In Francia già dal 3 giugno è insediata e attiva una commissione d’indagine parlamentare sui comportamenti tenuti da governo e istituzioni nella lotta al Covid.
Chiesta dall’opposizione repubblicana è stata votata e messa al lavoro.
In Italia il governo fa ricorso contro il Tar che ha sentenziato la desecretazione dei dati su cui si sono basate le decisioni del governo durante l’emergenza. Chissà perché.
E il governo italiano, praticamente unico in Europa, proroga lo stato di emergenza.
Per la precisione in Francia, con la fine dello stato di emergenza, è stata votata una legge transitoria che prevede interventi limitativi non generalizzati in base alla circolazione del virus.
Poteri simili a quelli che in Italia ha il ministro della sanità con la legge 833.
La polemica comunque è stata molto forte, con ricorso alla Corte Costituzionale che ha giudicato legittimo il provvedimento.
Stiamo parlando di due Paesi in cui l’impatto della pandemia è stato sostanzialmente simile, che hanno avuto comportamenti anche essi abbastanza coincidenti e che sono ancora in situazioni analoghe dal punto di vista del rischio.
Perché dunque sono differenti le scelte in termine di trasparenza e procedure ed è così diverso l’atteggiamento dei cittadini e delle stesse forze politiche, a partire da quelle di sinistra?
In Francia il Pcf ha votato contro l’attribuzione dei poteri di stato di emergenza anche nel momento in cui l’impatto della pandemia era virulento al massimo.
Nessuno ha pensato che quella posizione fosse negazionista. E il Pcf è stato in prima fila nel chiedere che si facessero con i poteri ordinari tutte le cose necessarie a combattere il virus.
E Macron, nel momento in cui ha chiesto i poteri d’emergenza, ha ritirato il disegno di legge di controriforma delle pensioni su cui era in atto uno scontro sociale durissimo. Dando il segnale che non si poteva e non si voleva approfittare dei limiti a manifestare per “vincere” un conflitto.
Lo stato di emergenza non può essere banalizzato. Infatti ci sono normative internazionali che lo vincolano. La carta dei diritti dell’ONU del 1966 all’art. 4 prevede un severo controllo su chi vi ricorre. Analoga cosa fa la Carta europea dei diritti del 1950.
Nel dibattito tra i/le costituenti in Italia vi era forte diffidenza che portò a prevedere il solo stato di guerra come caso specifico ponendo la sicurezza sanitaria e dello Stato come possibile limitazione negli articoli dedicati ai diritti.
In Francia fu introdotto per legge con la guerra d’Algeria e questo motiva l’avversione storica dei comunisti.
In Germania è normato in Costituzione e con casistiche molto precise avendo per altro una legge specifica sulle pandemie. Merkel ne ha parlato in modi molto preoccupati nel suo discorso d’insediamento al Parlamento Europeo come presidente di turno della UE.
In Italia si è creata la solita mistificante e mortificante polarità per cui chi è per lo stato d’emergenza è contro il virus (e contro Salvini) e chi no è negazionista (e sta con Salvini).
Poco vale far notare che con lo stato di emergenza sono rimaste aperte troppe attività e non si è commissariata la Lombardia. La realtà viene ottenebrata dalla narrazione binaria ormai in voga da un trentennio.
E se dici che abbiamo avuto almeno 35 mila morti, con una percentuale per abitante tra le più alte al mondo e che sarebbe comunque il caso di fare come in Francia un lavoro d’inchiesta parlamentare la risposta, disarmante, è che se c’era Salvini sarebbe andata peggio.
Ora naturalmente il negazionismo, la strumentalità, le giravolte delle destre sono un grande problema.
Ma questo non giustifica, anzi, mancanze di rigore, di principi, di visione che dilaga “a sinistra”.
Il Pci aveva un’attenzione fortissima alle procedure costituzionali e al merito democratico e sociale delle scelte che si operavano. E il popolo di sinistra aveva una fortissima attitudine al controllo dei propri rappresentanti.
Tutto questo appare ormai perso e dimenticato.
Perché?
Perché la sconfitta è stata pesante e su tutti i piani, sociale, politico, istituzionale e culturale.
Solo pochi giorni fa, il 31 luglio, è stato il 28esimo anniversario dell’accordo sindacale del 1992.
Un accordo stipulato all’indomani di Maastricht, fortemente voluto dall’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato (che aveva molto chiaro cosa succedeva con la nuova “Europa reale”, spalleggiato e sospinto dalla Confindustria, e “subito” dalla Cgil di Bruno Trentin che dopo averlo sottoscritto si dimise.
Ne parlo, come punto di svolta generale perché era un “accordo” che non solo toglieva definitivamente la scala mobile, simbolo del salario variabile indipendente e egualitaria, ma assumeva del tutto il punto di vista dell’economia “borghese” fondata sulla politica dei redditi, e in realtà la centralità d’impresa, ed influiva sulla natura del sindacato piegato alla concertazione, deprivato di autonomia di classe, alterando così la composizione e la coscienza democratica, eliminando di fatto la soggettività di classe.
Qualche tempo dopo il Pds per “cacciare” Berlusconi fa accettare al “suo” popolo una controriforma Dini delle pensioni che pochi mesi prima aveva combattuto frontalmente nella versione berlusconiana.
Sia gli accordi sindacali (al 31 luglio seguirà il completamento del 23 luglio del ’93) sia la controriforma pensionistica sono accettati dal “popolo di sinistra” con referendum sindacale o con il voto al Pds (in realtà sempre più scarso e sempre più “contro”).
Si comincia a votare contro qualcuno e in realtà contro se stessi, contro la propria condizione sociale e la propria Storia.
Lo sradicamento della Storia italiana diventa sradicamento di coscienza di sé, di perdita di orientamento sociale ma anche costituzionale.
Tutta la seconda Repubblica in realtà si muove per uscire dall’ambito costituzionale. Ed è paradossale che più si aquisce formalmente la lotta contro le destre più si va sul loro terreno.
L’attacco alla scala mobile lo comincia Craxi contro il Pci e Berlinguer ma la cancellazione arriva con Amato e il 31 luglio.
L’attacco a pensioni, pubblico, lavoro è delle destre ma viene concretizzato spesso dal centrosinistra.
Lo stato di emergenza è per eccellenza evocato dalle destre ed ora viene addirittura evocato come “ritorno dello Stato” e tutela dei cittadini.
Questa obnubilazione democratica impedisce di manifestare la giusta rabbia e voglia di cambiamento rispetto alle devastazioni della sanità pubblica che ci ha resi così vulnerabili al virus. E non si ha questa rabbia perché quelle devastazioni le hanno fatte anche “i tuoi”.
E così non si pensa ad un vero cambiamento perché “i tuoi” non lo prevedono. Sono i tuoi perché sono contro gli altri che farebbero peggio. 35 mila morti? Con “lui” sarebbero stati di più, la risposta agghiacciante.
Altro che commissione d’inchiesta parlamentare come in Francia. Delega ai “tuoi” contro “loro”.
La realtà è che molta parte della coscienza collettiva e condivisa del Paese poggiava su una Storia e su soggetti politici che sono stati rimossi.
Per cui si può arrivare a intitolare una piazza a Almirante e Berlinguer insieme o a Craxi.
In Francia nessuno può rimuovere la Rivoluzione francese e il senso di essere cittadini. Qui la Costituzione è rimossa quotidianamente.
Ed eccoci con uno stato di emergenza prorogato che però non commissaria la Lombardia e non circoscrive Confindustria. Con una ricostruzione tutta impresa e cemento. Con un Mes evocato dai “tuoi”.
E tra poco si taglia il Parlamento.
Eppure è proprio la mancanza di scelte alternative da almeno 30 anni che ci ha portati fin qui.
Prima o poi qualcuno troverà il modo di dire che il re è nudo.
Intanto la lotta al Covid deve continuare nelle due questioni fondamentali. Impedire che per il profitto si facciano correre rischi inaccettabili. Ripensare l’economia e la società sulla base della necessità di garantire sicurezza. Non l’emergenza ma un altro modello di vita.
P.S.: Apprendiamo che col decreto che proroga lo stato di emergenza si farebbe anche la proroga, in deroga, dei vertici dei servizi segreti. Che dire?