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Il voto svedese conferma la crescita della destra

di Franco
Ferrari

Il conteggio finale delle ultime schede del voto svedese di domenica scorsa è in corso oggi mercoledì 14 settembre mentre scriviamo queste righe. Manca ancor parte del voto postale pervenuto negli ultimi giorni e il voto all’estero. Data la differenza minima che si è registrata tra il blocco di centro-sinistra e quello di centro-destra non è totalmente esclusa la possibilità di un ribaltamento finale, ma la stampa svedese è orientata ad escluderlo sulla base dei precedenti comportamenti elettorali di questa fetta di elettorato.

Al momento lo spoglio prevede questa ripartizione dei 349 seggi: Socialdemocratici 108 (+8), Democratici (destra populista) 73 (+11), Moderati 67 (-3), Centro 24 (-7), Sinistra 24 (-4), Democristiani 19 (-3), Verdi 18 (+2), Liberali 16 (-4). Una potenziale coalizione di destra può contare sulla somma di Democratici, Moderati, Democristiani e Liberali. Questi ultimi sono i più scettici nell’accettare la partecipazione diretta del partito xenofobo al governo, ma dati i rapporti di forza che si sono determinati sembra molto difficile escludere il maggior partito dello schieramento dalla spartizione dei ministri.

Sull’altro fronte i socialdemocratici della premier uscente Magdalena Andersson sono riusciti a rafforzare la propria posizione elettorale superando di poco la soglia del 30% (30,48) e conquistando 8 seggi in più. Questo incremento non è avvenuto però togliendo voti alla destra ma solo ai potenziali alleati del proprio blocco, in particolare i Centristi e in misura minore alla Sinistra guidata da Nooshi Dadgostar. Solo i Verdi, che rischiavano di finire sotto la soglia di sbarramento, hanno potuto contare su un voto di sostegno dell’ultimo minuto.

Il successo socialdemocratico va relativizzato sulla base della storia elettorale di questo partito che per molti decenni ha dominato il sistema politico svedese. Il risultato del 2018 (28,3%) era il peggiore dal 1908 quando la socialdemocrazia era ancora nella sua fase espansiva. La soglia del 30%, superata di poco domenica scorsa, la riporta al livello del 1914. Nei mesi scorsi, il partito che fu di Olaf Palme ha rotto con la tradizionale difesa dell’autonomia svedese dai blocchi militari, sostenendo l’adesione alla Nato. Un tema che, data l’ampia convergenza di quasi tutte le forze politiche su questa scelta, è stato rimosso dalla campagna elettorale.

Questa è stata dominata invece dagli effetti (veri o presunti) dell’immigrazione e dal suo collegamento con i problemi di sicurezza che si riscontrano in alcune realtà periferiche del Paese e che vengono ampiamente gonfiati e strumentalizzati per alimentare un clima di xenofobia che i Democratici (sorti come coalizione di gruppi di estrema destra e neonazisti) hanno saputo cavalcare sin dall’inizio.

Il nuovo Governo dovrà affrontare una situazione economica condizionata da un forte incremento dell’inflazione che sta già producendo effetti importanti su tutti i mutui in corso. Un nuovo governo di destra proseguirà con le tradizionali politiche neoliberiste che hanno fortemente indebolito il welfare state e aumentato le diseguaglianze in un Paese che per molta parte del ‘900 ha considerato un elemento di identità la difesa di politiche egualitariste.

Il Partito della Sinistra ha ottenuto il 6,7% dei voti con un calo dell’1,3% rispetto al 2018 e una perdita di quattro mandati. La Sinistra si è battuta per ottenere importanti conquiste sociali attraverso una strategia conflittuale nei confronti della socialdemocrazia. All’interno del potenziale schieramento di centro-sinistra le battaglie anti-liberiste della Sinistra l’hanno messa in rotta di collisione con il Partito di Centro e anche con la maggioranza dei socialdemocratici.

Come analizzato da Peter Nilsson e Rikard Warlenius in un articolo pubblicato dalla sede di Bruxelles della Fondazione Rosa Luxemburg (vedi qui) il Partito della Sinistra “ha adottato una classica agenda socialdemocratica di grandi investimenti per contrastare il ribasso economico. Questi investimenti sono specificamente diretti verso le zone di campagna e del “rustbelt” (ndr, le vecchie aree industriali in declino) come mezzo per contrastare il declino di larga parte della Svezia rurale. L’idea sottostante è di costruire un ponte tra l’attuale sostegno elettorale dei giovani progressisti delle città e la conquista degli elettori della classe lavoratrice nelle città industriali che erano maggioritariamente socialdemocratici ma ora si rivolgono ai Democratici Svedesi. Questo tentativo ha causato un conflitto con alcuni settori del partito così come con il movimento ambientalistico, che ritengono l’attenzione per la grande industria e per la crescita economica come un passo per allontanarsi dalla precedente centralità sulle riforme per il clima.”

La leadership del partito ha risposto a queste critiche sostenendo che le ”riforme verdi” non possono avvenire a spese della gente comune e che l’unica strada possibile è quella della “crescita verde”. Nell’immediato questo tentativo di ridefinire il profilo del partito per intercettare il consenso di settori popolari più tradizionali non ha dato risultati positivi ma questa è considerata una strategia di lungo periodo.

La ridefinizione strategica del Partito di Sinistra fa i conti con una serie di problemi che sono presenti al dibattito di tutta la sinistra radicale europea. Intanto il rapporto con la socialdemocrazia che oscilla tra alleanza (che rischia di essere subalterna) e conflitto. La Sinistra ha scelto una linea più conflittuale che ha ottenuto dei risultati ma non ha intaccato la centralità della socialdemocrazia come principale garante di un governo alternativo alle destre, anche se non necessariamente alle politiche di destra sul terreno economico-sociale. In secondo luogo come ricomporre una separazione esistente nei settori popolari tra la parte più sensibile ai temi “socio-culturali” e quelli che vivono con difficoltà e con un ripiegamento identitario le prospettive di peggioramento della condizione socio-economica. La conquista di specifiche misure positive su questo terreno non è sufficiente a mettere in discussione l’egemonia delle narrazioni dominanti, sia quelle di destra che quella della parte “sinistra” dell’establishment.

Franco Ferrari

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