maghrebini contraccambi importanti: la risoluzione delle contese frontaliere a favore del Marocco, il rientro del Sahara spagnolo nel quadro della sovranità marocchina e, nella fase avanzata della guerra di Algeria, la partecipazione del Marocco alla spartizione del Nord Costiero dell’Algeria del Sud Sahariano, di fatto destinato a rimanere alla Francia.
Improvvisamente, alla fine della guerra di Algeria, i due paesi presero strade diverse per non dire opposte: apertamente filoccidentale e, prima moderatamente poi più accesamente, filosionista, il Marocco; punta di lancio del Movimento dei Non Allineati e della solidarietà filopalestinese, l’Algeria.
Il conflitto divenne conflitto armato nel 1963 con quello che fu chiamato Conflitto delle sabbie e che lasciò sul terreno cinquecento caduti2.
Alla fine, il 27 agosto 1994, trent’anni fa, le relazioni diplomatiche tra i due paesi furono interrotte e da allora non furono mai riprese. Da quella data le frontiere tra i due paesi sono chiuse; per di più da tre anni il Marocco di Muhammed VI e l’Algeria di Tebboune hanno interrotto le relazioni diplomatiche, i suoi giornali, come i suoi attivisti, non ne parlano più.
Gli algerini concepiscono la main mise del Marocco sull’ex colonia spagnola come un blocco definitivo dello sbocco del paese sull’Atlantico, uno sbocco che per l’Algeria significherebbe invece quale punto d’appoggio atlantico ai Non Allineati.
Anche attualmente l’opinione di un conflitto militare non è escluso con l’Algeria che spende 18,3 miliardi di dollari per spese militari, costringendo il Marocco a spenderne oltre 5.
In sostanza, l’Algeria con un PIL pari a 1/5 di quello italiano, ha una spesa militare quasi equivalente.
Se il Marocco, fortemente legato agli USA e, con il patto di Abramo, ai sionisti di Israele, è rimasto pressoché isolato nel Maghreb, l’Algeria ha visto le sue chances per entrare nei BRICS diminuire proprio a causa di questo aspro conflitto in corso. I BRICS non desiderano assorbire stati che si portano dietro conflitti pressoché strutturali, tanto più se caldi e soprattutto largamente fatti propri dalle rispettive popolazioni. I marocchini sono stretti intorno alle tre icone della loro indipendenza che sono il re, l’Islam e il Regno Hashemita.
Per l’Algeria è tutto l’opposto, trattandosi di una repubblica laica che ha separato la religione dallo Stato.
Luciano Beolchi