Pubblichiamo, con l’autorizzazione dell’autore, la memoria del prof. Marco Barbieri, ordinario di Diritto del Lavoro nell’Università di Bari, per l’audizione del 27 giugno 2023 alla Camera dei deputati, XI Commissione –
Perché il salario minimo legale
Per molti anni in Europa i poveri erano i disoccupati. In questo secolo, invece, si è diffuso anche da noi il fenomeno della in-work poverty, che tocca le persone occupate per almeno sette mesi nell’anno ma che vive in una famiglia che ha un reddito inferiore al 60% del reddito mediano nazionale. Perciò l’Unione Europea ha varato la Direttiva 2041 del 19 ottobre 2022, relativa a salari minimi adeguati.In Italia risultano 4.578.535 lavoratrici e lavoratori che guadagnano meno di 9 euro lordi l’ora, fra cui più del 90% dei lavoratori domestici, il 35,1% di chi lavora in agricoltura e il 26,2 dei e delle dipendenti delle imprese private. In particolare, guadagnano meno di 9 euro il 38% delle persone con meno di 35 anni, e il 26% delle lavoratrici1.
Esiste dunque un notevole problema di retribuzioni troppo basse, e per di più il fenomeno è in crescita2; ed esistono, dunque, le ragioni sociali per un intervento legislativo, che non può più essere supplito dal salario minimo giurisprudenziale, sempre meno in grado di garantire una effettiva applicazione della disposizione costituzionale in tema di retribuzione sufficiente; e mi pare che la prova stia nell’apparire con crescente frequenza nella giurisprudenza di sentenze che dichiarano inadeguata, e dunque in contrasto con l’art. 36, co. 1, Cost., la retribuzione pur fissata dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative.
Recentemente ho ascoltato un parlamentare sostenere in una trasmissione televisiva che il salario minimo legale non sarebbe la soluzione, perché ci sono imprese che non lo potrebbero pagare. L’obiezione non può essere accolta, perché con questo criterio non dovrebbe esistere l’art. 36, co. 1, della Costituzione, nel quale si dispone che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se’ e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Dal punto di vista economico di un’economia di mercato, le imprese che non sono in grado di sopravvivere rispettando le regole dovrebbero cessare l’attività per permettere un’allocazione più efficiente del fattore capitale.
Peraltro, l’esperienza della Germania – il Paese che più recentemente, dal 2015, ha introdotto il salario minimo legale e nel quale esso ammonta quest’anno a dodici euro l’ora – ha mostrato gli effetti positivi della misura legale3.
L’Italia di fronte alla Direttiva europea
Come si sa, sono soltanto Danimarca, Svezia, Finlandia, Austria e Italia i Paesi dell’Unione privi di una qualche legislazione sul salario minimo.
La Direttiva, sin dalla proposta della Commissione, è però molto chiara nel disporre che essa non crea agli Stati membri l’obbligo di introdurre un salario minimo legale negli Stati in cui sia la contrattazione a fissare i salari, e neppure di dare efficacia erga omnes alla contrattazione stessa (art. 1, §4 definitivo).
Quello che impone è, nel caso in cui la contrattazione collettiva non copra almeno l’80% delle persone che lavorano, che gli Stati promuovano “un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva, per legge a seguito della consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime. Tale Stato membro definisce altresì un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva” (art. 4, par. 2).
Ho espresso anni addietro dubbi sull’attendibilità delle stime che danno per conseguita in Italia tale soglia4, in quanto non considerano falsi autonomi e lavoratori in nero, al contrario di quanto richiede l’art. 2 della Direttiva, e in ogni caso occorrerebbe sollevare la questione se la soglia dell’80% si possa considerare raggiunta attraverso la abbondantissima produzione contrattuale di organizzazioni datoriali e sindacali prive di effettiva rappresentatività o di dubbia rappresentatività5, ancorché magari rappresentate nel CNEL: emerge già dai dati dello stesso CNEL6 che il 13% dei lavoratori e delle lavoratrici i cui rapporti di lavoro siano dichiarati come subordinati e di cui sia noto il contratto collettivo applicato – quindi già una base più ristretta del totale – non si vedono applicato un contratto collettivo stipulato da organizzazioni datoriali e sindacali rappresentate nello stesso CNEL (che non vuol dire, naturalmente, che si tratti dei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, visto che nel CNEL sono rappresentate ben nove organizzazioni sindacali del lavoro).
Si segnala, perché appare oscuro in alcune proposte di legge, che i dati OCSE sono inutili al proposito, giacché indicano la percentuale di lavoratori dipendenti che ha diritto alla contrattazione collettiva, che naturalmente in Italia è il 100%, ma non la percentuale di coloro cui effettivamente si applichi un contratto collettivo.
Quindi, qualcosa bisogna fare: e del resto, nella scorsa legislatura esponenti di gruppi parlamentari diversi – compreso l’attuale Presidente dell’XI Commissione – hanno presentato nove diversi disegni di legge nei due rami del Parlamento; e in questa legislatura ne risultano già sei alla Camera e uno al Senato.
I nodi problematici di un eventuale intervento legislativo
Si indicheranno qui, in estrema sintesi, i principali nodi che il Parlamento dovrebbe affrontare, se si orientasse per un intervento legislativo.
Il rapporto tra legge e contrattazione collettiva
Per non ledere il diritto delle parti sociali a svolgere liberamente la propria attività, ed evitare che l’intervento legislativo si risolva in un appiattimento verso il basso delle retribuzioni e in una non auspicabile fuga delle imprese dal loro sistema associativo di rappresentanza, risultando più conveniente applicare le retribuzioni di legge anziché quelle dei contratti collettivi, il legislatore dovrebbe porre attenzione a fissare come retribuzione minima legale quella prevista per ciascun livello di inquadramento dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative. E questo fanno quasi tutte le proposte depositate in questa legislatura, manifestandosi molto rispettose del tradizionale ruolo di autorità salariale riconosciuto nel nostro Paese ai contratti collettivi, e capaci di rendere complementari, e non già concorrenti, regolazione autonoma e regolazione eteronoma. Fa eccezione solo una proposta che si limita a indicare una cifra fissa minima, esponendosi al rischio anzidetto.
Né avrebbe valore alcuno una eventuale obiezione, secondo la quale in tal maniera si renderebbe efficace erga omnes il contratto collettivo: in contrario, infatti, depone la posizione che ha preso qualche anno fa la Corte costituzionale con la sentenza 26 marzo 2015, n. 51, a proposito della simile disposizione in vigore per il lavoro nelle cooperative.
Il campo di applicazione
Il campo di applicazione di un’eventuale legge sarebbe condizionato da quanto prescrive la Direttiva europea, la quale lo affronta all’art. 2 prescrivendo che “La presente direttiva si applica ai lavoratori dell’Unione che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quali definiti dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia”: l’ultimo inciso induce a ritenere che bisognerebbe includere l’insieme delle figure di cui ci parla il considerando 21 del testo concordato della Direttiva (“A condizione che soddisfino tali criteri, i lavoratori del settore pubblico e privato, nonché i lavoratori domestici, i lavoratori a chiamata, i lavoratori intermittenti, i lavoratori a voucher, i lavoratori tramite piattaforma digitale, i tirocinanti, gli apprendisti e altri lavoratori atipici nonché i falsi lavoratori autonomi e i lavoratori non dichiarati potrebbero rientrare nell’ambito di applicazione della presente direttiva“).
Qui le proposte di legge sinora note in questa legislatura sono più variegate, taluna limitandosi a considerare i lavoratori subordinati, talaltra includendo le collaborazioni etero-organizzate di cui all’art. 2 D.Lgs. 81/2015, talaltra ancora estendendosi pure alle collaborazioni coordinate e continuative, agli agenti e ai rappresentanti di commercio non subordinati.
Una Commissione?
Molti Paesi d’Europa hanno nella legislazione sul salario minimo una Commissione, tecnica o tripartita tra Governo e parti sociali, con varie funzioni. La soluzione dipende dal fatto che nessuno dei Paesi dell’Unione sinora ha scelto la via del rinvio ai contratti collettivi per la determinazione del salario minimo.
Credo che questa previsione, presente in quattro delle proposte attualmente in discussione alla Camera, non sia affatto opportuna.
Se la ipotizzata Commissione avesse un vero e proprio potere di aggiornamento del salario minimo legale, o anche solo della soglia minima legale inderogabile di questo, saremmo di fronte a una inaccettabile costituzione di una terza autorità salariale, oltre ai contratti collettivi e alla legge, di pesante marca eteronoma. Se poi essa prevedesse una rilevante partecipazione delle parti sociali, costituirebbe una sede parallela di negoziazione retributiva, che nuocerebbe alla contrattazione collettiva come autorità salariale.
Naturalmente questo lascia impregiudicato il tema dell’adeguamento nel tempo del salario minimo legale, di cui si parlerà infra.
Peraltro, l’insieme delle differenti proposte qui riassunte mi pare dimostri che il sovrapporre all’intervento legislativo sul salario minimo temi come quelli dell’efficacia generale dei contratti collettivi o della misurazione della rappresentatività sindacale, con tutti i complessi problemi tecnici e politici che li caratterizzano, ciascuno e nella loro combinazione, possa avere come unico effetto non la soluzione simultanea delle questioni attorno alle quali si arrovellano da decenni il legislatore e la stessa dottrina, ma solo quello di impantanare la discussione sul salario minimo legale, rendendo estremamente difficile l’approvazione di un intervento legislativo qualsiasi.
Una cifra come minimo inderogabile è una necessità. Ma quale?
È legittimo chiedersi a questo punto se questa originale via italiana al salario minimo legale, già delineata nella vigente legge sul lavoro subordinato in cooperativa, sia sufficiente, o se sia necessario integrarla con la previsione legislativa inderogabile di una cifra al di sotto della quale neppure il salario minimo (previsto dalla legge ma in concreto individuato dal contratto collettivo nazionale) possa andare.
È noto che sia serpeggiata all’interno delle maggiori confederazioni sindacali l’idea che basti estendere, sia pure come parametro, la retribuzione dei contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni maggiori: tuttavia, a me pare che i numeri del lavoro povero in Italia che si sono riportati supra, al par. 1, smentiscano senza possibilità di errore che la contrattazione collettiva tra le organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative sia riuscita in Italia a scongiurare il fenomeno del lavoro povero.
Nell’analizzare le cifre che il legislatore nazionale potrebbe fissare, occorre ricordare che i parametri della Direttiva sono costituiti dal 60% del salario mediano o dal 50% del salario medio.
Orbene, occorre tenere presente che secondo l’ISTAT7, la soglia dei due terzi del valore mediano dei salari – che definisce i low wage earners in Europa – era nel 2018 di 8,5 euro, mentre alla stessa data il salario medio lordo era di 15,8 euro, di cui il 50% sarebbe stato dunque 7,9 euro lordi.
Peraltro, il minimale contributivo, nell’ipotesi di un rapporto a tempo parziale su un orario settimanale di 40 ore, è per il 2023 di 8,09 euro8.
Naturalmente, esiste un problema di aggiornamento dei dati statistici, ma ritengo non sarebbero conformi ai criteri previsti dalla Direttiva eventuali proposte che, una volta ritenuto indispensabile fissare una cifra minima inderogabile per le ragioni anzidette, la fissino a una cifra minore dei nove euro di cui parlano due delle sei proposte attualmente in discussione, da cui si distacca quella che la fissa a dieci.
Per le ragioni accennate nel paragrafo precedente, non si può condividere l’affidamento – prescelto da tre delle proposte in discussione – alla sola contrattazione collettiva dell’individuazione dei minimi: le cronache quotidiane e la giurisprudenza ci mostrano che vi sono settori ove questo non è affatto idoneo a garantire a chi presta lavoro una esistenza libera e dignitosa, e possono addirittura subentrare sanzioni penali assai pericolose per i datori di lavoro che in buona fede si siano affidati alle previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative9.
I dati, comunque, smentiscono la posizione che fu espressa nel 2019 da Confcommercio in relazione alla cifra di nove euro l’ora, per la quale “si tratterebbe, infatti, di un valore pari a circa l’80 per cento del salario medio”. Semmai, appare rilevante chiarire a livello legislativo, se il Parlamento deciderà per l’intervento legislativo, se il dato si riferisca ai soli minimi tabellari – cosa che riterrei di escludere, perché la costituzionalità della norma dipende proprio dalla previsione di un trattamento economico complessivo, come si è visto: trattamento che però certamente non potrebbe inglobare gli istituti indiretti o le voci variabili della retribuzione, contrariamente a quanto previsto in una delle proposte di legge in discussione.
L’aggiornamento nel tempo dei salari minimi legali definiti per rinvio ai CCNL e della cifra inderogabilmente fissata dal legislatore
L’aggiornamento del salario minimo legale definito per rinvio ai contratti collettivi deriverebbe, naturalmente, dai rinnovi contrattuali stessi. Particolarmente accorta, però, di fronte ai cronici ritardi dei rinnovi contrattuali, e specialmente proprio di quelli che prevedono livelli salariali più bassi10 è la proposta che prevede l’automatica rivalutazione, sulla base delle variazioni dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, degli importi previsti dai CCNL scaduti e non ancora rinnovati.
Per quanto riguarda invece la cifra minima inderogabile fissata dal legislatore, anche in questo caso la scelta è tra l’indicizzazione della cifra minima fissata dal legislatore (quale che sia l’importo), o l’affidamento a Commissioni e decreti ministeriali, onde se ne è discusso parlando della Commissione, cui più di una proposta, come si è visto supra, intende affidare questo compito.
- XIX Rapporto dell’INPS, ottobre 2020, in https://www.inps.it/dati-ricerche-e-bilanci/rapporti-annuali/xix-rapporto-annuale, che dedica al salario minimo legale una parte importante (pp. 217-244).[↩]
- Relazione del Gruppo di lavoro “Interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa” istituito con Decreto Ministeriale n. 126 del 2021, p. 11 (in https://www.lavoro.gov.it/priorita/Documents/Relazione-del-Gruppo-di-lavoro-sugli-Interventi-e-misure-di-contrasto-alla-poverta-lavorativa-in-Italia.pdf).[↩]
- V. almeno G.M. Ahlfeldt, D. Roth, T. Seidel, The regional effects of Germany’s national minimum wage, in Economics Letters, 2018, vol. 172, pp. 127-130; M. Caliendo, C. Schröder, L. Wittbrodt, The Casual Effects of the Minimum Wage Introduction in Germany – An Overview, in German Economic Review, 2019, vol. 20, 3, pp. 257-292.[↩]
- Si v. in particolare la Nota intitolata L’introduzione del salario minimo legale in Italia. Una stima dei costi e dei beneficiari presentata dall’INAPP alla Commissione lavoro della Camera dei deputati il 17 giugno 2019, ove la copertura è stimata all’80,3% nel 2013 (https://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/upload_file_doc_acquisiti/ pdfs/000/001/840/Memoria_INAPP.pdf), p. 1, Fig. 1.[↩]
- S. Spattini, CCNL vigenti depositati presso il CNEL. I dati al 22 giugno 2022, in https://www.bollettinoadapt.it/wp-content/uploads/2022/06/DAti-CNEL-CCNL-22_06_22 .pdf.[↩]
- CNEL, XXIII Rapporto mercato del lavoro e contrattazione collettiva. 2021, pp. 376 ss., e ivi p. 379 Tab. 4, in https://www.bollettinoadapt.it/xxiii-rapporto-sul-mercato-del-lavoro-e-la-contrattazione-collettiva-2021/.[↩]
- Report della Rilevazione sulla Struttura delle retribuzioni e del costo del lavoro (RCL-SES) relativa all’anno 2018, 18 marzo 2021, in www.istat.it/it/archivio/.[↩]
- INPS, Circolare 1° febbraio 2023, n. 11, punto 4 p. 5.[↩]
- Si vedano proprio in questi giorni le notizie sui vigilanti pagati 5 euro l’ora nel gruppo Securitalia, e il relativo commissariamento, in https://www.agi.it/cronaca/news/2023-06-22/vigilantes-pagati-5-euro-ora-commissariata-societ-21942731/?fbclid=IwAR1TrN5ULqCQ2yJEFOjP_g7gwmRgOU6bS3wHBNnoARE4Fck4dCDkTyhHn9I.[↩]
- Il caso estremo è stato il CCNL vigilanza privata e servizi fiduciari, rinnovato il mese scorso tra le organizzazioni sindacali aderenti alle tre maggiori confederazioni e l’ASSIV Confindustria, a dieci anni dalla precedente stipulazione; ma dieci anni sono intercorsi pure per il rinnovo del CCNL per i dipendenti delle imprese industriali di pulizia e multiservizi; per il CCNL dei call center sette anni; e per il CCNL delle cooperative socio-sanitarie otto anni.[↩]