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Israele: puzzle senza soluzione

di Franco
Ferrari

di Franco Ferrari –

Il Jerusalem Post apre questa mattina con le dichiarazioni allarmate del presidente della confederazione sindacale Histadrut: Israele rischia l’equivalente economico della guerra del Yom Kippur. I primi segnali  dell’epidemia di coronavirus hanno infatti prodotto già pesanti conseguenze sul turismo e sulla navigazione aerea.  Da parte sua il presidente dell’organizzazione rappresentativa dei lavoratori autonomi ha invitato i propri affiliati a bloccare fisicamente l’apertura della Knesset prevista per il prossimo 16 marzo.

Può darsi che dietro queste dichiarazioni ci sia anche il tentativo di premere per la costituzione di un Governo di unità nazionale, ma è indubbio che qualche segnale di scricchiolio economico, malgrado il numero dei contagi sia ancora relativamente ridotto, si cominci a far sentire anche in Israele.

Intanto il quadro politico risulta sempre più complicato e dagli esiti incerti. Le terze elezioni politiche in un anno hanno consentito al Likud di guadagnare seggi e di tornare ad essere il primo partito, ma il blocco di forze di destra che sostiene Netanyahu si è fermato a 58 seggi rispetto ai 61 necessari per insediare un nuovo Governo. Il Likud è un partito di destra radicale che ha le proprie radici ideologiche e organizzative nel cosiddetto “revisionismo sionista” fondato da Vladimir Zabotinskij.

Il blocco di destra è composto da suprematisti ebrei che considerano un proprio diritto di derivazione divina l’espansione coloniale nei territori occupati palestinesi. Shas e il Giudaismo Unito della Torah sono due formazioni religiose ultra-ortodosse divise dal fatto di fare riferimento a diverse correnti dell’ebraismo. La loro influenza è fortemente cresciuta negli ultimi anni al punto da ridurre fortemente la natura laica dello stato israeliano. L’altra forza che compone il blocco di destra è Yamina guidata da Naftali Bennet che ha la sua forza soprattutto fra i coloni insediati nei territori palestinesi occupati.

Benché Netanyahu si sia proclamato immediatamente vincitore subito dopo l’uscita degli exit polls e si sia fatto fotografare mentre con i leader degli altri partiti avviava le trattative per il nuovo Governo, non sembra abbia possibilità di restare in sella. Farà però tutto il possibile per impedire che si formi una maggioranza alternativa perché il 17 marzo prossimo si apre il processo nei suoi confronti per corruzione e abuso di potere e restare Primo Ministro gli offre un minimo di scudo legale.

Nelle elezioni del 2 marzo l’attuale primo ministro, che resta una figura dominante nel sistema politico israeliano ha potuto contare con il sostegno di Trump che gli offerto un piano per la sistemazione del conflitto israelo-palestinese nel quale vengono soddisfatte quasi tutte le richieste dei settori più oltranzisti della destra israeliana. Netanyahu ha prodotto una profonda frattura in Israele alimentando razzismo, bigottismo religioso e anche, in misura crescente, disprezzo per le regole democratiche.

Purtroppo, a fronte della sua egemonia politica, non si è ancora costituita una vera alternativa. Benny Gantz, leader del principale partito di opposizione, ha impostato la sua campagna elettorale nella rincorsa a destra di Netanyahu, sperando di sottrargli elettori ma ottenendo il risultato contrario.

Ora cerca comunque di costruire un governo di minoranza che possa insediarsi contando sui 62 voti di cui dispongono i partiti che non fanno parte del blocco della destra suprematista. Uno di questi, “Israele Nostra Casa” è guidato dall’immigrato moldavo Avigdor Lieberman che abita nei territori palestinesi occupati. Raccoglie soprattutto i voti degli immigrati dall’ex Unione Sovietica ed è stato un tradizionale alleato del Likud. Aveva rotto con Netanyahu su posizioni ancora più oltranziste nei confronti dei palestinesi ma anche per il malumore degli immigrati, russi o di altre ex repubbliche sovietiche, di fronte al condizionamento sempre più forte degli estremisti religiosi sulla vita sociale e culturale israeliana, ottenuto grazie alla alleanza con il Likud.

Lieberman sta trattando con il partito Blu Bianco di Benny Gantz e ha posto come condizioni per l’alleanza l’introduzione di norme destinate a laicizzare lo stato israeliano. Il partito di Gantz è piuttosto eterogeneo e include sia tendenze laiche e centriste insieme ad esponenti di destra usciti dal Likud per ostilità al suo leader ma senza aver attuato un vero ripensamento politico. Due parlamentari appartenenti a questa destra ex-likudnik si sono già espressi contro la possibilità di un governo di minoranza che debba contare sul voto della Lista Unita.

L’altro alleato di Gantz, sul fianco opposto, consiste nella coalizione della sinistra sionista. I laburisti di Amir Peretz sono stati per decenni il partito dominante di Israele, basato soprattutto sugli Ashkenazi, gli ebrei provenienti dall’Europa. Ora sono ridotti ai minimi termini e si devono coalizzare con altre forze per non rischiare di finire sotto la soglia di sbarramento. Il principale alleato nelle elezioni del 2 marzo era il Meretz, partito che rappresenta il tradizionale e fortemente indebolito “campo pacifista”. Sono la forza più a sinistra dello schieramento sionista ma sono rimasti sempre più incartati nelle proprie contraddizioni e dalla difficoltà di trasformare un’ideologia sovranista qual è il sionismo in una politica che rifiuti la deriva etno-nazionalista di Israele. Per complicare il quadro Laburisti e Meretz si sono alleati ad un piccolo partito nato da una scissione di “Israele Nostra Casa” di Lieberman. Ora la parlamentare di questo gruppo, eletta nella coalizione con la sinistra sionista, Orly Levy-Abekasis, ha dichiarato che non appoggerà un possibile governo sostenuto dalla Lista Unita, scatenando una furiosa e comprensibile reazione del leader del Meretz.

Sulla carta Benny Gantz potrebbe contare su 62 voti per insediarsi, ma come abbiamo visto deve mettere nel conto possibili defezioni. In ogni caso per poter scalzare Netanyahu deve contare sui 15 voti della Lista Unita, una coalizione formata da alcuni partiti arabo-israeliani e da Hadash (Fronte Democratico per la Pace e l’Uguaglianza), il Fronte promosso nel 1977 dal Partito Comunista Israeliano (Maki) che raccoglie forze progressiste, laiche e socialiste di vario orientamento.

La Lista Unita ha avuto un brillante successo nelle elezioni del 2 marzo raggiungendo il suo massimo risultato storico. Questa coalizione è nata in reazione alla decisione della maggioranza della Knesset di alzare la soglia di sbarramento con l’obbiettivo di impedire l’accesso ai partiti arabi. Il risultato è stato opposto a quello desiderato perché l’esistenza di questa soglia ha spinto alla ricerca di una proposta unitaria. Al momento della sua formazione la Lista Unita, che comprende islamici moderati e nazionalisti, non convinceva molti dirigenti di Hadash ed è stata la base a schierarsi decisamente per l’adesione. Il leader della lista, Ayman Odeh, che appartiene al Fronte Democratico per la Pace e l’Uguaglianza, si è rivelato una figura politica credibile e capace.

La componente di sinistra della Lista Unita ha spinto per allargare la base elettorale e politica coinvolgendo anche il mondo ebraico. La principale componente di Hadash, il Partito Comunista Israeliano, pur avendo una militanza prevalentemente araba, si è sempre sforzata di includere rappresentanti ebraici in un logica di contrasto al settarismo etnico. Tra i parlamentare rieletti figura il comunista ebreo-israeliano Ofer Cassif che ha presto il posto del popolare Dov Khenin quando quest’ultimo rinunciò a ricandidarsi. La Lista Unita ha raccolto 20.000 voti di elettori ebreo-israeliani contro i 9.000 delle elezioni precedenti. Piccola ma significativa indicazione di una rottura della diga che finora tratteneva gli ebrei di sinistra dal votare per un partito a maggioranza araba.

Fra i parlamentari della Lista Unita riconfermata anche l’attivista femminista e anch’essa militante comunista Aida Touma-Soleiman. La presenza femminile nella lista è anche un segno della capacità delle forze progressiste di egemonizzare il discorso complessivo trascinando anche le componenti di orientamento islamista.

La Lista Unita è orientata a indicare Benny Gantz come possibile Primo Ministro e a dare priorità all’obbiettivo di mettere fine finalmente al lungo predominio di Netanyahu. Su questa linea si dovrà scontrare con le maggiori perplessità di Balad, un movimento nazionalista fondato da Azmi Bishara ex militante della gioventù comunista, che rappresenta una delle quattro formazioni  che compongono la Lista.

La Lista Unita è ben consapevole che le posizioni di Gantz non si distaccano molto da quelle del Likud, visto che il leader del Bianco Blu ha espresso il suo sostegno al piano di Trump. Ma viene considerato indispensabile provare ad interrompere la deriva etno-nazionalista in atto da tempo in Israele e mettere un freno alla realizzazione del piano americano che chiuderebbe definitivamente la porta alla possibilità di costituzione di uno stato palestinese a fianco di quello israeliano, già per altro notevolmente compromessa dall’evoluzione della situazione nel dopo Oslo.

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