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La cupa storia dei campi di concentramento per giapponesi negli Stati Uniti

di Annalisa
Lo Monaco

Riproponiamo un articolo di Annalisa lo Monaco che fu pubblicato sei anni fa su vanillamagazine.it Lo troviamo attuale pensandoai meccanismi di stigmatizzazione generalizzata che stanno accompagnando la propaganda bellicista in questi giorni – 

campi di concentramento della Germania nazista sono quelli più tristemente noti, anche se fra i primi si annoverano certamente quelli inglesi in Sudafrica, ma un aspetto storico che non molti conoscono è che anche negli Stati Uniti esistettero, durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, dei campi di concentramento dove furono rinchiusi i cittadini di origine giapponese. Dopo l’attacco di Pearl Harbor, nel 1941, si diffuse negli Stati Uniti un forte sentimento anti-nipponico, che si tradusse in un internamento forzato per migliaia di persone di origine giapponese. Uno di questi campi era il Manzanar Relocation Center.

Il Manzanar relocated Center in USA14All’inizio del 1942, il presidente Roosevelt firmò l’ordine esecutivo che legalizzò i campi di concentramento per i giapponesi: le famiglie nippo-americane spesso ebbero meno di una settimana di tempo per raccogliere le loro cose, furono costrette a lasciare le loro case, senza nessuna informazione su dove sarebbero state portate e per quanto tempo.

Il Manzanar relocated Center in USA04Delle migliaia di persone che furono trasferite sotto scorta militare al Manzanar Relocation Center, quasi i due terzi erano cittadini statunitensi per nascita. Il Manzanar, primo dei dieci campi di internamento per giapponesi, fu inizialmente un “centro di raccolta” del Wartime Civil Control Administration (WCCA). Questo accampamento in stile militare era situato ad est delle montagne della Sierra Nevada, a circa 200 miglia a nord di Los Angeles.

Il Manzanar relocated Center in USA02All’interno del campo c’erano chiese, negozi, un ospedale, un ufficio postale, e un auditorium per la scuola. Questo non significa che i confinati avessero vita facile: uomini e donne avevano servizi igienici in comune e le assegnazioni degli alloggi erano spesso casuali, così le famiglie venivano divise e costrette a convivere con estranei, in situazioni di sovraffollamento. Anche se privati della libertà, gli internati del Manzanar cercarono di sopravvivere il meglio possibile, organizzando programmi ricreativi e di carattere religioso, e perfino fondando un giornale, il Manzanar Free Press.

Il Manzanar relocated Center in USA01Durante i quattro anni di esistenza del campo, alcuni fotografi furono invitati per documentare la vita quotidiana degli “ospiti”; il famoso fotografo Ansel Adams fu uno dei pochi a poter fotografare gli internati, ma senza dubbio il suo lavoro fu passato attraverso le maglie della censura.

Il Manzanar relocated Center in USA10Il Manzanar Relocation Center e gli altri campi di internamento furono chiusi dopo la fine della seconda guerra mondiale, ma molti dei prigionieri non sapevano più dove andare, una volta riacquistata la libertà. L’impatto economico della loro detenzione fu devastante, e altrettanto lo furono le implicazioni sociali e culturali.

Il Manzanar relocated Center in USA03Solo nel 1988 il presidente Ronald Reagan risarcì gli ex internati sopravvissuti con la somma di 20.000 dollari per ciascuno di loro, mentre nel 1993 l’allora presidente Bush fece le scuse formali da parte del governo americano.

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Fonte immagini: Libreria del Congresso degli Stati Uniti / Wikimedia Commons

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