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La città dell’aerospazio a Torino

di Fausto
Cristofari

Mentre si consuma la lenta agonia degli stabilimenti Stellantis, le sempre più incerte prospettive industriali della città di Torino hanno visto affacciarsi con insistenza il progetto di una Città dell’Aerospazio, già da tempo in via di attuazione. Ciò  pone naturalmente una serie di questioni.
L’ipotesi iniziale consisteva nel progettato insediamento a Torino del Centro europeo del cosiddetto progetto DIANA (Defence Innovation Accelerator for North Atlantic) progetto che ha invece successivamente preso la via della Gran Bretagna. Rimane invece in piedi la realizzazione a Torino di uno dei previsti 9 acceleratori di ricerca per l’innovazione aerospaziale previsti nell’ambito di tale progetto, che si articola a sua volta in 12 sub-progetti, con il coinvolgimento insieme all’Università e al Politecnico, di aziende come Leonardo, Thales Alenia, Altec e, successivamente, come Avio Aero, Argotec, Collins. Si tratterebbe di un hub per la progettazione legata all’Aerospazio, con la creazione di nuove start up. Si prevede, in connessione, anche la realizzazione di campus e di spazi espositivi, prevedendo  inoltre la creazione di aree verdi e addirittura il riutilizzo del contiguo vecchio aeroporto dell’Aeritalia, con la sua riapertura al traffico civile, prospettando il progetto fantascientifico di un aerotaxi (a guida autonoma) di collegamento con Caselle. Investimento previsto: 1 miliardo e 100 milioni di €, di cui 300 milioni pubblici. Si prevede entro il 2026 il coinvolgimento di una settantina di imprese e la creazione di circa 2.500 posti di lavoro (ma la cifra è probabilmente gonfiata), prevalentemente coperti da personale di alta specializzazione.
Ora, l’industria aerospaziale è, per sua natura, intimamente connessa con il cosiddetto “dual use”, cioè con l’intima convivenza dell’aspetto civile con l’aspetto militare. Ciò che ha determinato, ad esempio, la nascita di un movimento che si oppone alla collaborazione delle Università con lo Stato israeliano, responsabile del massacro di Gaza.
Non a caso, ciò agirebbe nel contesto di un’industria bellica già ben presente, che vede fra l’altro la produzione degli F35 a Cameri (NO) e in cui si prospetta ora la produzione di “aerei da difesa” di sesta generazione, i Tempest: una collaborazione italiana, britannica e giapponese finalizzata alla realizzazione di un “sistema dei sistemi”, basato su tecnologie e piattaforme  di combattimento aereo di nuova generazione, che andranno a sostituire gli attuali Eurofighters. Anche qui è prevista una collaborazione con Università e centri di ricerca. Ci si può richiamare, a proposito, alla commessa acquisita da Leonardo da parte del Kuwait, mentre un capofila inglese (sempre con la partecipazione di Leonardo) ha acquisito una commessa da parte dell’Arabia Saudita. Nella fattispecie, gli aerei sarebbero destinati esclusivamente a operazioni di “difesa” (anche se i Paesi coinvolti, che intervengono militarmente nello Yemen, lasciano supporre quanto aleatoria sia tale destinazione).
Secondo i dati della FIOM il settore coinvolge, in Piemonte, circa 20.000 lavoratori, occupati in circa 300 imprese.
Oltre al tema del mancato coinvolgimento dei lavoratori e delle OO.SS., un documento dei delegati FIOM di Altec, Avio Aero, Collins, Leonardo, Thales Alenia Space sollevava inoltre, già nel 2022, il tema della stabilizzazione dei lavoratori precari attualmente impiegati nel settore, definito “strategico come l’automotive” e ci si interrogava circa le ricadute sull’indotto e sul territorio, anche alla luce dell’utilizzo di risorse pubbliche, richiamando le responsabilità delle istituzioni locali.
Una prima questione da chiarire è: ma questa Città dell’Aerospazio, che di primo acchito evoca soltanto le belle immagini di Stanley Kubrik, è realmente collegata con l’industria bellica e con la NATO? Domanda che può apparire ingenua a chi ha seguito le vicende della costituzione del Polo dell’Aerospazio, ma in realtà basilare per definire quale atteggiamento tenere verso la sua costituzione. Al punto che anche le stesse organizzazioni sindacali danno l’impressione di sottovalutare tale aspetto.

Vediamo quindi “cosa si dice in giro” in proposito.
“Glassdoor”, che si occupa di censire le aziende che stanno effettuando assunzioni di personale, colloca nella categoria “Aerospaziale e Difesa” tutta una serie di aziende, alcune delle quali ritroviamo nell’ambito della progettata Città dell’Aerospazio: Leonardo, Thales, Collins Aerospace, Avio Aero, oltre a Boeing, Airbus, GE Aerospace, Rolls-Royce, MBDA, Saab, Northrop Grumman, ecc. Troviamo nell’elenco anche strutture come la NASA Jet Propulsion Laboratory, con sede a Pasadena, e l’ESA (European Space Agency).
Il sito dell’Aeronautica Militare (aeronautica.difesa.it), sostiene invece che “l’Aeronautica Militare  è pienamente inserita nel sistema Paese e opera per garantire il mantenimento dell’eccellenza nel comparto spaziale e aerospaziale nazionale”. E poi: “L’aerospazio rappresenta il particolare ambiente operativo di riferimento dell’Aeronautica Militare”. E ancora: “le capacità operative  della Difesa e dell’Aeronautica Militare (…) dipendono dalle applicazioni e dai servizi spaziali”. Vengono fatti, in proposito, alcuni esempi: il volo suborbitale, in cui l’Aeronautica Militare sta acquisendo expertise; la sorveglianza dello spazio orbitale; le piattaforme stratosferiche, per l’osservazione del territorio, le quali “rappresentano un abilitante importante in vista del potenziamento delle attuali capacità dell’Aeronautica Militare e della Difesa” (in proposito, nel 2020 l’Aeronautica Militare ha promosso l’avvio di un censimento degli attori  che si stanno interessando alle piattaforme stratosferiche: appunto Università, centri di ricerca, aziende, reti d’impresa); il lancio aviotrasportato (a proposito del quale si dice che “l’accesso indipendente e rapido allo spazio, da utilizzare per scenari di crisi, rappresenta una capacità strategica che l’Aeronautica Militare intende acquisire, a beneficio della difesa del Paese”).
Da notare che dal 2019 è stato istituito il Distretto Aerospaziale Piemonte (erede del precedente Comitato Distretto Aerospaziale), associazione senza scopo di lucro che riunisce le eccellenze scientifiche e tecnologiche del settore aerospaziale, e che si occupa di “sinergie e progetti per l’innovazione, formazione professionale, opportunità di finanziamento, comunicazione”. E’ proprio il DAP ad organizzare (l’ultima edizione, la nona, si è svolta dal 28 al 30 novembre 2023) l’Aerospace and Defence  Meeting Torino, presentato come l’unico evento dedicato all’industria dell’Aerospazio e della Difesa, con particolare attenzione agli “incontri di business”. Sponsor dell’evento sono, oltre al DAP, Regione Piemonte, Camera di Commercio di Torino, ITA (Italian Trade Agency), Leonardo, Thales Alenia Space, Avio Aero, Collins Aerospace, Altec, Mecaer Aviation Group.

D’altra parte, ogni dubbio viene cancellato dagli annunci apparsi nell’aprile 2022, agli albori del progetto, dove compare con tutta la sua forza il ruolo ingombrante della NATO.

La rivista WIRED annuncia il 29 aprile 2022: “La NATO ha ufficialmente selezionato Torino come acceleratore del progetto DIANA; 1 Mld di € con l’obiettivo di coltivare start up e centri di ricerca dedicati a tecnologie innovative”.
L’allora sottosegretario Giorgio Mulè dichiara: “Torino riceverà una dote finanziaria e organizzativa dalla NATO (…) non solo nell’ambito della Difesa, ma anche delle biotecnologie, dell’Intelligenza Artificiale e della Sicurezza”.
Il Presidente della Regione Piemonte Cirio dichiara poi  che l’Aerospazio è “uno degli asset strategici  su cui Torino e il Piemonte puntano per il futuro produttivo”. Il suo assessore Andrea Tronzano afferma che “questa iniziativa permetterà ai Paesi membri dell’Alleanza Atlantica di dotarsi di un sistema di start up innovative per aumentare le competenze all’interno della NATO”.
David Van Weel (assistente del Segretario Generale NATO) afferma che ci si occuperà di vari ambiti, “dall’Intelligenza Artificiale ai computer quantistici”, con un finanziamento di 70 milioni di $ all’anno  su un primo orizzonte di 15 anni. Si tratta, dice, di un “market place affidabile e sicuro per mettere insieme start up e investitori privati e prevenire il trasferimento illecito di tecnologia militare”: vi sarà quindi una “white list” riservata ad operatori accreditati, bloccando l’ingresso a Paesi che non facciano parte dell’Alleanza Atlantica.
In maniera un po’ incongrua il Consiglio Comunale di Torino ha approvato nel giugno del 2022 una mozione per sostenere la candidatura (in realtà ormai tramontata) di Torino per farne la sede europea del progetto DIANA. Come abbiamo visto Torino sarà invece “soltanto” uno dei 9 cosiddetti acceleratori di ricerca, aggiungendosi ad altri due siti già esistenti in questo campo: Capua, dove ha sede il Centro Italiano di Ricerche Aerospaziali (partenariato pubblico-privato per la ricerca avanzata) e La Spezia, sede del Centro di Supporto e Sperimentazione Navale (CSSN) della Marina Militare, che si occupa di poligoni e laboratori destinati alla balistica, missili, siluri, sistemi elettrici e radar.
L’Indipendente del 17 luglio 1922 affermava: “Da capitale del settore automobilistico a quella dell’innovazione tecnologica in campo militare. Così Torino si appresta a diventare il principale polo europeo nel campo della tecnologia bellica”. Ciò è dovuto, prosegue, all’”impellente esigenza della NATO di ammodernare il proprio arsenale bellico tecnologico in funzione anticinese e antirussa”. Non a caso Jens Stoltenberg (gran capo della NATO) affermava che “dobbiamo mantenere la nostra spinta tecnologica ora che Cina e Russia ci sfidano in questo settore chiave”. E sempre non a caso è stato creato il NATO Innovation Fund, cioè “il primo fondo multi-sovrano al mondo”, sottoscritto il 30 giugno 2022 a Madrid anche dall’allora Ministro della Difesa Lorenzo Guerini.
Fra le varie aziende coinvolte Leonardo coordinerà il sistema di navigazione satellitare Galileo (finanziato da UE con 35,5 milioni di €), il sistema di tecnologia sicura Essor (finanziato con 34,6 milioni di €) e il progetto anti-droni Jey Cuas (13 milioni di €). Il tutto con la collaborazione del Politecnico di Torino. Il sito del Comune di Torino riporta che si tratta di un “sistema interconnesso dove coesistono l’accademia, la ricerca e i laboratori di sviluppo tecnologico, le start up e le PMI e la grande impresa”.
Mentre la ONG Rete Europea contro il commercio di armi e Transnational Institute, dal canto loro, denunciano come il progetto DIANA sia legato al nuovo business delle armi europeo, nel  momento in cui la UE destinerà 8 miliardi di € alla difesa comune entro il 2027 (600 milioni di € solo nel 2022).
Come sta procedendo la costruzione della Città dell’Aerospazio, dopo la prima, provvisoria, collocazione presso le ex Officine Grandi Riparazioni (OGR)?
Secondo quanto comunicato dalla Regione Piemonte a FIM-FIOM-UILM si dovrà procedere in primo luogo alla ristrutturazione del cosiddetto ”edificio 37”, per costituire  un primo  laboratorio, utilizzando anche i fondi del PNRR (19 mln di €) e della Regione Piemonte (15 mln di €). Tale  ristrutturazione dovrebbe concludersi, indicativamente, nel 2025. Si prevede l’assegnazione di tale struttura al Politecnico (essendo il terreno proprietà di Leonardo) per un periodo di 50 anni. Successivamente si prevede la ristrutturazione dell’“edificio 27”, destinato a start up e PMI, questa volta con il contributo di investimenti privati. Va detto che alle OOSS non è stato prospettato un piano complessivo, ma si procede attraverso una informazione (quindi non un vero e proprio confronto) che viene fornita “volta per volta”. Non esiste quindi una indicazione precisa circa la tempistica prevista per il completamento dell’intera Città dell’Aerospazio. Malgrado le dichiarazioni apparse sui mezzi di informazione, ufficialmente non viene rilevato alcun ruolo da parte della NATO. Ma un’ulteriore conferma arriva dalla Gran Bretagna in occasione dell’inaugurazione, avvenuta all’Imperial College London Innovation Hub, dell’Ufficio Regionale di DIANA (altre sedi a Tallin, in Estonia, e in Canada). “In Europa DIANA avrà 9 siti acceleratori”; per l’Italia “Torino è stata selezionata come acceleratore  all’interno della nascente Città dell’Aerospazio”. Si può leggere anche  che “Il Pentagono intende contribuire all’acceleratore della tecnologia della Difesa della NATO. Sono stati avviati i bandi in 5 città: Tallin, TORINO, Copenaghen, Boston, Seattle”. Può quindi essere soddisfatto l’attuale ministro della Difesa Crosetto, che dichiara: “Servono approcci innovativi per continuare ad essere efficaci nel garantire la sicurezza della Nazione e sono convinto che un dialogo strutturale fra il mondo militare, il sistema universitario, l’industria del settore, e l’ambiente dell’informazione sia uno strumento essenziale per conseguire l’obiettivo.”
A partire da ciò, si possono avanzare alcune considerazioni.

Per ciò che riguarda le prospettive occupazionali, distinguerei fra ciò che già esiste e ciò che si prospetta. Nel primo caso, vediamo che si parla di 20.000 posti di lavoro in Piemonte (dati FIOM). Qui si tratta di riprendere un ragionamento ormai caduto in disuso, che è quello della riconversione dell’industria bellica. Nel momento in cui si parla, giustamente, di riconversione ecologica, essendovi in gioco la salvezza del pianeta, come non parlare, a maggior ragione, di riconversione pacifica, visto che anche in questo caso, all’epoca delle armi nucleari, e con l’escalation in atto, c’è in gioco l’esistenza del pianeta. E come non vedere le ricadute anche dal punto di vista ambientale del riarmo e della proliferazione delle armi? Basti pensare a ciò che comporta per l’ambiente l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito, anche in situazioni di pace, come al salto di Quirra, in Sardegna, dove si svolgono le esercitazioni militari; per non parlare dei tragici effetti sui soldati che li utilizzano.
Rispetto alle tematiche occupazionali si tratta invece di decidere se dare seguito a determinate scelte oppure no. Per dare un termine di paragone, si potrebbe considerare, ad esempio, che l’ANFIA, l’Associazione dei produttori di auto, vede a rischio, a seguito del passaggio di fase nella produzione automobilistica, 70.000 posti di lavoro. I 2.500 posti previsti per la Città dell’Aerospazio rappresenterebbero quindi una goccia nel mare, certamente non in grado di recuperare un tale gap occupazionale, che invece potrebbe essere utilmente recuperato destinando perlomeno analoghe risorse alla Sanità, al Welfare dei Comuni, all’assetto idrogeologico, o comunque per attività produttive utili alla popolazione. La ricerca fatta da Gianni Alioti, condensata in un articolo comparso su “Sbilanciamoci” del 15 marzo 2023, afferma che negli ultimi 40 anni (dal 1980 al 2021) il settore aeronautico europeo è passato da 579.00 a 537.000 occupati (-7,2%), mentre il fatturato è triplicato. Nel settore aeronautico militare si è passati da 382.000 a 175.000 occupati (-54%!); nello stesso periodo il settore aeronautico civile è passato da 197.000 a 363.000 occupati (+84%!).  Per l’Italia (rimasta fuori dai progetti europei (salvo che per l’elicotteristica, gli aerei a turbo-elica ed executive) gli occupati del settore militare sono diminuiti del 50% e nessuna crescita si è avuta nel settore civile (salvo un +10% nell’elicotteristica).
Possiamo anche confrontare i dati relativi ai primi 10 gruppi multinazionali al mondo nel periodo 2002/2016, dove il fatturato è cresciuto del 60% (74% nel settore militare) e gli occupati sono diminuiti del 16%. Parliamo di Raytheon (USA) col fatturato militare a +95% e 13.000 occupati in meno; Bae Systems (GB) con +95% e – 14.000 occupati; Northrop Grumman (USA) con +87% di fatturato e -53.000 occupati; Lockeed Martin (USA) con +86% di fatturato e -28.000 occupati. Solo Airbus (Francia, Spagna, Germania) ha aumentato gli occupati da 104.000 a 134.000. Cresce il fatturato per addetto (nell’aeronautica da 90.000 a 315.000 per addetto, pari a +250%), mentre fusioni, ristrutturazioni e innovazioni tecnologiche tendono a ridurre il numero degli occupati.
Lo sviluppo della guerra in Ucraina determinerà, secondo Alioti, un ulteriore aumento della concentrazione delle aziende produttrici. In questo quadro è prevedibile che chi, fra le imprese guida, saprà meglio diversificare in direzione del civile subirà meno contraccolpi negativi. La proposta dell’autore è appunto quella di diversificare verso il civile e di riconvertire ecologicamente in direzione del disarmo (il contrario di ciò che Leonardo ha fatto a partire dal 1998). Si propongono come esempi, in Fincantieri, i traghetti veloci, la propulsione innovativa, l’eolico off shore, l’ingegneria impiantistica.
Per ciò che riguarda la riconversione esiste, in proposito, il progetto europeo Konver, che si potrebbe implementare. Così come si potrebbe rilanciare il Fondo speciale per la riconversione civile previsto dalla legge 185/90.
Storicamente, ci si potrebbe invece rifare al Piano di riconversione civile presentato nel 1969 negli USA (in piena guerra del Vietnam) dall’allora presidente del sindacato UAW Walter Reuther (“spade trasformate in aratri”). Oppure al Defence Economic Adjustment Act”, proposta di legge presentata da George McGovern nel 1979, che proponeva di istituire un Fondo per la riconversione, prelevando l’1,5% dei fatturati militari. Entrambi i progetti prevedevano di sostenere la ricerca e lo sviluppo di produzioni alternative, una riconversione a livello di aziende e territori, prevedendo misure di sostegno al reddito, riqualificazione professionale, mobilità per i lavoratori coinvolti. Con una gestione affidata a comitati locali composti da ricercatori, ingegneri, direttori, operai, sindacati, comunità. Alioti avanza, in proposito, un’ipotesi di territori che potrebbero essere coinvolti in Italia: il Sulcis, La Spezia e…Torino. Ecco un terreno su cui applicare realmente Università e Politecnico, in alternativa alla Città dell’Aerospazio legata alla NATO!

Un ulteriore elemento di preoccupazione, spesso sottovalutato, sta nel fatto che il previsto Polo di ricerca si occuperebbe anche di settori quali l’Intelligenza Artificiale. Un campo cioè che, come ha segnalato qualche tempo fa Geoffry Hinton, uno più grandi scienziati cognitivi del mondo, già vincitore del premio Turing (considerato il premio Nobel dell’informatica), potrà avere una serie di applicazioni positive su terreni come la guida senza pilota, la medicina, la cura del cancro, la costruzione di pannelli solari, la previsione di alluvioni e terremoti; ma, parallelamente, presenterà anche grandi rischi. Proprio per questo motivo Hinton ha lasciato Google, sottolineando la necessità di introdurre meccanismi di controllo nell’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. “Prima che sia troppo tardi”, dice. Il rischio è che essa diventi molto più intelligente di noi, arrivando a manipolarci e inducendoci a compiere atti contro il  nostro stesso interesse. Già ora l’Intelligenza Artificiale è in grado di inondarci di fake news, con gli ovvi effetti prevedibili. Vi sono studiosi, come Bengio, che sono preoccupati dei possibili effetti di “automatismo nelle armi”, oltrechè di manipolazioni elettorali. Hinton ha definito l’attuale situazione in questo modo: “Stiamo guidando nella nebbia e non sappiamo cosa c’è fra 300 metri, ossia fra 5 anni o più”. Spaceconomy, nel confermare un finanziamento da 20 mln di € da parte della ministra dell’Università e della  Ricerca Bernini, garantito al presidente della Regione  Cirio, parla di un “Centro di ricerca per l’Intelligenza Artificiale” a Torino.
Malgrado tutto ciò, le affermazioni di Cirio circa l’importanza strategica dell’Aerospazio per il futuro produttivo piemontese fanno capire che effettivamente questo settore rischia di rappresentare la via attraverso cui si pensa di far fronte alle difficoltà economico-produttive del Piemonte e di Torino. L’Espresso del 21 maggio 2023 affermava che vi è “una larga parte delle imprese” che “sta puntando a intercettare le esigenze  dell’industria aerospaziale”, a fronte delle difficoltà nel passaggio all’auto elettrica e dello stallo in cui Stellantis sta lasciando i suoi stabilimenti torinesi.  E quello stesso Stato che non adotta alcuna politica industriale, che non è presente, a differenza dei francesi, negli asset di Stellantis potrebbe invece rientrare in gioco nell’Aerospazio, non fosse altro che attraverso il 30% che detiene in Leonardo.
Si concretizzerebbe così la previsione per cui Torino passerebbe “da capitale del settore automobilistico a capitale dell’innovazione tecnologica in campo militare”. Ecco il contributo che la nostra città darebbe allo sviluppo, legandosi così mani e piedi all’industria della guerra, con buona pace, invece, di tutte le chiacchiere fatte a proposito delle ipotesi di “sviluppo sostenibile”. A questo bel risultato avrebbero  contribuito diversi governi di differente orientamento politico, da Lorenzo Guerini, firmatario degli accordi di Madrid a Guido Crosetto, ministro della Difesa sceso direttamente in campo dall’industria bellica.
E ciò si realizzerebbe attraverso una inedita sinergia fra attori diversi: l’Accademia, attraverso le eccellenze del Politecnico e dell’Università, che sosterrebbero la ricerca  e lo sviluppo tecnologico, la grande industria e tutto un “indotto” di PMI e start up. Con scarso effetto occupazionale ma con effetti esiziali circa l’idea di sviluppo che si vuole applicare . Un’eccellenza di morte all’interno di un deserto produttivo che resterebbe immutato.

Quali iniziative si possono intraprendere per contrastare questo progetto e l’idea di città che ne consegue?
Le iniziative finora svolte, nell’arco di alcuni mesi, non sono finora riuscite che a scalfire in minima parte il muro che è stato innalzato intorno alla costruzione della Città dell’Aerospazio. Non a caso ho dedicato la prima parte dell’intervento agli effettivi scopi del progetto, finora ammantato, da parte dei mass media, quando ne parlano, in un’aura fantascientifica, che richiama scenari alla Samantha Cristoforetti piuttosto che scenari di guerra. Solo in qualche occasione si è riusciti a interconnettere  voci diverse contrarie al progetto, quali settori studenteschi e singoli esponenti del mondo accademico. Proprio  a partire da ciò, sarà necessario rivolgersi a tutte le aggregazioni politiche ed associative  interessate ad opporsi al progetto.
Analogamente bisognerà agire per il coinvolgimento della cittadinanza, a partire dal quartiere in cui sta sorgendo la Città dell’Aerospazio.
Nella fase di realizzazione del Polo occorrerà dare luogo ad iniziative di mobilitazione caratterizzate dall’essere costanti e continue (l’esperienza dei  presidi contro la guerra che si svolgono ogni sabato nel centro di Torino tornerebbe in questo senso utile).
Penso che la mobilitazione contro la Città dell’Aerospazio debba uscire dalla condizione di forzata minorità in cui è stata costretta, per provare a rivolgersi in maniera ancora più ampia ed incisiva alla cosiddetta “società civile”.
Dobbiamo anche partire dal fatto che il movimento contro la guerra, interlocutore naturale e privilegiato di chi intende opporsi alla Città dell’Aerospazio, malgrado il meritorio impegno di forze come il “Coordinamento contro la guerra e chi la arma” e il movimento contro la proliferazione nucleare “Agite” (con l’impegno in entrambi di Rifondazione Comunista) ed anche talune iniziative condotte da Extinction Rebellion, non sempre è  riuscito a raggiungere un’ampia dimensione di massa. Occorrerà quindi allargare il nostro raggio di intervento a tutte le tematiche connesse all’attuale progressiva crescita dell’industria bellica: ambientali, culturali, produttive, urbanistiche.

Fausto Cristofari

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