L’estrema destra austriaca, che è diventata il primo partito nelle elezioni dell’autunno scorso, si propone concretamente come forza di governo e ha avviato trattative con il Partito Popolare, il tradizionale partito conservatore, per formare una nuova coalizione. Raggruppata nell’FPO (Partito Liberale) ha una lunga tradizione politica che affonda le sue radici nella destra più reazionaria. Se il “campo” di riferimento, secondo la definizione di “lager” che viene abitualmente utilizzata nella politologia austriaca, si può far risalire già alla fine dell’ottocento, il partito che attualmente lo rappresenta nasce nel dopoguerra e raccoglie soprattutto coloro che avevano sostenuto il nazismo e l’Anschluss messo in atto dalla Germania hitleriana.
L’estrema destra austriaca ha subito diverse metamorfosi nel corso del tempo, con una breve stagione autenticamente liberale che le consentì di governare con gli allori potenti socialdemocratici, ma rientra tra quelle formazioni che rappresentano una certa continuità con le correnti fasciste che hanno spopolato in Europa tra le due guerre mondiali.
Dopo la fase liberale, nell’FPO sono tornate in auge quelle tendenze che riciclano elementi classici del fascismo miscelato con le nuove spinte populiste che hanno consentito a queste forze di ampliare in misura consistente il loro consenso e a proporsi negli ultimi anni quali forze maggioritarie. In questo senso esiste una certa affinità tra la situazione austriaca e quella italiana. Il leader del partito Herbert Kickl non è dotato di particolare carisma ma è riuscito, senza particolari complessi, a cavalcare insieme la xenofobia anti-migranti e anti-islamica con le strizzate d’occhio verso una corrente carsica di nostalgie neonaziste. A questo secondo filone si richiama l’uso dell’autodenominazione di “cancelliere del popolo” dal sapore hitleriano.
Dopo la vittoria elettorale che ha dato al partito 57 seggi su 183 nel Consiglio nazionale, del tutto insufficienti per governare da solo, si è aperta una fase complicata di trattative tra gli altri partiti, mentre il presidente della Repubblica, il verde Alexander van der Bellen dichiarava che non avrebbe mai dato l’incarico al leader della FPO. Proposito che poi si è dovuto rimangiare.
La prima ipotesi di governo ha riguardato i Popolari, i Socialdemocratici e il partito liberista Neos che hanno avviato una lunga trattativa conclusasi con un fallimento. Il Partito Socialdemocratico è guidato da Andreas Babler che al momento della elezione inaspettata alla leadership, ha suscitato qualche speranza di un ritorno dell’SPO a posizione nettamente di sinistra. Il programma elettorale ha effettivamente rispecchiato questa correzione di rotta, ma la nuova linea politica è stata apertamente contestata all’interno del partito anche in campagna elettorale. Il risultato non è stato positivo e il consenso per l’SPO si è fermato al 21,2%, terzo partito dietro ai popolari e ai liberali.
Babler è rimasto alla guida della socialdemocrazia ma secondo i critici di sinistra ha eccessivamente annacquato le sue posizioni che si proclamavano marxiste. Ha guidato il partito nelle trattative ma anche le modeste misure di riequilibrio sociale avanzate nel confronto con Popolari e Neos sono state respinte. Decisivo per tale esito il ruolo della Confindustria austriaca che ha posto il veto alle pur modeste richieste per evitare l’innalzamento dell’età pensionabile e su qualche altro miglioramento a favore delle classi popolari. La scelta di Babler di rifiutare un cedimento completo alle richieste padronali è stato apprezzato dai comunisti, ma ha certamente lasciato malumori all’interno della corrente più moderata del suo partito.
Fallita l’ipotesi del governo a tre, senza i Verdi usciti pesantemente sconfitti dall’ultima tornata elettorale, si è aperta la strada al confronto tra Popolari e Liberali, pur escluso ripetutamente dal leader della OVP in campagna elettorale. Negli ultimi anni però i due partiti, che hanno già governato insieme, si sono avvicinati su molte questioni programmatiche in particolare su quello agitato demagogicamente dall’estrema destra dell’immigrazione. Per i Popolari il principale ostacolo all’accordo, rispetto alle esperienze precedenti, derivava dalla necessità di cedere questa volta la carica di cancelliere all’estrema destra.
Ma difficoltà più importanti sulla strada dell’intesa derivano dalle posizioni della FPO sulla guerra in Ucraina. L’estrema destra ha intessuto da tempo legami politici diretti e “fraterni” con Russia Unita, il partito che sostiene Putin. Sono soprattutto le questioni civili quelle sulle quali si è costruita un’intesa (ostilità alle richieste LGBT, difesa di una immaginaria famiglia tradizionale, rivendicazione della natura cristiana della civiltà occidentale e così via). Ma a parte la dimensione ideologica hanno pesato anche concrete questioni economiche e la tradizionale collocazione internazionale dell’Austria. L’FPO ha mantenuto una linea neutralista sulle responsabilità della guerra in Ucraina ma ha contestato le sanzioni ritenute, non a torto per altro, inefficaci e dannose per l’economia austriaca, che resta ancora tributaria del gas russo.
L’FPO ha contestato la gestione della guerra in Ucraina da parte dell’Unione Europea, sempre più condizionata dalle tendenze più oltranziste e russofobe, collegando queste critiche al tradizionale euroscetticismo. Dato che il resto del sistema politico non è differenziato sulla questione, l’estrema destra ha potuto avvantaggiarsi delle preoccupazioni con cui una parte della popolazione austriaca ha guardato alle conseguenze della guerra. Tanto più che la pressione su tutti i paesi dell’Unione affinché si allineino alla linea militarista e bellicista a oltranza mette in discussione la neutralità austriaca, frutto degli accordi che misero fine alla presenza delle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, tra le quali l’Unione Sovietica che controllava la zona orientale del Paese.
Si tratterà di vedere in che misura le posizioni assunte finora dall’FPO potranno influire sul possibile governo di coalizione con il Partito Popolare. Intanto la trattativa ha già raggiunto un risultato su un altro tema: la politica di bilancio.
L’Austria rischiava di essere sottoposta alla procedura di richiamo per deficit eccessivo da parte della Commissione europea. Il Ministro delle Finanze in carica Gunter Mayr ha incontrato il responsabile economico di Bruxelles Valdis Dombrovskis per spiegare i dettagli del piano di ristrutturazione concordato da FPO e OVP lunedì scorso. Il pacchetto di misure ha un ammontare di 6,39 miliardi di euro composto in gran parte di tagli di spesa e serve a contrastare un deficit considerato eccessivo per il 2024 e il 2025. La Commissione era pronta, nella riunione dell’Ecofin del 21 gennaio, a segnalare la violazione dei criteri di Maastricht da parte dell’Austria con una procedura che può terminare con consistenti multe inflitte allo Stato recalcitrante. Probabilmente ora gli austriaci sfuggiranno all’intervento punitivo di Bruxelles che continua però a premere per cambiamenti strutturali nella politica di bilancio.
Le credenziali liberiste dell’estrema destra, al di là di qualche occasionale apertura a richieste di natura sociale, retano impeccabili. Domenica 19 gennaio si vota nello stato del Burgenland dove è al governo il socialdemocratico Hans Peter Doskozil che ha vinto le elezioni del 2020 all’insegna della parola d’ordine di “più Stato, meno privato”. E nel suo caso la politica perseguita ha effettivamente corrisposto a quanto promesso. Al punto che si parla di “doskonomics” per indicare un insieme di misure che tendono ad andare in direzione contraria al paradigma liberista. Per Doskozil lo Stato deve intervenire attivamente sia per stabilizzare le attività economiche in difficoltà, sia per garantire il lavoro. Alla scontata opposizione della tradizionale destra conservatrice dell’OVP, si è aggiunta nel Burgenland anche quella dell’estrema destra della FPO che è ostile a questo ruolo eccessivo dello Stato. Da questo punto di vista la nuova estrema destra non si discosta molto da quella tradizionale.
Franco Ferrari