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Il warfare di Draghi

di Roberto
Musacchio

Tra i commenti che ho letto a favore della nuova agenda Draghi ne ho trovato addirittura uno che diceva che di fronte a una Europa armata nessuno avrebbe osato affondare il North Stream. Mi ha dato la misura del modo di valutare la fuffa anni ‘50 che il banchiere dalle tante sliding doors ci ha piazzato. Essendo l’affossamento del North Stream vicenda probabilmente connessa al presunto “fuoco amico” non si capisce proprio a cosa servirebbe essere stati più armati. Cosa che peraltro sta avvenendo, in Germania come in Polonia, con armi europee o USA. Come non si capisce a cosa servirebbe nel conflitto con la Russia che ha qualche migliaio di armi nucleari di “vantaggio” ammesso che la prospettiva di un loro uso che ormai sta sostituendo la teoria della dissuasione possa avvantaggiare qualcuno.

C’era una volta il modello sociale europeo, fatto di lavoro, di pubblico, di welfare. Ha consentito di ricostruire una Europa distrutta per una guerra nata dal suo seno, sconfiggendo i nazifascisti a cui i liberali avevano ceduto il campo per paura dei comunisti, e fatta insieme in un compromesso tra gli stessi liberali e i socialisti e i comunisti. E, in realtà, non così opposta a quella dell’Est ad esempio per lavoro e tendenze demografiche. In questa Europa si viveva meglio e più a lungo che in ogni altra parte del mondo. E infatti negli stessi anni ‘50 in cui idee come quelle di Draghi di costruirsi invece di un modello sociale un proprio complesso militare industriale potevano avere qualche ascolto una tale prospettiva rimase marginale se non in un po’ di gollismo e poco altro. Ci voleva l’89 e il cambio genetico sancito da Maastricht per fare tornare le borghesie europee a prima del 1915 accarezzando idee di un proprio posto al sole sostenuto da una forza militare suprematista. L’esatto contrario di quanto pensato da grandi leader europeisti come Brandt, Palme, Berlinguer, Gorbaciov. Ma gli europeisti reali sono altra cosa e si eccitano per un funzionalismo bellicista retrogrado ed inconcludente come quello che il banchiere dalle tante topiche, dalla Goldman Sachs alle previsioni sul crollo russo, ci propina come “soluzione” ai problemi quali quelli della perdita del flusso di energia dalla Russia o la “vecchiezza” del continente. Come se non fossero problemi che sono stati creati o ingigantiti dalle politiche sciagurate a cui ha partecipato da esecutore. Dalla guerra prolungata colla Russia, agli squilibri demografici seguiti alla unificazione europea fatta per vie neocoloniali e in balia del fondamentalismo neoliberale, all’incapacità di accettare il portato stesso del capitalismo e cioè la libertà di movimento facendone un diritto organizzato in nuovo movimento operaio, al modello sociale che “affidato” al neoliberismo è andato frantumandosi con disuguaglianze e povertà crescenti anche nella UE. Per non parlare dell’Italia dove Maastricht ha colpito per prima e duramente e i salari e i redditi da lavoro ne hanno risentito in modi irreversibili. Nel quadro neoliberale, e di guerra permanente, non c’è next generation che serva, se non ad accrescere profitti finanziari, austerità, deindustrializzazione e disuguaglianze. Se non si toglie Maastricht e Patto di stabilità, e Draghi si guarda bene dal proporlo, i sedicenti investimenti saranno profitti per alcuni, soprattutto le multinazionali cui la UE è asservita peggio degli USA come visto in pandemia, e debiti per i tanti. E il complesso militare industriale sarà peggio che negli USA che hanno un sistema istituzionale discutibile ma certo mentre la UE è una sorta di ancien regime in compromesso tra poteri globali e sovranismi nazionali. C’era un tempo in cui il PCI seguiva con attenzione le relazioni dei direttori della Banca d’Italia, non ancora venduta al mercato, per interesse alle idee della borghesia nazionale. Poi però decideva in proprio dallo SME alla scala mobile. Oggi questa nuova sedicente agenda Draghi non merita nessun rispetto perché non ha nessuna vocazione al bene comune e nessuna reale autorevolezza. Questo non significa che non sia bene leggerla e vedere le stesse reazioni che induce. Come si vede da quanto ormai succede nel cuore dell’Europa, Germania e Francia, la linea bellica prevalente in certa borghesia non è però scontato sia vincente. La guerra può costare più dei dividendi previsti. Fare cannoni può essere meno utile al futuro che produrre burro. Il neoliberismo ha picchiato duramente sulla compagine operaia che non è riuscita ad adeguarsi. Ma la lotta di classe può tornare ad essere rovesciata. Ma non può essere una aspettativa messianica ed eticista. Richiede una prassi comunista. Per questo chiudo rubando a Franco Ferrari una citazione che ha usato in un altro contesto e che essendo di Gramsci è un bene comune.

Intendo, scrive Ferrari,  per “strategia politica” qualcosa che Gramsci definiva così: “ogni analisi concreta dei rapporti di forza acquista un significato solo se serve a giustificare una attività pratica, una iniziativa di volontà…a mostrare i punti di minore resistenza, dove la forza della volontà può essere applicata più fruttuosamente, suggerire le operazioni tattiche immediate, come meglio impostare una campagna di agitazione politica, quale linguaggio sarà meglio compreso dalle moltitudini… l’elemento decisivo di ogni situazione è la forza permanentemente organizzata”. (Se no) Prevale invece l’attesa dei “movimenti” e delle “ribellioni” che dovrebbero miracolosamente sbloccare la situazione e modificare i rapporti di forza.

È capitato anche a me discutendo recentemente di genesi del gruppo e del partito europeo rimarcare che a mio avviso questa sta nel reagire alla frattura di Maastricht, e alle sue conseguenze come l’austerità, che sono i passaggi su cui la sinistra che si ridifiniva alternativa, ha rapporti di massa fondati sul conflitto di classe. Fondamentale se si vuole che l’intersezionalià sperimentata a tratti con i social forum abbia una componente comunque storicamente imprescindibile.

Roberto Musacchio

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