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Un po’ meno filo spinato, ma più alti i muri

di Stefano
Galieni

In serata di oggi mercoledì 23 settembre, sarà reso pubblico il “Patto per i migranti” realizzato dalla Commissione Europea e già presentato per larghe linee, nei giorni scorsi, dalla presidente Ursula Von der Layen. Le vicende legate all’incendio del campo profughi/hot spot di Moria, in Grecia (isola di Lesbos) e quelle meno significative dal punto di vista numerico ma più incidenti negli equilibri politici in Italia, hanno portato a velocizzare un percorso che sembrava abbandonato.

Il progetto ambizioso presentato dalla Commissione presenta più luci che ombre, se dovessimo fare una metafora potremmo dire che sulla “fortezza Europa” è stato tolto un po’ di filo spinato ma nel frattempo si sono alzati più alti i muri.

Ora sarà necessario un percorso lungo per accontentare tanto i paesi indisponibili ad alcun vincolo come il Gruppo Visegrad, l’Austria e gli scandinavi, quanto i paesi più toccati dalla materia per la loro collocazione geografica.

Il piano si propone di affrontare le questioni connesse per almeno 5 anni ma parte intanto da un presupposto semplicemente inesistente. Non esiste ad oggi in Europa un’emergenza immigrazione. Sono i numeri a dirlo: ad oggi in Italia, uno dei cosiddetti paesi esposti, sono giunti dal mare poco più di 21 mila uomini, donne e bambini. Lo stesso dicasi per la Grecia. Esiste invece una vera emergenza ma trentennale nei paesi dell’Europa meridionale, legata alle condizioni di vita di chi è arrivato, manca la volontà di garantire loro reale assistenza sanitaria, accoglienza, qualità dignitosa della vita, prospettive di lavoro o di inserimento scolastico.

Non sono fatti episodici: quanto accade a Lampedusa sembra destinato a ripetersi, a Moria, al posto del campo bruciato, ne verrà costruito uno nuovo a 3 km in una ex caserma con gli stessi problemi del precedente.

Ursula Von der Layen ha dichiarato che “cambierà tutto”, a partire dall’astruso Regolamento Dublino che obbliga chi arriva a chiedere asilo nel primo paese UE di approdo.

Una proposta di modifica di “Dublino” era già stata presentata nella scorsa legislatura, limata – e peggiorata in senso moderato – dalla discussione in parlamento è stata poi ignorata dal Consiglio. Con puro buon senso tale proposta prevedeva di tenere in conto i legami affettivi, linguistici, le possibilità di cui gli stessi richiedenti sono a conoscenza, per decidere in quale paese europeo potersi trasferire.

Il meccanismo ideato per far fronte ai veti sovranisti dalla Commissione pare faragginoso e destinato a creare nuove sacche di invisibilità.

Non si capisce in base a quali calcoli si stabilisce che ad esempio fra coloro che arrivano in Italia solo il 20% potranno avere asilo. Per costoro varrà, a quanto ci è dato sapere, l’impegno di tutti i paesi UE a ripartirseli e a farsene carico. Coloro che non accetteranno tale ripartizione saranno liberi di farlo ma ad una condizione. Dovranno prendere in carico quelli da rimpatriare che resteranno per 8 mesi però nel paese in cui sono giunti. Trascorsi gli 8 mesi, coloro che non saranno stati rimpatriati, dovranno essere trasferiti nel paese che si è fatto carico di loro e che dovrà liberarsene.

Questo presuppone che o i richiedenti asilo saranno ovunque segregati o che gran parte di coloro che non avranno accesso alla protezione spariranno per non essere trattati come pacchi.

Vero è che il testo prevede l’impegno dell’UE e non più dei singoli paesi per garantire il salvataggio in mare, le pratiche di identificazione entro 5 giorni (come faranno lo vedremo) e l’espletazione delle pratiche per vedere se si ha o meno diritto all’asilo in 12 settimane rispetto ai tempi odierni che superano in Italia 1 anno.

E qui scatta un’altra perplessità. Se esiste ancora lo stato di diritto, a chi potrà appellarsi colui o colei a cui è negata protezione? Se non ci sarà alcuna autorità giuridica atta a ciò si ledono i più elementari principi del diritto internazionale.

Un appiglio giunge in una precisazione fatta dalla presidente. In caso di crisi per il numero degli arrivi o di pandemia (siamo ancora nel secondo dei punti proposti), ogni paese dovrà prendere rifugiati e “migranti economici irregolari”, salvo poi trovando il modo di far sì che chi non li prende se la cavi contribuendo economicamente.

Si minacciano poi i paesi di transito e di fuga. “Se vi riprenderete i vostri cittadini, incrementando gli accordi di riammissione, ci saranno maggiori sforzi nella cooperazione”. Letta al contrario si traduce: “se non impedite loro di partire, esternalizzando ancora di più le frontiere, l’Europa vi volterà le spalle”.

Bisognerà vedere come procederà la discussione e se alcuni aspetti concreti verranno tenuti in considerazione, primo fra tutti che non si tratta di proteggere l’Europa dall’invasione ma si tratta di garantire a persone, uomini, donne e bambini, un minimo di possibilità.

Resta un’ombra pesante. Nelle precedenti dichiarazioni si era accennato a canali di ingresso regolari per migranti economici intenzionati a lavorare in Europa. Ora questo aspetto sembra sparito, si sussurra al massimo di far entrare figure utili all’apparato produttivo e selezionate.

È questa l’Europa?

 

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