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La Direttiva sul lavoro di piattaforma al Parlamento europeo

di A. Allamprese,
G. Bronzini

Il 19 maggio scorso è stato presentato presso la Commissione Occupazione del Parlamento europeo il Draft Report (relatrice Gualmini, S&D) sulla proposta di Direttiva sul “miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro con piattaforma”. Il termine per gli emendamenti è scaduto il 1° giugno. La proposta di Direttiva – il cui voto definitivo è atteso nel mese di dicembre 2022 – mira ad introdurre una regolazione ad hoc per il lavoro su piattaforma svolto nell’Unione europea. La riforma – secondo le stime della Commissione – consentirà, attraverso un meccanismo di presunzioni, il passaggio all’area del lavoro subordinato (e quindi l’accesso alle tutele “di base”) ad una quota tra 1,72 e 4,1 milioni di persone, cioè a circa un sesto degli operatori tramite piattaforma attualmente impegnati nell’Ue. E così uno strumento che dovrebbe mirare all’universalismo viene reso molto selettivo.

Sin dalla Comunicazione del giugno 2016 sulla sharing economy la Commissione (seguita poi dal Parlamento europeo) ha prestato attenzione alle inedite modalità di lavoro eseguite attraverso l’intermediazione di piattaforme informatiche.
Nel documento del 2016 si evidenziava l’applicabilità del capitolo sociale dell’Unione anche ai lavoratori di questo settore in una fase di prepotente espansione, sulla base della nozione di “lavoratore” recepita dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Ue secondo criteri che, pur non rinnegando il tradizionale approccio classificatorio, è sembrato alla prevalente dottrina essere più elastici e inclusivi di quelli offerti dai giudici e dalla Corti nazionali. Da quel documento certamente già emergono problemi applicativi connessi alle particolari modalità di svolgimento della prestazione e all’assenza di obbligatorietà di questa, nonché per la mancanza in genere di accordi sulla durata del rapporto o per la vicinanza del settore a quello disciplinato da altri atti normativi eurounitari, come il Regolamento n. 2019/1150 («che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online») o le Direttive n. 2019/770 e n. 2019/771 volte ad unificare la disciplina della vendita di beni e della fornitura di contenuto digitale e servizi digitali.
La Comunicazione è stata però importante, così come le Risoluzioni del Parlamento sul tema, aprendo un vivace dibattito sul ruolo e sul futuro delle piattaforme di lavoro digitali pur non offrendo soluzioni concrete per arginare abusi, intensificazione dei processi di sfruttamento, discriminazioni, declino del potere sindacale che si dipanano attraverso le incertezze classificatorie ed operazionali indotte dall’innovazione tecnologica.
La scelta sino ad oggi dell’Unione – ha notato la dottrina – è stata per l’astensione regolativa nella speranza che i nuovi fenomeni trovassero una ragionevole composizione nelle decisioni, auspicabilmente convergenti, della Corte di Giustizia Ue o dei giudici nazionali, il che però non si è realizzato.
Le varie opzioni nazionali, non solo giurisprudenziali ma anche legislative, sono state tra loro estremamente divergenti ed hanno più che altro riguardato il segmento degli operatori tramite piattaforma più facilmente regolabile secondo schemi ed approcci tradizionali, cioè i tassisti ed i rider della ristorazione. Flebile è sembrata la capacità di indirizzo della Corte di Giustizia e lontane tra loro le scelte nazionali.
La prima fase di abstention è stata quindi seguita da forti iniziative, anche del sindacato europeo, interventiste attraverso una strategia di conflitti sul fronte giurisdizionale o di pressioni sui Parlamenti nazionali, il cui complessivo esito, se riassunto in chiave europea, sembra ancora incerto.
In alcuni Stati, i lavoratori delle piattaforme (nel settore della Logistica) hanno guadagnato lo status di subordinati, in altri sono rimasti collaboratori autonomi senza diritti (cfr. da ultimo il caso belga di Deliveroo), in altri ancora si è fatta strada l’idea di un terzo genere o di un regime ad hoc. Sono rimasti sotto traccia il tema del lavoro tramite piattaforme in generale, soprattutto di quello che non esce dall’ambiente di Internet, e il tema del controllo delle operazioni di “gestione algoritmica” che solo in via eccezionale è entrato in qualche contenzioso nazionale (v. l’ordinanza del T. Bologna 31 dicembre 2020 nella controversia Cgil c. Deliveroo sulle decisioni automatizzate elaborate grazie agli algoritmi delle piattaforme).
Con la proposta di Direttiva COM(2021) 762 def. del 9 dicembre 2021, si apre una nuova fase ri-regolativa a respiro europeo, che parte dalla insufficienza degli strumenti esistenti, con l’obiettivo di offrire un insieme di garanzie a coloro che lavorano attraverso l’intermediazione di piattaforme.
Per questa scelta sembrano essere state cruciali l’adozione di un ambizioso Piano di implementazione del Pilastro sociale europeo, che promette un insieme di diritti minimi e di protezioni sociali per ogni tipo di attività lavorativa, e la centralità acquisita – soprattutto nell’ultimo biennio grazie anche al Recovery Plan – dalla digitalizzazione nel rilancio dell’economia continentale.
Per quanto riguarda il profilo propriamente lavoristico, sono due gli aspetti della proposta di Direttiva che destano attenzione: l’ambito di applicazione esteso a tutte le piattaforme (non solo quelle le cui attività intermediate si svolgono fisicamente in qualche contesto territoriale) e la scelta di privilegiare strategicamente una corretta qualificazione giuridica del rapporto di lavoro attraverso un meccanismo di presunzioni semplici.
La seconda parte della proposta di Direttiva (articolo 6 e seguenti) introduce invece un innovativo insieme di diritti – di cui beneficerebbe ogni “persona che esegue un lavoro con piattaforma” secondo la definizione larga dell’art. 2.1., n. 3 della nuova Direttiva (quindi avrebbe dentro ogni forma di lavoro, a prescindere dall’employment status) – relativi al c.d. management algoritmico. Si tratta, in particolare, di diritti alla trasparenza delle operazioni di controllo ed etichettatura condotte dagli algoritmi ed alla trasparenza e certezza dei rapporti di lavoro in corso anche rispetto alle autorità amministrative ed agli altri soggetti coinvolti. Su questo piano sono coinvolte – anche se in maniera ancora insufficiente – le organizzazioni sindacali.
La discussione parlamentare è iniziata ed occorrerà, in primo luogo, migliorare il meccanismo di presunzioni semplici, che è – nella sua complessità – effettivamente critico, in modo che possa funzionare nel senso dell’allargamento della possibilità, per i lavoratori delle piattaforme, di essere qualificati come subordinati.

Andrea Allamprese e Giuseppe Bronzini

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