Il confronto globale tra le maggiori potenze nucleari – Stati Uniti, Russia e Cina – nel contesto delle guerre in corso in Ucraina e Palestina e delle crescenti tensioni su Taiwan, i mari della Cina orientale e meridionale, sta aumentando la possibilità che le armi nucleari possano essere utilizzate, anche se accidentalmente, soprattutto se sul terreno esiste uno squilibrio tra le forze militari convenzionali delle parti in conflitto. Lo spettro della distruzione reciproca assicurata incombe enorme, ricordandoci che il confine tra pace e conflitto catastrofico è sottilissimo. Qualsiasi conflitto tra le maggiori potenze dotate di armi nucleari potrebbe degenerare in uno scambio catastrofico e su larga scala che potrebbe rappresentare una minaccia esistenziale non solo per loro ma anche per l’intera umanità1.
È sempre attivo un movimento per il disarmo nucleare che condivide le preoccupazioni comuni di coloro che lottano per fermare la crisi climatica o per sostenere la giustizia sociale in un mondo in cui i governi stanno spendendo enormi somme in scorte nucleari mentre le persone più povere nelle loro società hanno freddo e fame. È evidente che la maggiore vittima di una “guerra mondiale a pezzi” o di una seconda Guerra Fredda è e sarà il pianeta Terra e tutte le forme di vita, inclusi gli umani, che lo abitano. In particolare, essendo Stati Uniti e Cina i primi due emettitori al mondo di gas serra che alterano il clima, dovrebbero lavorare insieme per fermare il surriscaldamento globale o tutti noi saremo destinati ad un futuro infernale a breve. Con una guerra in corso, anche senza che si spari, la possibilità di una simile collaborazione è essenzialmente pari a zero. Mentre l’unico modo per salvare la civiltà umana è che Stati Uniti, Cina e Russia dichiarino la pace, che si riconoscano reciprocamente come degli “stakeholders responsabili” di un sistema pacifico di relazioni internazionali e che si concentrino insieme sulla salvezza della vita sul pianeta coordinando gli sforzi per combattere il riscaldamento globale, la proliferazione nucleare (dal 22 gennaio 2021 il Trattato ONU sul divieto delle armi nucleari è entrato in vigore, diventando vincolante diritto internazionale), il riciclaggio di denaro e il terrorismo. Purtroppo, come vedremo, questo non è assolutamente lo scenario con cui abbiamo a che fare.
Un primo quadro della situazione
Il consenso generale tra coloro che governano è che le armi nucleari dovrebbero essere tenute sotto stretto controllo e utilizzate solo come ultima risorsa. Il movimento per il disarmo nucleare chiede che le armi nucleari (come quelle chimiche e altre) siano messe al bando. Per un Paese, avere armi nucleari comporta sia pericoli che benefici. Da un lato, le armi nucleari possono dissuadere altri Paesi dall’attaccare o invadere (secondo la tesi del dittatore nordcoreano che solo armati fino ai denti si è inattaccabili). D’altro canto, l’esistenza delle armi nucleari aumenta il rischio di una guerra nucleare accidentale o intenzionale, che potrebbe portare alla fine della civiltà umana come la conosciamo. Inoltre, il possesso di armi nucleari da parte di alcuni Paesi crea uno squilibrio di potere che può portare a nuovi conflitti e tensioni tra Paesi.
Ci sono alcuni Paesi che stanno creando le loro prime armi nucleari, come l’Iran2 e la Corea del Nord. Ciò ha suscitato polemiche e preoccupazioni nella comunità internazionale, poiché l’acquisizione di armi nucleari da parte di più Paesi fa aumentare il rischio di una guerra nucleare e di destabilizzazione del sistema di relazioni internazionali (se l’Íran avesse la sua bomba atomica, anche Arabia Saudita e Turchia vorrebbero avere la loro, e così via). La comunità internazionale ha risposto a queste preoccupazioni con moniti, sanzioni economiche, diplomazia e altre misure volte a prevenire la proliferazione delle armi nucleari.
Secondo i dati ufficiali disponibili, il numero di armi nucleari è sceso da circa 65 mila a metà degli anni ’80 a circa 13mila oggi. La Russia è il Paese con il maggior numero di armi nucleari al mondo (quasi 6mila), con un arsenale di 1.550 testate nucleari operative. Gli Stati Uniti sono il secondo Paese con il maggior numero di armi nucleari (circa 5mila), con un totale di 1.410 testate operative3. La Cina ha il terzo arsenale nucleare più grande, con più di 500 testate operative, secondo il rapporto annuale del Pentagono (che afferma che è probabile che la Cina le raddoppierà entro il 2030). La Francia è il quarto Paese con il maggior numero di armi nucleari, con 290 armi nucleari, mentre il Regno Unito è al quinto posto, con 225 armi nucleari. Pakistan e India hanno rispettivamente 165 e 160 armi nucleari, il che li rende il sesto e il settimo. Si stima che Israele possieda circa 90 armi nucleari, sebbene il Paese non ne abbia ufficialmente riconosciuto il possesso. Infine, la Corea del Nord è il nono Paese a possedere armi nucleari, con circa 20 armi nucleari nel suo arsenale, anche se questo numero è difficile da verificare.
Un ulteriore elemento da considerare è che, nel contesto della ricerca di un’alternativa a petrolio e agli altri combustibili fossili, è in corso un tentativo di rilancio del nucleare civile per produrre energia elettrica, dopo la clamorosa battuta d’arresto conseguente al disastro di Fukushima del 2011. Alla COP28 di Dubai gli Stati Uniti e la Francia si sono presentati come capofila di una coalizione di 22 Paesi che pensano di ridurre le emissioni di CO2 ricorrendo al nucleare. I firmatari si sono impegnati a “lavorare insieme per promuovere l’obiettivo globale di triplicare la capacità di energia nucleare a partire dal 2030 entro il 2050”. Obiettivo dichiarato rispettare gli impegni per 1,5°C tracciati da IPCC e IEA e non essere più dipendenti dai combustibili fossili come petrolio, carbone o gas naturale. Per questo i firmatari dell’accordo intendono “sostenere lo sviluppo e la costruzione di reattori nucleari, come piccoli reattori modulari e altri reattori avanzati per la produzione di energia, nonché applicazioni industriali più ampie per la decarbonizzazione, come la produzione di idrogeno o combustibili sintetici”. Ma, essere indipendenti dai combustibili fossili non vuol dire essere autonomi dato che per far funzionare i reattori anche delle centrali nucleari SMR (Small Modular Reactor) sono necessarie grandi quantità di uranio arricchito, ossia la stessa materia prima utilizzata per la produzione delle testate nucleari, di cui il maggiore produttore al mondo rimane la Russia (insieme a Kazakistan, Uzbekistan, Canada, Namibia ed Australia). Nonostante le sanzioni, a due anni dall’inizio del conflitto in Ucraina, USA e altri Paesi occidentali continuano a comprare uranio arricchito dalla Russia4.
Dal Trattato di non proliferazione nucleare a quello sulla proibizione delle armi nucleari
Al momento sono solo nove i Paesi con armamenti nucleari: Stati Uniti (dal 1945), Russia (dal 1949), Regno Unito (dal 1952), Francia (dal 1960), Cina (dal 1964), India (dal 1974/1998), Pakistan (dal 1998), Corea del Nord (dal 2005) e Israele (che ha una politica di lunga data di deliberata ambiguità per quanto riguarda il suo programma nucleare). Ciò è dovuto principalmente al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP), approvato dall’Assemblea generale dell’ONU il 1° luglio 1968 ed entrato in vigore il 5 marzo 1970, che mira a prevenire la diffusione delle armi nucleari e a promuovere il disarmo. Il TNP è stato firmato da 191 Paesi, compresi 5 dei 9 Stati dotati di armi nucleari (che sono anche i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite), che hanno accettato di non sviluppare armi nucleari5 e, al tempo stesso, di promuovere la cooperazione negli usi pacifici dell’energia nucleare e promuovere l’obiettivo di raggiungere il disarmo nucleare e il disarmo generale e completo. Il trattato fu negoziato dal Comitato delle Diciotto Nazioni per il Disarmo, un’organizzazione sponsorizzata dalle Nazioni Unite con sede a Ginevra, in Svizzera, tra il 1965 e il 1968. Aperto alla firma nel 1968, il trattato è entrato in vigore nel 1970. L’11 maggio 1995 il trattato è stato prorogato a tempo indeterminato.
Per promuovere l’obiettivo della non proliferazione e come misura di rafforzamento della fiducia tra gli Stati, il Trattato ha istituito un sistema di controlli sotto la responsabilità dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA). I controlli vengono utilizzati per verificare il rispetto del Trattato attraverso ispezioni condotte dall’AIEA. Il Trattato promuove la cooperazione nel campo della tecnologia nucleare pacifica e la parità di accesso a questa tecnologia per tutti gli Stati, mentre le misure di controllo impediscono la diversione del materiale fissile per l’uso delle armi, rendendo difficile per gli Stati acquisire la capacità di produrre armi nucleari, compresi i controlli sulle esportazioni del Gruppo dei fornitori nucleari.
Le disposizioni del Trattato, in particolare l’articolo VIII, paragrafo 3, prevedono una revisione del funzionamento del Trattato ogni cinque anni, una disposizione che è stata riaffermata dagli Stati parti alla Conferenza di revisione ed estensione del TNP del 1995. Ma. la decima conferenza di revisione del TNP del 2015 si è conclusa senza l’adozione di un risultato sostanziale consensuale. Dopo il successo della Conferenza di revisione del 2010 in cui gli Stati sottoscrittori hanno concordato un documento finale che includeva conclusioni e raccomandazioni per azioni successive, inclusa l’attuazione della Risoluzione del 1995 sul Medio Oriente, l’incapacità di raggiungere un consenso nelle Conferenze di revisione consecutive costituisce una battuta d’arresto per il processo di revisione rafforzato istituito per garantire la responsabilità rispetto alle attività nell’ambito dei tre pilastri del Trattato (non proliferazione, disarmo e il diritto di utilizzare pacificamente la tecnologia nucleare) come parte del pacchetto a sostegno della proroga a tempo indeterminato del Trattato nel 1995. Il processo preparatorio per la Conferenza di revisione del 2026 è attualmente in corso.
I cinque Stati con armi militari (NWS) hanno concordato di non trasferire “armi nucleari o altri ordigni esplosivi nucleari” e di “non assistere, incoraggiare o indurre in alcun modo” uno Stato dotato di armi non nucleari (NNWS) ad acquisire armi nucleari (Articolo I). Le parti della NNWS al TNP hanno concordato di non “ricevere“, “fabbricare” o “acquisire” armi nucleari o di “cercare o ricevere assistenza nella fabbricazione di armi nucleari” (Articolo II). Le parti della NNWS hanno concordato inoltre di accettare garanzie da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) per verificare che non stiano dirottando l’energia nucleare da usi pacifici verso armi nucleari o altri ordigni esplosivi nucleari (Articolo III).
I cinque Stati della NWS si sono impegnati a non usare le loro armi nucleari contro uno Stato non-NWS se non in risposta ad un attacco nucleare o ad un attacco convenzionale in alleanza con uno Stato dotato di armi nucleari. Tuttavia, questi impegni non sono stati incorporati formalmente nel trattato e i dettagli esatti sono cambiati nel tempo.
I critici sostengono che il TNP non può fermare la proliferazione delle armi nucleari o la motivazione ad acquisirle. Esprimono disappunto per i progressi limitati sul disarmo nucleare, dove i cinque NWS riconosciuti dal TNP hanno ancora 13.400 testate nelle loro scorte combinate6. Diversi funzionari di alto rango delle Nazioni Unite hanno affermato che possono fare ben poco per impedire agli Stati di utilizzare tecnologie e processi di arricchimento dell’uranio destinati ad alimentare i reattori nucleari anche per produrre armi nucleari. Da questo punto di vista, un eventuale risveglio dell’interesse per l’energia nucleare potrebbe portare alla diffusione mondiale delle tecnologie di arricchimento dell’uranio e di ritrattamento del combustibile esaurito, che presentano evidenti rischi di proliferazione poiché queste tecnologie possono produrre materiali fissili direttamente utilizzabili nelle armi nucleari.
In effetti, la formulazione dell’Articolo VI del TNP impone solo un vago obbligo a tutti i firmatari del TNP di muoversi nella direzione del disarmo nucleare e totale, affermando: “Ciascuna delle Parti del Trattato si impegna a portare avanti negoziati in buona fede su misure efficaci relative alla rapida cessazione della corsa agli armamenti nucleari e al disarmo nucleare, nonché a un trattato sul disarmo generale e completo“. L’articolo VI non richiede rigorosamente che tutti i firmatari concludano effettivamente un trattato di disarmo. Si richiede loro, piuttosto, soltanto “di negoziare in buona fede”.
Allo stesso tempo, alcuni governi, in particolare gli Stati non dotati di armi nucleari appartenenti al Movimento dei Paesi Non Allineati, hanno interpretato il linguaggio dell’Articolo VI come costituente un obbligo formale e specifico per gli Stati dotati di armi nucleari riconosciuti dal TNP di disarmarsi delle armi nucleari, e sostengono che questi Stati non hanno rispettato i loro obblighi. La Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), nel suo parere consultivo sulla legalità della minaccia o dell’uso delle armi nucleari, emesso l’8 luglio 1996, interpreta all’unanimità il testo dell’articolo VI sostenendo che implica che; “Esiste l’obbligo di portare avanti in buona fede e portare a conclusione i negoziati che portino al disarmo nucleare in tutti i suoi aspetti sotto un controllo internazionale rigoroso ed efficace”. Il parere della Corte rileva che tale obbligo coinvolge tutte le parti del TNP (non solo gli Stati dotati di armi nucleari) e non suggerisce un periodo di tempo specifico per il disarmo nucleare.
Sulla base delle preoccupazioni per la lentezza del disarmo nucleare e la continua dipendenza dalle armi nucleari nei concetti, nelle dottrine e nelle politiche militari e di sicurezza, a seguito della Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICAN) – la cui direttrice esecutiva Beatrice Fihn ha accettato il premio Nobel per la pace 2017 a nome della Campagna e delle 652 organizzazioni che vi aderiscono – è stato adottato il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari nel luglio 20177 ed è stato successivamente aperto alla firma il 20 settembre 2017. Entrato in vigore il 22 gennaio 2021, vieta a ciascuno Stato che ne è parte lo sviluppo, i test, la produzione, lo stoccaggio, lo stazionamento, il trasferimento, l’uso e la minaccia di uso di armi nucleari, nonché l’assistenza a tali attività. Riafferma nel preambolo il ruolo vitale della piena ed effettiva attuazione del TNP. Ad oggi, 90 Paesi hanno firmato e 69 Stati hanno ratificato il trattato, più recentemente lo Sri Lanka. L’Italia non ha firmato e ratificato il Trattato.
La condivisione delle armi nucleari tra Stati Uniti e NATO
Al momento della negoziazione del TNP, la NATO aveva in essere accordi segreti di condivisione delle armi nucleari in base ai quali gli Stati Uniti fornivano armi nucleari da dispiegare e immagazzinare in altri Stati della NATO. Alcuni sostengono che si tratti di un atto di proliferazione che viola gli articoli I e II del trattato. Una controargomentazione è che gli Stati Uniti controllano le armi depositate all’interno degli Stati della NATO, e che non è previsto alcun trasferimento delle armi o controllo su di esse a meno che e fino a quando non sia stata presa la decisione di entrare in guerra, e a quel punto il trattato non sarebbe più il soggetto controllante, pertanto non vi sarebbe alcuna violazione del TNP. Questi accordi furono divulgati ad alcuni Stati, inclusa l’Unione Sovietica, che negoziavano il trattato, ma la maggior parte degli Stati che firmarono il TNP nel 1968 non sarebbero stati a conoscenza di questi accordi e interpretazioni in quel momento.
Si stima che gli Stati Uniti forniscano ancora circa 180 bombe nucleari tattiche B61 prima e ora B61-12 teleguidate e a potenza variabile (fino ai 45-60 kilotoni), a Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia nell’ambito degli accordi NATO. I critici sostengono che ciò viola gli articoli I e II del trattato8. Sottolineano che i piloti e altro personale degli Stati NATO “non nucleari” si esercitano a maneggiare e sganciare le bombe nucleari statunitensi, e che gli aerei da guerra non statunitensi (ad esempio, gli F-35 Lockheed Marietta) sono stati adattati o costruiti per sganciare bombe nucleari statunitensi, il che deve aver comportato il trasferimento di alcune informazioni tecniche sulle armi nucleari.
La NATO ritiene che le sue “forze nucleari continuano a svolgere un ruolo essenziale nella prevenzione delle guerre, ma il loro ruolo è ora più fondamentalmente politico“. Gli Stati Uniti hanno sempre sostenuto che le politiche di condivisione nucleare furono originariamente progettate per aiutare a prevenire la proliferazione delle armi nucleari, non ultimo persuadendo la Germania occidentale a non sviluppare una capacità nucleare indipendente e assicurandole che sarebbe stata in grado, in caso di guerra con il Patto di Varsavia, di maneggiare armi nucleari (statunitensi) per legittima difesa (fino a quel momento, tuttavia, le armi stesse sarebbero rimaste nelle mani degli Stati Uniti). L’obiettivo era limitare la diffusione di Paesi dotati di propri programmi di armi nucleari, contribuendo a garantire che gli alleati della NATO non scegliessero di intraprendere la strada della proliferazione.
I preparativi per il dispiegamento di armi nucleari russe in Bielorussia
Il 27 febbraio 2022, poco dopo l’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022, in Bielorussia è stato organizzato un referendum per rimuovere il divieto costituzionale di installare armi nucleari sul suo territorio. Il 25 giugno 2022, il presidente della Bielorussia Lukashenko ha incontrato il presidente russo Putin per discutere dello spiegamento di missili russi a corto raggio con capacità nucleare sul territorio della Bielorussia. Il trasferimento delle testate nucleari richiederebbe un’ulteriore decisione, possibilmente dopo alcuni anni, e potrebbe essere legato alle future decisioni della NATO.
In Bielorussia, la Russia prevede di schierare sistemi missilistici Iskander-M con capacità nucleare. I piani prevedono sia la versione convenzionale che quella nucleare del missile. Inoltre, Putin ha affermato che faciliterà le modifiche necessarie affinché i bombardieri bielorussi Su-25 possano trasportare missili nucleari.
Il 14 giugno 2023, il presidente Lukashenko ha affermato che la Russia aveva iniziato a spostare armi nucleari tattiche nel territorio della Bielorussia. Il presidente russo ha detto che le armi sono state spostate “come misura deterrente” contro le minacce allo Stato russo e non sarebbero controllate dalla Bielorussia. La NATO non ha visto prove di un cambiamento nella posizione nucleare della Russia, mentre l’intelligence ucraina ha affermato che non è stata ancora trasferita una sola testata.
La triste fine dei trattati militari bilaterali tra Stati Uniti e Russia
In un momento storico che segna la chiusura dei capitoli della Guerra Fredda, i presidenti Ronald Reagan e Mikhail S. Gorbachev conclusero il vertice di Ginevra del 1985 rilasciando una dichiarazione congiunta in cui si dichiarava che “una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta”. Allora sembrava possibile la formazione di una nuova architettura di sicurezza globale ed europea basata sulla cooperazione. Questo impegno ha aperto la strada a una serie di accordi storici per ridurre gli arsenali nucleari di Russia e Stati Uniti, che insieme detengono la stragrande maggioranza delle armi più distruttive del mondo, e per limitarne la diffusione a livello globale. Nel contesto di rapporti molto più conflittuali tra Mosca e Washington degli ultimi anni e soprattutto della guerra in Ucraina che ha innescato la peggiore crisi nelle relazioni di Mosca con l’Occidente dai tempi della Guerra Fredda, l’architettura del disarmo e della non proliferazione è stata gradualmente smantellata. Oggi, i legami tra Russia e Stati Uniti (che Mosca considera il principale ostacolo all’emergere di un nuovo ordine mondiale multipolare) sono al livello più basso dalla crisi dei missili cubani del 1962. E in questo problematico contesto, in un Paese come la Germania cresce la richiesta che l’UE si doti di armi nucleari, giustificata con la valutazione che se Donald Trump vincesse le elezioni presidenziali americane a novembre, lo “scudo protettivo nucleare” degli Stati Uniti sull’Europa non sarebbe più sicuro9.
L’amministrazione di Donald Trump ha deciso di ritirare gli USA dall’Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty (INF), il trattato della pace nucleare firmato l’8 dicembre 1987 a Washington da Ronald Reagan e Michail Gorbačëv (e ratificato dal Senato americano nel 1988), che è stata una delle pietre miliari del disgelo che portò alla fine della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica10. L’INF era un caposaldo del disarmo nucleare (soprattutto in Europa, dove tra il 1977 e il 1983 erano stati localizzati migliaia di missili nucleari) perché proibiva l’uso di sistemi missilistici nucleari e convenzionali lanciati da terra a corto e medio raggio, ma Trump ha deciso di rottamarlo per spianare la strada a un riarmo degli Stati Uniti nell’agosto 2019, rimuovendo i limiti di portata dei missili lanciati da terra11.
Per anni gli Stati Uniti hanno accusato Mosca di violare gli impegni presi nel 1987 e lo strappo di Trump ha riaperto la corsa agli armamenti che mette in pericolo la sicurezza di tutti i Paesi. Il primo a denunciare ufficialmente la Russia per continue violazioni dell’accordo fu, nel 2014, Barack Obama che accusò Putin di dispiegare armi nucleari tattiche proibite per intimidire i Paesi dell’ex blocco sovietico poi entrati o avvicinatisi alla NATO. A loro volta i russi hanno accusato gli Stati Uniti di aver dislocato i lanciatori dello scudo antimissile in Romania, identici a quelli usati per i missili proibiti dall’INF. Obama, nonostante i rapporti non facili con Putin, scelse di non lasciare l’INF per non provocare un’escalation. Con gli USA fuori dal trattato INF, una delle prime mosse del Pentagono, infatti, è quella di dispiegare missili con testate nucleari nel Pacifico asiatico, per contrastare la crescente influenza della Cina. In attesa di mettere a punto nuove testate nucleari (il Pentagono sta spendendo 1,2 trilioni di dollari per una nuova generazione di armi nucleari nei prossimi tre decenni), gli USA stanno modificando vecchi missili Tomahawk per poi piazzarli in Giappone e nella base USA di Guam. Il passo successivo sarebbe quello di tornare a rafforzare il sistema degli euromissili in Europa (ad esempio, localizzandoli in Polonia e nei Paesi baltici).
Questo mentre Cina, Corea del Sud, Corea del Nord, India, Pakistan, Iran, Arabia Saudita e Israele, non essendo contraenti dell’INF, hanno potuto dotarsi di arsenali missilistici. In particolare, la Cina ha sviluppato programmi di rafforzamento e ammodernamento del suo arsenale missilistico nel Pacifico (con i missili balistici ipersonici plananti12 DF-21, DF-26 e DF -41, quest’ultimo in grado di colpire USA, Hawaii e Alaska in pochi minuti). La Russia, invece, ha dispiegato il sistema missilistico Novator 9M729, che secondo Washington ha una portata di 2.600 km, mentre i russi sostengono che sia inferiore ai 500 km. I russi hanno anche testato con successo e adottato il sistema Avangard, un nuovo missile ipersonico planante intercontinentale capace di viaggiare a 27 volte la velocità del suono (34mila km all’ora) che è stato dispiegato dal 2019 (ora anche nei silos sotterranei nella Russia meridionale).
Negli ultimi anni, i trattati sul disarmo sono stati una delle questioni di controversia tra Stati Uniti e Russia. Il sofisticato sistema bilaterale è stato in gran smantellato. Il trattato ABM del 1972 sulla restrizione dei sistemi di difesa missilistica è stato cancellato dall’amministrazione di George W. Bush nel 2002, mentre il trattato INF è stato affossato da Trump. Nel novembre 2020, Trump ha stracciato anche il Trattato Open Skies, entrato in vigore nel 2002, che consentiva a ciascuno Stato parte di effettuare voli di osservazione disarmati e con breve preavviso sull’intero territorio degli altri per raccogliere dati sulle forze e sulle attività militari. Nel giugno 2021 anche la Russia è uscita dal Trattato. Né Barack Obama né Joe Biden hanno cercato di rilanciare quegli accordi soffocati dai loro predecessori repubblicani.
L’accordo più recente e di ampia portata, il nuovo trattato New START, firmato da Barack Obama e da Dmitri Medvedev nel 2010, che ha limitato il numero di testate strategiche dispiegate su entrambi i lati a 1.550 e a 700 quelle imbarcate su bombardieri e missili, scadeva il 5 febbraio 2021. Pochi giorni prima della scadenza Vladimir Putin ha firmato una legge che ha esteso per 5 anni (febbraio 2026) il New START, l’ultimo trattato sul controllo delle armi nucleari tra Russia e Stati Uniti. Putin e Biden avevano discusso l’accordo sul nucleare il giorno prima e il Cremlino aveva affermato di aver accettato di completare le necessarie procedure di proroga nei giorni successivi. L’estensione del patto non ha richiesto l’approvazione del Congresso USA. In base al trattato Russia e Stati Uniti dovrebbero ispezionare regolarmente reciprocamente gli impianti nucleari e limitare le testate, ma la Russia ha sospeso il trattato a febbraio.
Da parte sua, a partire dall’invasione dell’Ucraina, Putin ha fatto molto per aumentare le tensioni atomiche. Le sue minacce di usare armi nucleari hanno ribadito ad alta voce la dottrina solitamente non sbandierata. Sia la Russia (ad eccezione di una pausa di undici anni) che gli Stati Uniti hanno sempre affermato la possibilità di essere i primi a utilizzare le armi nucleari in un conflitto. La guerra in Ucraina ha gettato il mondo più vicino che mai al precipizio termonucleare. E, mentre gli orrori quotidiani vengono inflitti al popolo ucraino dalla guerra della Russia, l’atteggiamento prevalente negli Stati Uniti è che Putin non sia degno di negoziare su nulla. D’altra parte, anche lo stesso Putin considera Stati Uniti e NATO come controparti del tutto inaffidabili.
Si può dire che con la guerra in Ucraina l’obiettivo generale del presidente Vladimir Putin sia stato quello di mettere in discussione le strutture di sicurezza post-sovietiche che sono state concordate in Europa dopo il 1989-1991, ma che hanno consentito agli Stati Uniti di “venire con i suoi missili alla nostra porta“, per ricreare una sfera di influenza. Putin aveva già espresso con chiarezza la sua posizione in un suo sensazionale discorso alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco nel febbraio 2007, in cui aveva delineato la sua critica globale alle potenze occidentali e il rifiuto della Russia di accettare qualsiasi ulteriore espansione verso est della NATO. Alla conferenza stampa annuale del dicembre 2021, Putin aveva chiarito la sua versione dei fatti: “’Non un pollice ad est‘ ci hanno detto negli anni Novanta. E allora? Ci hanno imbrogliato, ci hanno semplicemente ingannato sfacciatamente!”
Con la guerra in Ucraina Putin cerca di fermare l’espansione verso est della NATO e nel dicembre 2021 aveva chiesto “impegni scritti” giuridicamente vincolanti che gli USA e la NATO non avrebbero mai invitato Ucraina, Georgia o Moldavia ad entrare nell’alleanza e che gli alleati ritirassero truppe e sistemi missilistici difensivi dall’Europa orientale13. La bozza di trattato in otto punti era stata pubblicata dal ministero degli Esteri russo mentre le sue forze militari si erano ammassate a pochissima distanza dai confini dell’Ucraina. Putin chiedeva un accordo sull’architettura della sicurezza europea che garantisse anche la sicurezza della Russia e dei suoi alleati attraverso la neutralità dell’Ucraina (che l’Occidente riconoscesse il diritto di Mosca a una sfera di interessi privilegiati nello spazio post-sovietico). Una richiesta sdegnosamente rifiutata da Ucraina e NATO che l’hanno considerata alla stregua di un ricatto.
Non avendo ottenuto nulla, Putin ha quindi proceduto all’invasione dell’Ucraina (24 febbraio 2022)14 e da allora ha anche abbandonato i trattati di non proliferazione militare ancora in vigore.
Ai primi di novembre il presidente Putin ha firmato la revoca della ratifica da parte della Russia del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (CTBT) del 199615. Una mossa che secondo i russi è finalizzata ad allineare Mosca agli Stati Uniti. La nuova legge che abbandona lo storico accordo (sottoscritto nel 2000) è stata firmata il 2 novembre, una settimana dopo che il Consiglio della Federazione della Camera alta della Russia l’ha approvata all’unanimità. Il trattato del 1996, che è stato ratificato da 177 Stati, mette al bando tutte le esplosioni nucleari, compresi i test di armi nucleari, sebbene non sia finora mai entrato in vigore perché alcuni Paesi chiave come gli Stati Uniti che lo avevano firmato, non lo hanno mai ratificato (come anche Cina, India, Pakistan, Corea del Nord, Israele, Iran ed Egitto) e hanno osservato una moratoria sulle esplosioni di test di armi nucleari dal 1992.
Robert Floyd, capo dell’Organizzazione per la messa al bando totale dei test nucleari, il cui compito è promuovere il riconoscimento del trattato e costruire un regime di verifica per garantire che nessun test nucleare passi inosservato, ha condannato il passo della Russia. Non è chiaro se la revoca porterà la Russia a riprendere i test sulle armi nucleari16. Il vice ministro degli Esteri Sergei Ryabkov ha dichiarato all’inizio di novembre che Mosca continuerà a rispettare il divieto e riprenderà i test nucleari solo se gli Stati Uniti lo faranno. “Come ha detto il nostro presidente, dobbiamo stare in allerta, e se gli Stati Uniti si avviano verso l’inizio dei test nucleari, dovremo rispondere allo stesso modo“, ha detto il funzionario.
Ryabkov ha dichiarato a fine ottobre che il Cremlino ha ricevuto proposte informali dagli Stati Uniti per riprendere i colloqui su questioni di stabilità strategica e controllo degli armamenti “isolandosi da tutto ciò che sta accadendo”. Tuttavia, ha affermato che Mosca ritiene che sia “semplicemente impossibile” ritornare a tale dialogo senza un cambiamento nel “corso profondamente ostile nei confronti della Russia da parte degli Stati Uniti”.
Ai primi di novembre la Russia si è anche formalmente ritirata dallo storico Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa (CFE) del 1990, accusando gli Stati Uniti di aver minato la sicurezza post-Guerra Fredda con l’allargamento dell’alleanza militare della NATO. Firmato un anno dopo la caduta del muro di Berlino, poneva limiti verificabili alle categorie di equipaggiamenti militari convenzionali che la NATO e l’allora Patto di Varsavia potevano schierare17.
Solo pochi giorni dopo il ministero della Difesa russo ha fatto sapere che il nuovo sottomarino russo a propulsione nucleare Imperator Alexander III (varato nel dicembre 202218) ha effettuato con successo un lancio di prova del missile balistico Bulava, progettato per trasportare testate nucleari. Il lancio del missile balistico era l’elemento finale dei test statali per decidere se adottarlo come arma nella Marina. Il missile intercontinentale, lanciato da una posizione sottomarina nel Mar Bianco al largo della costa settentrionale della Russia, ha colpito un bersaglio a migliaia di chilometri di distanza sulla penisola di Kamchatka, nell’Estremo Oriente russo. Il missile Bulava, lungo 12 metri, che ha una portata stimata di circa 8.000 km e può trasportare fino a sei testate nucleari, è diventato la pietra angolare della parte navale del sistema militare nucleare russo.
Confronto, scontro e colloqui tra Stati Uniti e Cina
Se il sistema di controllo e non proliferazione nucleare tra Russia e Stati Uniti è stato in gran parte smantellato, ci sono dei primi segnali riguardo alla possibilità che venga costruito un sistema bilaterale tra Stati Uniti e Cina. Funzionari di Cina e Stati Uniti hanno tenuto colloqui ai primi di novembre sul controllo degli armamenti e sulla non proliferazione a Washington mentre entrambe le parti si sono impegnate a rafforzare la fiducia reciproca, creare consenso, gestire le differenze ed esplorare la cooperazione, secondo una dichiarazione rilasciata dal Ministero degli Affari Esteri (MAE) cinese. L’incontro si è svolto tra Sun Xiaobo, capo del dipartimento di controllo degli armamenti del MAE, e Mallory Stewart, vicesegretario di Stato americano per l’Ufficio di controllo, verifica e conformità degli armamenti.
Le due parti hanno avviato scambi di opinioni approfonditi, franchi e costruttivi su un’ampia gamma di questioni, tra cui il TNP, la cooperazione tra i cinque Stati dotati di armi nucleari che hanno sottoscritto il Trattato, la sicurezza nucleare, la non proliferazione e il controllo delle esportazioni, conformità alla biosicurezza, sicurezza dello spazio extra-atmosferico e controllo degli armamenti convenzionali. Pechino ha sottolineato che entrambe le parti dovrebbero sostenere una prospettiva di sicurezza comune, globale, cooperativa e sostenibile, rispettare la sovranità, la sicurezza e gli interessi di sviluppo degli altri, rafforzare la fiducia reciproca strategica e lavorare per mantenere il sistema internazionale di controllo degli armamenti e di non proliferazione.
Per gli Stati Uniti il problema chiave riguarda la determinazione cinese a modernizzare il proprio apparato militare che è in parte guidata dalla convinzione che gli Stati Uniti siano impegnati in uno sforzo sistematico per sopprimere lo sviluppo economico della Cina, impedire l’unificazione di Taiwan con la Cina continentale19 e mantenere l’egemonia globale degli Stati Uniti20. Fino al 2020, l’arsenale cinese era rimasto pressoché invariato rispetto ai decenni precedenti e ammontava a circa 220 testate su missili montati su lanciatori mobili. Da allora, tuttavia, la Cina ha continuato ad espandere e modernizzare rapidamente il proprio arsenale. Nel 2020, per garantire un’efficace deterrenza, ha iniziato a costruire i primi tre silos sotterranei per ospitare più di 300 missili balistici intercontinentali (ICBM). Un anno dopo, ha testato con successo un missile ipersonico planante che ha viaggiato per 21.600 miglia, una prova che probabilmente ha dimostrato la capacità della Cina di utilizzare armi in grado di orbitare intorno alla terra prima di colpire obiettivi, noto come “sistema di bombardamento orbitale frazionato”21. Allo stesso tempo, il governo cinese ha accelerato il suo perseguimento di una triade nucleare completa – che comprenda armi nucleari lanciate via terra, mare e aria – anche attraverso lo sviluppo di nuovi missili balistici sottomarini e aerei. Entro il 2030, secondo le stime del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, la Cina avrà probabilmente più di 1.000 testate nucleari operative, un aumento più che quadruplicato rispetto ad appena un decennio prima. Gli Stati Uniti temono che il potenziamento nucleare cinese non sia solo guidato dal crescente senso di vulnerabilità e insicurezza di fronte all’evoluzione delle capacità degli Stati Uniti e, quindi, non abbia solo l’obiettivo di mantenere forze sufficienti per poter reagire in caso di attacco – politica della Cina da decenni –, ma sia una “svolta strategica” che potrà anche offrire opzioni offensive (sviluppare una capacità di primo attacco, avendo abbastanza armi per distruggere l’arsenale nucleare di un avversario o per attuare un secondo attacco di ritorsione), ad esempio nel corso di una crisi per Taiwan, aumentando ulteriormente il rischio di incidenti o errori di calcolo. Il rischio è che vi sia una accelerazione di un pericoloso ciclo di azione-reazione che possa innescare una grande corsa agli armamenti nucleari tra Cina e Stati Uniti.
Secondo alcuni analisti di Foreign Affairs, considerati i timori di Cina e Stati Uniti riguardo ai reciproci programmi nucleari, una maggiore comunicazione potrebbe aiutare a spezzare la spirale. Sulla base dei timori cinesi, gli Stati Uniti dovrebbero capire come i cambiamenti nelle loro capacità nucleari e nella loro dottrina (delineati nella Nuclear Posture Review del Pentagono del 2018 che ha evidenziato la Cina come un “concorrente strategico” e ha auspicato un potenziamento delle armi nucleari aeree, con il bombardiere stealth B-21 Raider, ed eventualmente spaziali, con l’aeroplano spaziale X-37B) svolgano un ruolo fondamentale nel plasmare la percezione della minaccia e i requisiti di forza percepiti dalla Cina22.
In futuro, la Cina continuerà a rispondere ai progressi degli Stati Uniti perché considerati un indebolimento del deterrente nucleare cinese23. Allo stesso modo, Pechino dovrebbe capire che la mancanza di trasparenza riguardo alla sua rapida espansione nucleare ha alimentato le valutazioni del caso peggiore da parte degli Stati Uniti. La continua mancanza di trasparenza porterà a un sospetto ancora maggiore da parte degli Stati Uniti e alimenterà una crescente corsa agli armamenti tra i due Paesi.
Nonostante un clima politico fortemente nazionalistico e anti-cinese negli Stati Uniti, il 15 novembre Biden ha fortemente voluto un incontro con Xi Jinping a San Francisco per far ripartire il dialogo, stabilizzare il disaccordo e riaprire la cooperazione bilaterale. Hanno riconosciuto la necessità di evitare conflitti e incidenti sul mar Cinese meridionale o sullo Stretto di Taiwan (XI ha ribadito che la questione di Taiwan è la questione più importante e delicata nelle relazioni Cina-USA), ripristinando le comunicazioni dirette a livello militare24. Se gli Stati Uniti e la Cina non possono permettersi una rancorosa separazione economico-politica, tanto meno possono permettersi una guerra. Poche delle sfide globali più urgenti, dalla crisi del surriscaldamento climatico all’intelligenza artificiale alla salute globale, possono essere affrontate se queste due superpotenze non riescono a sedersi allo stesso tavolo e a parlarsi. Gli Stati Uniti dovrebbero superare una visione di fondo irrealistica per il futuro delle relazioni USA-Cina, che punta alla forza militare come unico strumento del potere americano, cercando il dialogo e la cooperazione al servizio di obiettivi nazionali e globali più ampi.
Alessandro Scassellati
- La dottrina della Mutual Assured Destruction (Mutua Distruzione Assicurata – MAD) è un costrutto che è stato sviluppato durante la Guerra Fredda e viene considerata la ragione che ha impedito la guerra tra Stati Uniti e Unione Sovietica perché ciascuna parte possedeva armi nucleari che avrebbero annientato l’altra. Ergo, secondo questa dottrina, la guerra nucleare non potrebbe verificarsi se non per motivi di irrazionalità o per incidenti, come un lancio “accidentale” o provocatorio di un missile nucleare o una cattiva comunicazione tra le parti. Il pianeta è arrivato terribilmente vicino alla guerra nucleare almeno 33 volte dal 1950, a causa di errori informatici, cattiva condotta o disattenzione umana e mancata comunicazione, tutti casi documentati. Alcuni di noi ricordano la crisi missilistica cubana del 1962, probabilmente il momento più vicino a cui l’umanità è arrivata al conflitto nucleare.[↩]
- Nel luglio 2015 era stato firmato dagli USA (riconosciuto da Obama con un atto esecutivo, ma mai ratificato dal Congresso) l’accordo con l’Iran sulla non proliferazione nucleare JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action). Un accordo che era stato firmato anche da Russia, Cina, Germania, Regno Unito, Francia e poi ratificato all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU con la risoluzione 2231, che aveva consentito la sospensione delle sanzioni multilaterali adottate dall’ONU con la risoluzione 1929 nel 2010 e di una parte di quelle secondarie degli USA (quelle decise per punire il programma nucleare di arricchimento dell’uranio). Il presidente Trump ha deciso di ripudiare l’accordo l’8 maggio 2018, rimponendo le sanzioni nucleari degli Stati Uniti (incluse le sanzioni secondarie riguardo a terzi che fanno affari o acquistano petrolio dall’Iran), riaprendo una nuova stagione di forti tensioni e conflitti con l’Iran. Fino ad allora le verifiche dell’AIEA sono state le più stringenti mai attuate e hanno sempre confermato che l’Iran ha rispettato l’intesa (almeno per un anno dopo la decisone di Trump) sul grado di arricchimento dell’uranio. Senza l’accordo, l’Iran è tornato semplicemente libero di reinstallare alcune delle migliaia di centrifughe che aveva smantellato, espandere gradualmente le scorte di uranio arricchito, riprendere senza vincoli la ricerca e lo sviluppo nucleare e ricominciare la costruzione di un reattore ad acqua pesante in grado di produrre plutonio per uso militare. Tutto ciò in assenza delle ispezioni internazionali previste nell’accordo.[↩]
- Dalla fine della Guerra Fredda gli Stati Uniti hanno eliminato oltre 13 mila armi nucleari, smantellando oltre l’80% delle testate strategiche schierate e il 90% delle testate non strategiche schierate alla NATO, eliminando nel frattempo intere categorie di testate e sistemi di lancio e riducendo la sua dipendenza dalle armi nucleari. Quando gli sforzi di smantellamento accelerato ordinati dal presidente George W. Bush furono completati, l’arsenale statunitense era meno di un quarto delle sue dimensioni alla fine della Guerra Fredda, e più piccolo di quanto non fosse mai stato dai tempi dell’amministrazione Eisenhower prima della stesura del TNP. Gli Stati Uniti hanno anche acquistato uranio equivalente a molte migliaia di armi, precedentemente utilizzato nelle armi nucleari sovietiche, per convertirlo in combustibile per reattori. Il senatore repubblicano Richard Lugar del Nevada e il senatore democratico Sam Nunn della Georgia portarono il Congresso a passare il Cooperative Threat Reduction Program, meglio noto come programma Nunn-Lugar, che ha assicurato lo smantellamento delle armi di distruzione di massa nelle ex repubbliche sovietiche. Il programma ha disattivato migliaia di testate nucleari dirette verso gli Stati Uniti e distrutto grandi quantità di armi chimiche e di altro tipo. Come conseguenza di quest’ultimo sforzo, è stato stimato che negli Stati Uniti l’equivalente di una lampadina su dieci è alimentata dal combustibile nucleare rimosso dalle testate precedentemente mirate agli Stati Uniti e ai suoi alleati durante la Guerra Fredda.[↩]
- Secondo il Wall Street Journal, solo nell’ultimo anno le imprese statunitensi hanno acquistato dalla Russia uranio arricchito per circa un miliardo di dollari per alimentare i 93 i reattori commerciali operativi in 54 centrali nucleari. Circa il 25% di tutto l’uranio arricchito utilizzato dalla rete di centrali nucleari americane viene fornito dal colosso russo Rosatom (che gestisce l’uranio prodotto in Kazakistan, Uzbekistan e Russia). Ad ammetterlo, a novembre, è stata la vicesegretaria per l’Energia nucleare del Dipartimento dell’Energia, Kathryn Huff, la quale ha definito “preoccupante che circa il 20% del combustibile utilizzato dalla flotta di reattori nucleari statunitensi venga fornito attraverso contratti di arricchimento con fornitori russi”. Diversi i Paesi estraggono uranio, ma quello utilizzato dalle centrali deve essere sottoposto ad un “arricchimento”, processo che avviene in un numero ristretto di Paesi. Un mercato globale controllato per quasi il 50% dal gruppo Rosatom. Rosatom è anche il principale fornitore al mondo di “haleu” (uranio arricchito in modo che la concentrazione dell’isotopo fissile U-235 sia compresa tra il 5 e il 20% della massa del combustibile), il carburante essenziale per alimentare la nuova generazione di reattori più piccoli ed efficienti che la coalizione dei 22 Paesi intende realizzare. Nessuna delle concorrenti, ovvero le francesi Orano e Urenco o il consorzio britannico, tedesco e olandese, sembrano in grado di offrire la stessa quantità e qualità di uranio arricchito. Biden ha chiesto al Congresso oltre due miliardi di dollari per incentivare le imprese nucleari statunitensi ad aumentare la capacità di arricchimento e di produzione di “haleu”.[↩]
- Nel 1992, la Repubblica popolare cinese (RPC)e la Francia hanno aderito al TNP, le ultime delle cinque potenze nucleari riconosciute dal trattato a farlo. La Corea del Nord ha aderito nel 1985, ma non si è mai conformata, e ha annunciato il suo ritiro dal TNP nel 2003, in seguito alla detonazione di ordigni nucleari in violazione degli obblighi fondamentali. Quattro Stati membri delle Nazioni Unite non hanno mai sottoscritto il TNP, tre dei quali possiedono o si ritiene possiedano armi nucleari: India, Israele e Pakistan. Inoltre, il Sud Sudan, fondato nel 2011, non ha aderito. Diversi Stati parti del TNP hanno rinunciato alle armi nucleari o ai programmi di armi nucleari. Il Sudafrica ha intrapreso un programma di armi nucleari, ma da allora vi ha rinunciato e ha aderito al trattato nel 1991 dopo aver distrutto il suo piccolo arsenale nucleare; successivamente, i restanti Paesi africani firmarono il trattato. Le ex repubbliche sovietiche dove erano installate armi nucleari, vale a dire Ucraina, Bielorussia e Kazakistan (il Kazakistan possedeva il quarto arsenale nucleare più grande del mondo) hanno rinunciato volontariamente a queste armi dopo aver ottenuto l’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991. Hanno trasferito tali armi alla Russia nel 1991 e hanno aderito al TNP nel 1994 in seguito alla firma del Memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza. L’Italia ha sottoscritto il TNP il 24 aprile 1975.[↩]
- Alcuni critici dei NWS riconosciuti dal TNP (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) sostengono che ciò che vedono come il fallimento di questi Stati nel disarmarsi delle armi nucleari, soprattutto nell’era successiva alla Guerra Fredda, ha causato la reazione di alcuni firmatari del TNP non dotati di armi nucleari. Tale fallimento, aggiungono questi critici, ha fornito la giustificazione ad alcuni firmatari del TNP per abbandonare il Trattato e sviluppare i propri arsenali nucleari. Altri osservatori hanno suggerito che il collegamento tra proliferazione e disarmo potrebbe funzionare anche nel senso opposto, vale a dire che l’incapacità di risolvere le minacce di proliferazione in Iran e Corea del Nord, ad esempio, paralizza le prospettive di disarmo. Nessun NWS, si sostiene, prenderebbe seriamente in considerazione l’eliminazione delle sue ultime armi nucleari senza avere la minima fiducia che altri Paesi non le acquisiscano. Alcuni osservatori hanno addirittura suggerito che lo stesso progresso nel disarmo da parte delle superpotenze – che ha portato all’eliminazione di migliaia di armi e sistemi di lancio – potrebbe alla fine rendere più attraente il possesso di armi nucleari, aumentando il valore strategico percepito di un piccolo arsenale nucleare. Come avvertì nel 2007 un funzionario statunitense ed esperto del TNP, “la logica suggerisce che man mano che il numero delle armi nucleari diminuisce, aumenta l’’utilità marginale’ di un’arma nucleare come strumento di potenza militare. All’estremo, che è proprio la speranza del disarmo creare, l’utilità strategica anche di una o due armi nucleari sarebbe enorme”. Avere più Stati dotati di armi nucleari ridurrebbe la sicurezza per tutti, moltiplicando i rischi di errori di calcolo, incidenti, uso non autorizzato di armi, escalation delle tensioni e conflitti nucleari.[↩]
- Un mandato adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 23 dicembre 2016 prevedeva due sessioni di negoziati: dal 27 al 31 marzo e dal 15 giugno al 7 luglio 2017. Il trattato è stato approvato nei tempi previsti il 7 luglio con 122 voti favorevoli, uno contrario (Paesi Bassi) e una astensione ufficiale (Singapore). Sessantanove Stati non hanno votato, tra cui tutti gli Stati dotati di armi nucleari e tutti i membri della NATO tranne i Paesi Bassi.[↩]
- Il 2 ottobre 2023 è stata depositata alla Procura presso il Tribunale di Roma una denuncia per accertare la presenza di armi nucleari in Italia (nelle basi militari NATO di Ghedi ed Aviano ce ne sarebbero oltre 100), verificarne la illegittimità ed individuare i responsabili. Stando alla denuncia, mancherebbero le licenze e/o autorizzazioni all’importazione di armi visto che l’accertata presenza sul territorio presuppone necessariamente un loro passaggio attraverso il confine. Qualsiasi autorizzazione peraltro – si legge nella denuncia – confliggerebbe con l’articolo 1 della legge 185/90 che recita: “L’esportazione, l’importazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiale di armamento nonché́ la cessione delle relative licenze di produzione e la delocalizzazione produttiva devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia. Tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. D’altra parte, l’art. 11 della Costituzione Italiana recita che: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. La denuncia è sottoscritta a livello individuale da 22 esponenti di associazioni pacifiste e antimilitariste: Abbasso la guerra, Donne e uomini contro la guerra, Associazione Papa Giovanni XXIII, Centro di documentazione del Manifesto Pacifista Internazionale, Tavola della Pace Friuli Venezia Giulia, Rete Diritti Accoglienza Solidarietà Internazionale, Pax Christi, Pressenza, WILPF, Centro sociale 28 maggio, Coordinamento No Triv e singoli cittadini. È partita anche una sottoscrizione popolare che si può sottoscrivere online grazie alla piattaforma predisposta all’interno del sito di PeaceLink, storico portale telematico del pacifismo italiano. Andando a questo indirizzo è possibile firmare la petizione di adesione.[↩]
- L’ex ministro degli Esteri tedesco Josef Fischer (Alleanza 90/Verdi) si è unito all’appello del politologo Herfried Münkler, molto influente a Berlino, secondo cui “l’Europa” deve “costruire capacità nucleari”: “L’UE ha bisogno del proprio nucleare deterrente”, afferma Fischer. La richiesta, diffusa dai media tedeschi ad alta diffusione, è giustificata con la valutazione che se Donald Trump vincesse le elezioni presidenziali americane a novembre, lo “scudo protettivo nucleare” degli Stati Uniti sull’Europa non sarebbe più sicuro; l’UE deve avere un’alternativa. Il contesto è il riarmo contro la Russia, che il governo federale sta portando avanti con energia. Oltre al riarmo convenzionale e alla propagazione della “capacità bellica”, oggi c’è anche la ricerca delle armi nucleari. I sottomarini inglesi equipaggiati di armi nucleari e la Force de frappe francese non sono considerati sufficienti perché non si può essere sicuri che Londra e Parigi siano davvero disposte a “proteggere la Lituania o la Polonia” in caso di guerra, ha spiegato Münkler.[↩]
- Questo accordo obbligava i due Stati a distruggere tutti i loro missili balistici e da crociera lanciati da terra con un range compreso tra 500 e 5.500 km. Pertanto, a seguito dell’accordo ci fu la distruzione di 2.692 missili nucleari, 846 Pershing II e Cruise americani e 1.846 SS-20 russi.[↩]
- Trump sembrava essere pronto a giocare con il fuoco, sostenendo che “abbiamo una quantità enorme di denaro con cui giocare per le spese militari” e con cui perseguire quella che i russi definivano una politica di “frivolezza strategica” con il ritiro dall’INF e la messa in discussione il New START. Pochi giorni dopo la scadenza dell’INF, gli Stati Uniti hanno annunciato di voler dispiegare nuovi missili a medio raggio in Asia, in tempi rapidi, preferibilmente entro i pochi mesi, con l’obiettivo di contrastare l’ascesa della Cina nella regione.[↩]
- Le armi ipersoniche non sono difensive, ma offensive: possono colpire a migliaia di chilometri di distanza in pochi minuti e superare qualunque sistema attuale di difesa. È a partire da questo tipo di missili in grado di trasportare testate nucleari multiple, che si è di nuovo scatenata una corsa agli armamenti tra USA, Russia e Cina in grado di sconvolgere le basi della sicurezza globale.[↩]
- Il documento russo chiedeva a Russia e USA di ritirare fuori portata qualsiasi sistema missilistico a corto o medio raggio, sostituendo il precedente trattato sulle forze nucleari a medio raggio (INF) che gli Stati Uniti avevano lasciato nel 2019.[↩]
- Mosca aveva affermato con chiarezza che ignorare i suoi interessi avrebbe portato a una “risposta militare” simile alla crisi dei missili cubani del 1962, quando Nikita Khrushchev e Fidel Castro erano intenzionati a posizionare qualche missile a Cuba, a 150 chilometri dalle coste USA oltre lo stretto della Florida.[↩]
- L’esercito russo ha condotto una “massiccia” esercitazione di ritorsione con attacco nucleare, poche ore dopo che la camera alta del parlamento ha votato per revocare la ratifica da parte del Paese del divieto globale di test nucleari. L’esercitazione, che prevedeva il lancio di prova di missili da un silo terrestre, da un sottomarino nucleare e da aerei bombardieri a lungo raggio, è stata supervisionata dal presidente Putin. L’esercitazione russa si è contrapposta all’esercitazione nucleare NATO “Steadfast Noon” con le atomiche USA ad Aviano, Ghedi e al porto nucleare di Trieste. L’esercitazione NATO aveva il compito di addestrare le aeronautiche militari dei Paesi membri all’impiego in un conflitto di armi nucleari. La maxi-esercitazione ha interessato dal 16 al 26 ottobre buona parte dell’Italia, in particolare le regioni centro-settentrionali, la Puglia, la Sardegna, il basso Tirreno, il mar Adriatico e la vicina Croazia. Le aree dei “war games” sono state interdette alla navigazione aerea; inoltre sono stati predisposti corridoi di transito per far raggiungere ai velivoli con e senza pilota le aree operative sul Tirreno dalle basi di Aviano e Ghedi, Amendola, Gioia del Colle e Trapani-Birgi. All’esercitazione hanno partecipato 13 Paesi NATO con una sessantina di cacciabombardieri predisposti all’impiego di armi nucleari.[↩]
- Nel corso di quattro decenni, tra il 1949 e il 1989, 456 bombe nucleari furono fatte esplodere dall’Unione Sovietica nel sito di test di Semipalatinsk, nel nord del Kazakistan. Più di 1,5 milioni di persone in Kazakistan sono state esposte alle ricadute tossiche di questi test. Innumerevoli vite sono state alterate in modo irreversibile e l’ambiente è rimasto segnato per sempre. La Russia post-sovietica non ha effettuato alcun test nucleare. Nessun paese, tranne la Corea del Nord, ha condotto un test che abbia comportato un’esplosione nucleare in questo secolo.[↩]
- Il trattato era stato concepito per impedire a entrambe le parti della Guerra Fredda di accumulare forze per una rapida offensiva contro l’altra in Europa, ma era impopolare a Mosca poiché attenuava il vantaggio dell’Unione Sovietica nelle armi convenzionali. La Russia aveva sospeso la partecipazione al trattato nel 2007 e aveva interrotto la partecipazione attiva nel 2015. Più di un anno dopo l’invasione su vasta scala dell’Ucraina, a maggio il presidente Vladimir Putin ha firmato un decreto che denunciava il patto. La Russia ha affermato che la spinta degli Stati Uniti per l’allargamento della NATO ha portato i Paesi dell’alleanza ad “eludere apertamente” le restrizioni di gruppo del trattato, e ha aggiunto che l’ammissione della Finlandia nella NATO e la richiesta della Svezia significavano che il trattato era morto.[↩]
- La Marina russa ha in servizio tre sottomarini a propulsione nucleare della classe Borei: uno sta completando i test e altri tre sono in costruzione.[↩]
- La RPC sostiene che Taiwan fa parte della Cina e si riserva il diritto di usare la forza militare per prendere il controllo di Taiwan, se necessario. Gli Stati Uniti concordano sul fatto che esiste “una sola Cina”, ma si oppongono all’uso della forza da parte cinese per risolvere lo status di Taiwan. Gli Stati Uniti temono che la Cina possa provare ad invadere Taiwan nel 2027 quando disporrà di almeno 700 testate nucleari operative. La politica statunitense rimane ambigua riguardo alla possibilità che gli Stati Uniti intervengano per difendere Taiwan in caso di attacco della Cina. Ma un’invasione anfibia cinese di successo di Taiwan minerebbe fondamentalmente la posizione strategica degli Stati Uniti nell’Asia orientale, causando gravi perturbazioni economiche (ad esempio, nell’industria dei semiconduttori) e sollevando dubbi sulla capacità e sulla volontà degli Stati Uniti di difendere i propri interessi e quelli dei loro alleati (Giappone, Corea del Sud, Australia, Filippine e Paesi NATO). Per questo continuano a vendere armi di ogni genere e a formare le forze militari taiwanesi con programmi miliardari. Ad agosto Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud hanno firmato un patto di sicurezza trilaterale. Ciò ha fatto seguito al potenziamento del QUAD da parte di Biden, che raggruppa Stati Uniti, India, Giappone e Australia; il nuovo patto Aukus con Australia e Regno Unito; e un maggiore sostegno americano alle Filippine e Taiwan. La Cina vede questi sviluppi con un misto di ostilità e paranoia. Pechino è il principale partner commerciale della Corea del Nord, ma è sospettosa nei confronti della crescente cooperazione militare con la Russia, non sempre un’amica fidata della Cina. E come il Giappone e la Corea del Sud, si preoccupa della sicurezza e della stabilità nucleare nella regione. Questa è forse una delle ragioni per cui Xi ha inaspettatamente avviato un dialogo ad alto livello con Tokyo e Seul.[↩]
- Gli strateghi cinesi temono che gli Stati Uniti abbiano abbassato la soglia per l’uso nucleare – inclusa la possibilità di un primo utilizzo limitato in un conflitto a Taiwan – e che l’esercito degli Stati Uniti stia acquisendo nuove capacità difensive ed offensive (sia convenzionali sia nucleari sia cibernetiche) che potrebbero essere utilizzate per distruggere o degradare in modo significativo le forze convenzionali e nucleari cinesi. Molti esperti cinesi sono quindi giunti alla conclusione che la Cina ha bisogno di un arsenale nucleare più robusto.[↩]
- Uno scopo chiave del “sistema di bombardamento orbitale frazionato” (che l’URSS impiegò per parte della Guerra Fredda, prima di abbandonarlo) della Cina è quello di eludere i radar di difesa missilistica degli Stati Uniti, presumibilmente per l’uso in un potenziale attacco di ritorsione nel caso di un primo attacco nucleare statunitense. Stati Uniti, Russia e Cina stanno tutti sviluppando armi ipersoniche, compresi veicoli plananti che vengono lanciati nello spazio su un razzo, ma orbitano attorno alla terra con il proprio slancio. Volano a una velocità cinque volte superiore a quella del suono, più lenti di un missile balistico. Ma non seguono la traiettoria parabolica fissa di un missile balistico e sono manovrabili, il che li rende più difficili da tracciare.[↩]
- La Nuclear Posture Review del 2022 afferma che la forza nucleare statunitense “sostiene tutte le nostre priorità di difesa nazionale, inclusa la difesa della patria degli Stati Uniti, scoraggiando attacchi strategici contro gli Stati Uniti, i nostri alleati e partner, e scoraggiando l’aggressione regionale con particolare attenzione alla RPC e alla Russia”.[↩]
- Da questo punto di vista, certo non aiutano le conclusioni della Commissione del Congresso sulla posizione strategica degli Stati Uniti (CCSPUS) che hanno raccomandato nuove misure per aumentare l’armamento nucleare statunitense. Gli Stati Uniti si troveranno presto ad affrontare “un mondo in cui due nazioni [Cina e Russia] possiedono arsenali nucleari pari al nostro”, ha avvertito il rapporto finale della Commissione, pubblicato a metà ottobre. “Inoltre”, ha accusato il rapporto, “il rischio di conflitto con questi due Paesi nucleari è in aumento. È una sfida esistenziale per la quale gli Stati Uniti sono impreparati”. Secondo il CCSPUS, questo potenziale scenario apocalittico richiede che gli Stati Uniti effettuino “gli aggiustamenti necessari alla posizione delle capacità nucleari statunitensi – in termini di dimensioni e/o composizione”, un cambiamento politico che indirizzerebbe miliardi di dollari dei contribuenti verso il Pentagono e gli appaltatori di armi nucleari. Secondo il Guardian and Responsible Statecraft, 9 dei 12 membri della Commissione avevano legami finanziari con gli appaltatori della difesa (il military-industrial complex statunitense). Inoltre, l’amministrazione Biden ha annunciato a novembre lo sviluppo di una bomba nucleare a gravità di prossima generazione, nota come B61-13, giustificata come una risposta alle minacce alla sicurezza militare in rapida evoluzione provenienti da Cina e Russia. La B61-13 è destinata ad essere utilizzata contro obiettivi militari rinforzati e di vasta area con una enorme potenza di 360 kilotoni. Si prevede che gli Stati Uniti produrranno circa 50 B61-13, con una produzione probabilmente in coda al programma di produzione del B61-12 nel 2025. Si ipotizza che la B61-13 sarebbe limitata ai bombardieri convenzionali come il B-2 e il B-21. Inoltre, in ottobre gli Stati Uniti hanno condotto dei test del missile da crociera AGM-181A Long Range Stand-Off (LRSO) per rafforzare il deterrente nucleare aereo. L’AGM-181A fa parte della vasta e segreta famiglia di sistemi di attacco a lungo raggio (LRS FoS) ed è stato sottoposto con successo a nove importanti test di volo, dimostrando la sua elevata capacità di sopravvivenza con una cellula furtiva. L’AGM-181A LRSO è l’unica soluzione per mantenere il bombardiere B-52H con capacità nucleare e garantirà che la tecnologia stealth del B-21 rimanga efficace contro l’evoluzione della tecnologia militare e delle difese aeree avanzate. Le armi nucleari spaziali offrono numerosi vantaggi rispetto ad altri sistemi di lancio. Un “sistema di bombardamento orbitale frazionato” può colpire in qualsiasi punto del pianeta molto più velocemente di un missile balistico intercontinentale (ICBM), eludere i sistemi di difesa missilistica, generare ambiguità e incertezza strategica ed è potenzialmente più resistente dei sistemi aerei, marittimi o terrestri. Sebbene gli Stati Uniti siano firmatari del Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967, che vieta di collocare armi nucleari nello spazio, il trattato non vieta tutte le attività militari nello spazio. Né vieta il collocamento nello spazio di armi che non siano armi di distruzione di massa (WMD).[↩]
- Le consultazioni militari bilaterali erano state interrotte dopo l’affaire del pallone meteorologico cinese abbattuto da un aereo da caccia americano al largo della costa della Carolina del Sud in febbraio e il viaggio della speaker della Camera Nancy Pelosi a Taiwan nell’agosto del 2022. Biden e Xi non si incontravano dal vertice G20 di Bali, nel novembre 2022, e questa è stata la prima visita di Xi negli Stati Uniti dal 2017. All’incontro di Bali, Biden aveva dichiarato che gli Stati Uniti non cercano di cambiare il sistema cinese, non cercano una “nuova guerra fredda”, non cercano di opporsi alla Cina rafforzando alleanze, non sostengono “l’indipendenza di Taiwan” e non hanno alcuna intenzione di entrare in conflitto con la Cina. Sono stati concordati tre livelli di comunicazione: tra il segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, e il suo omologo cinese; i comandanti militari senior si impegneranno su questioni operative e questioni relative alla pratica militare; ci sarebbe anche un impegno operativo a un livello inferiore tra i capitani delle navi e gli altri ufficiali.[↩]
1 Commento. Nuovo commento
grazie del tuo articolo che ho letto con sconforto. Mi pare che siamo seduti su una mina in un manicomio