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Il risveglio della rana bollita nella calda pentola della tecnosfera

di Roberto
Rosso

Viviamo immersi in una nuvola di dispositivi tecnologici, che mediano il nostro rapporto con la realtà, che mediano le relazioni tra noi umani. Il rapporto sociale nel quale l’essere umano come appendice delle mondo delle merci, prodotto della società capitalistica, in cui ogni dimensione antropologica è mediata da un sistema sempre più pervasivo di merci, si evolve -nella società che ormai da decenni è definita come società dell’informazione- nella stratificazione sempre più complessa di reti e dispositivi ‘intelligenti’, dove il contenuto informativo, codificato e formalizzato, per unità di tempo, nelle relazioni, nelle prestazioni deli oggetti di cui facciamo uso è sempre più alto.  La complessità della rete informativa a cui un individuo o una comunità può accedere costituisce ovviamente un indice delle diseguaglianze che caratterizzano ogni formazione sociale. La capacità di governare lo sviluppo tecnologico, in particolare delle tecnologie digitali come fattore abilitante di ogni altra tecnologia, costituisce il fattore fondamentale nella competizione su qualsiasi mercato ed in particolare tra i soggetti statali e d’impresa che competono sul mercato mondiale.

Questa complessità trova ovviamente la sua riduzione ad un unico comune denominatore in termini di accumulazione, realizzazione di profitto. Come suggeriva Sergio Bellucci nella sequenza della valorizzazione D-M-D’, dove D’= D + ΔD, la ‘M’ di merce dovrebbe essere sostituita dalla ‘I’ di informazione D-I-D’ ovvero -come abbiamo avuto modi di osservare- da M(I) dove la merce è funzione dell’informazione ovvero l’informazione diventa il fattore fondamentale per attivare il processo di valorizzazione in tutto il ciclo di vita della merce.

L’innovazione come fattore competitivo fondamentale, da ricercare a priori, ha prodotto una mutazione perversa nel ciclo di vita delle ‘aziende innovative’ come descritto da Quintarelli nella già citata intervista1: “Se non ci limitiamo alle aziende più grandi, ai Big Tech, ma consideriamo tutto il sottobosco di piccole e medie aziende alimentato dai fondi di venture capital, fino all’anno scorso molte di queste aziende avevano come missione del loro business quella di vendere sé stesse al prossimo finanziatore, piuttosto che vendere prodotti e servizi al mercato. Questo modello si è inceppato a causa dell’aumento dei tassi di interesse.” Si cerca di cogliere l’occasione, di anticipare quanto più possibile la realizzazione di un prodotto/processo/servizio innovativo; l’interdipendenza dei processi, la complessità delle relazioni reciproche tra filiere tecnologiche alimenta la ricerca della tecnologia capace di rivoluzionare una ampia porzione di questo reticolo multidimensionale, di avere effetti non solo locali e circoscritti, il cui esempio più noto ed eclatante è quello dei social networks.

All’obsolescenza programmata dei prodotti, quale fattore necessario per mantenere alto il livello dei consumi, si affianca, si realizza attraverso l’innovazione più o meno sostanziale della merce; il mercato dei telefoni cellulari, diventati smartphone ne è l’esempio più evidente ed attuale.

Noi, le persone, gli esseri umani siamo plasmati da questo processo di allargamento e sostituzione del mondo delle merci, di oggetti, servizi, ambienti capaci di prestazioni informazionali sempre più ricche, la cui ricchezza di prestazioni è ovviamente un carattere distintivo della qualità del consumo.

I processi di innovazione hanno la loro ragion d’essere in questa capacità di conquistare i marcati, di aprirne di nuovi incrementando e innovando le prestazioni di oggetti e servizi, ma non solo. Da sempre il conflitto sociale è stata una molla fondamentale per costringere l’organizzazione capitalistica nella dimensione produttiva quanto in quelle riproduttiva ad innovarsi nei suoi vari passaggi attraverso l’organizzazione fordista a quella definita post-fordista. È la storia dello scontro di classe, della  sua evoluzione, della trasformazione conseguente della composizione sociale, dell’allargamento delle qualità dell’individuo sociale messe al lavoro nel processo di valorizzazione, delle qualità e delle dimensioni del mondo della vita a loro volta esplorate dalla tecno-scienza e messe al lavoro.

Questo processo di valorizzazione ha prodotto, come ormai ben sappiamo, profonde contraddizione nelle condizioni di riproduzione della vita stessa, interna ed esterna -per schematizzare- alla società, all’essere umano. La nocività dei processi produttivi, logistici e abitativi sono stati documentati, e la loro regolamentazione è stata un obiettivo ineludibile del conflitto sociale, generando una cascata di innovazioni tecnologiche dal carattere pervasivo, definendo peraltro un carattere distintivo delle diseguaglianze a livello globale, nello spostamento di produzioni nocive nelle regioni  periferiche rispetto centro dello sviluppo capitalistico o nella riproduzione di condizioni di vita micidiali nelle megalopoli della periferia del mondo.

Da ultimo il riscaldamento globale, l’incombere sempre più catastrofico del cambiamento climatico sta imponendo una vera rivoluzione, una trasformazione radicale e pervasiva di tutti processi produttivi e riproduttivi per ridurne l’impronta in termini di emissioni di gas climalteranti, in sostanza di consumo energetico. La radicalità, la pervasività e globalità di questa trasformazione ne fa un fattore centrale nella definizione degli squilibri e dei conflitti a livello globale.

Nella convergenza dei processi evolutivi del sistema delle tecnologie -digitali in primo luogo- e delle condizioni che ne necessitano lo sviluppo, l’attualità della crisi climatica si sposa oggi con l’accelerazione nelle prestazioni dell’insieme di tecnologie che cadono nella definizione di Intelligenza Artificiale. In buona sostanza capacità di autoregolazione dei sistemi digitali, entro ambiti predefiniti nei quali operano i sistemi, di cogliere le regolarità di un ambiente osservato, come può essere il gioco degli scacchi, di cogliere le possibili configurazioni come nella formazione delle proteine dagli aminoacidi o il senso di una espressione linguistica, mettendo a confronto un quesito ‘il prompt’ -più o meno articolato- con l’analisi statistica di gigantesche basi di conoscenza ed il calcolo probabilistica della più appropriata successione di parole, in risposta alla domanda. Quest’ultima tecnologia, rozzamente definita, è quello che più di ogni altra ha creato un vero e proprio scompiglio per le potenzialità di utilizzo e la conseguente pericolosità derivante dalle sue risposte imprevedibili, le cosiddette allucinazioni ed ancor di più della possibilità di manipolazione nella fase di addestramento sulla base dei testi che gli/le vengono dati in pasto.

Improvvisamente gli ‘utenti’ del sistema digitale, sempre più dipendenti da oggetti, ambienti e sistemi, , addestrati ad usarli, ma del tutto incompetenti nel comprenderne il funzionamento, vedono irrompere una tecnologia che interviene sulla basilare capacità di avviare conversazioni e ottenere in essere risposte ai propri quesiti, per non parlare della capacità di creare immagini che si distinguono per valore estetico o realismo nella rappresentazioni. Siamo bel oltre i motori di ricerca che mi offrono un insieme gerarchizzato di siti, giacimenti informativi, dove trovare risposte e informazioni.

Si crea una condizione, di spaesamento, di straniamento per l’irrompere per l’ennesima volta di una sorta di soggettività non umana in relazioni ed attività genericamente umane, proprie del genere umano. È questa condizione che si vuole mettere in evidenza, con le poche note che precedono e riassumono, a dir la verità, riflessioni di molti e forse di gran parte degli articoli dello scrivente su questa rivista. Un tema che sta suscitando notevoli perplessità -e interrogativi analoghi sulla pericolosità e legittimità di determinate tecnologie- è quello della carne artificiale, su cui chi è più esperto sul tema potrà intervenire in modo approfondito. Nella discussione interna alla redazione è stato giustamente osservato come alla base del processo nutritivo dell’animale ci sia un terreno fertile un humus caratterizzato, lavorato dalla presenza di miliardi di batteri e milioni di funghi, da cui dipendono le caratteristiche finali della carne che viene sulle nostre tavole. Di contro si è detto che le condizioni in cui vengono allevati gli animali che forniscono gran parte della carne messa in commercio, sono tutt’altro che naturali e poco hanno a che fare con la varietà di fattori che regolano la riproduzione di un ambiente naturale in cui pascoli liberamente un erbivoro. La stessa cosa vale per il pesce, mentre ad esempio gran parte della produzione di mais in val Padana è destinata alla produzione di mangimi per animali, per non parlare dele condizioni e degli effetti delle porcilaie. L’uso di sostanze chimiche per la produzione di frutta e verdura è stato progressivamente regolato, ma ciò nonostante esistono forti differenze, tra i regolamenti dell’Unione Europea e quelli vigenti in USA e Canada. Il tema degli OGM ripropone al massimo livello da decenni il tema della manipolazione dei meccanismi più profondi di riproduzione della vita. La manipolazione tecnologica delle forme di vita delle singole specie, degli ambienti o la produzione artificiale di ciò che noi ricaviamo per l’alimentazione dal mondo animale vegetale si sposta sempre più in alto l’asticella

La sorpresa, la perplessità o lo scandalo che suscita la produzione di massa, la messa in commercio cella carne artificiale, è appunto la reazione di chi improvvisamente si rende conto di una condizione in cui si trova da decenni in un processo, lungo una traiettoria che viene percorso in modo sempre più veloce. La carne artificiale ne è la manifestazione estrema, poiché rompe il legame con un processo presunto naturale, presunto poiché i caratteri naturali di quel processo stanno progressivamente venendo meno, nella beata ignoranza delle condizioni profondamente innaturali in cui vivono gli animali che finiscono sulle nostre tavole e crescono a loro volta i vegetali. Del resto siamo orami da anni avvertiti del fatto che di anno in anno si accorcia il periodo necessario a consumare le risorse che naturalmente il globo è in grado di produrre in un anno, ben sapendo che il calcolo è schematico poiché se si parla ad esempio di suolo fertile, una volta consumato, per la sua riproduzione -se ce ne sono le condizioni- richiede decine o centinaia di anni, mentre peri cambiamenti climatici, si parla di centinaia di anni se il processo di degrado di fermasse del tutto.

Viviamo immersi in una tecnosfera che, sia pure attraversata da conflitti sociali e contraddizioni sistemiche, media ogni aspetto della nostra vita personale e collettiva e di cui siamo inevitabilmente sempre meno consapevoli e sempre più assuefatti. L’ignoranza non è solo di chi non possiede conoscenze specialistiche in grado di permetterne la comprensione in alcuni suoi comparti, ma anche di chi dotate di queste conoscenze non ne comprende il carattere generale, sistemico ed organico. Questa tecnosfera, innervata dalle tecnologie digitali, pervade e media la riproduzione di ogni ambito delle relazioni umane, del mondo della vita, delle qualità e delle facoltà dell’individuo sociale; non vale in questo senso la distinzione tra saperi scientifico-tecnologici e saperi umanistici secondo la dicotomia delle due culture, mentre la classificazione e realizzazione rigida per ambiti di competenza dei processi educativi ed educativi rischia di precludere alla possibilità di dotarci della capacità di comprendere la portata della trasformazione sociale incorso, della mutazione antropologica che ne consegue, in un contesto di crescita drammatica delle diseguaglianze.

Ponendo l’accento sulle conoscenze necessarie a comprendere lo stato di cose presenti , i processi di radicale trasformazione in corso, le radicali rotture , la frammentazione progressiva in atto nel mondo della vita, nei sistemi ecologici e climatici, la mutazione antropologica  in corso, non  possiamo semplicemente parlare di condivisione delle conoscenze, ma dobbiamo intendere una vera e propria rivoluzione nel processi di formazione culturale, di organizzazione e trasmissione dei saperi, nella presunta gerarchia delle culture, dei saperi e dei linguaggi. Tutti gli assetti sociali esistenti, le traiettorie del loro mutamento ovviamente vanno in direzione eguale e contraria, quindi non può essere intesa come una rivoluzione dal carattere sovrastrutturale così come è diventata struttura profonda della società la produzione di informazione e conoscenza e la manipolazione dei più profondi processi vitali.

Come è avvenuto per la capacità di reagire con il conflitto negli ultimi decenni è stato attuato il trattamento della ‘rana bollita -che non si accorge che la stanno cuocendo innalzando gradatamente la temperatura e non reagisce- così l’assuefazione all’innovazione costante, alla messa a valore di ogni relazione sociale di ogni facoltà umana, di ogni processo vitale, abbiamo perso progressivamente ogni capacità di autodeterminazione. L’allarme per il carattere eclatante di alcune innovazioni dall’Intelligenza Artificiale alla carne artificiale, possono essere l’occasione per un brusco risvegli oche ci porti a saltare fuori della pentola.

Roberto Rosso

  1. https://centroriformastato.it/non-ce-crisi-tecnologica-nella-silicon-valley/.[]
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