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Il piano di pace italiano per l’Ucraina

di Mario
Boffo

Secondo notizie stampa, il piano di pace italiano per l’Ucraina presentato al Segretario Generale delle Nazioni Unite non piacerebbe all’Unione Europea, avrebbe suscitato l’opposizione di Kiev, ma sarebbe allo studio a Mosca. Le motivazioni riportate sono nel senso che a Bruxelles la proposta sarebbe considerata un’iniziativa di politica interna per placare le polemiche sull’invio delle armi, e per il Presidente ucraino i tempi non sono maturi, come avrebbe detto Zelensky a Draghi. Il quale, sempre secondo le succitate notizie, non intenderebbe insistere sul progetto. Il fatto che per ora solo la Russia stia valutando il piano, viene presentato, senza dirlo apertamente, come elemento critico.

In realtà, il piano italiano, pur incidendo in una situazione molto complessa, e pur segnalando per ora semplicemente una rotta destinata comunque al negoziato e agli inevitabili intoppi e compromessi, è la prima cosa sensata che sia stata avanzata dall’inizio della guerra. Malgrado quello che pensa Bruxelles, sono convinto che il piano non nasca affatto dalle segreterie dei partiti per ragioni di politica interna: ho lasciato il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale da circa sei anni, e non so nulla dei processi interni; ma sono stato in diplomazia per quasi quarant’anni; almeno intuitivamente, l’iniziativa mi sembra proprio che abbia il marchio della Farnesina.

In sintesi, il piano, consegnato a Guterres e illustrato ai Ministri degli Esteri del G7 e del Quint (USA, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia) prevede quattro punti. Preferisco usare l’espressione “quattro punti”, piuttosto che “quattro fasi”, o “quattro passi”, per i motivi che spiegherò più avanti. Il primo punto prevede il cessate il fuoco, da negoziare ovviamente mentre ancora si combatte; esso dovrebbe essere affidato a meccanismi di supervisione e accompagnato dalla smilitarizzazione del fronte. Il secondo punto consiste in un negoziato multilaterale sul futuro status internazionale dell’Ucraina, che dovrebbe contemplare per Kiev una neutralità internazionalmente garantita, concordata in una conferenza di pace e che non ostacoli l’eventuale adesione del Paese all’Unione Europea. Il terzo punto riguarda la definizione di un accordo bilaterale tra Russia e Ucraina, anch’esso internazionalmente garantito, sulla Crimea e sul Donbass, che dovrebbe contemplare temi quali la piena sovranità ucraina, l’autogoverno delle regioni critiche, i diritti linguistici e culturali, la libera circolazione di persone, beni, capitali e servizi, la tutela del patrimonio storico. Il quarto punto propone un accordo multilaterale sulla pace e la sicurezza in Europa, nel contesto dell’OSCE e della Politica di Vicinato dell’Unione europea, con un riassetto degli equilibri internazionali, a partire dal rapporto tra Unione Europea e Mosca; l’accordo dovrebbe contemplare la definizione di una stabilità strategica, il disarmo e il controllo degli armamenti, la prevenzione dei conflitti e misure di rafforzamento della fiducia. Il progressivo ritiro delle truppe russe dall’Ucraina e la progressiva levata delle sanzioni, farebbero da corollario al programma.

Se ho preferito parlare di “punti”, e non di “fasi” o “passi”, è perché mi sembra più interessante sottolineare gli aspetti olistici del pacchetto (benché la loro applicazione si articolerà inevitabilmente in una successione temporale) piuttosto che considerarlo un’elencazione di risultati fra loro propedeutici. L’aspetto più accattivante del piano, infatti, è che esso mette insieme gli aspetti tattici (cessate il fuoco, status dell’Ucraina, situazione delle aree contese) e quelli strategici (accordo sulla pace e sicurezza in Europa).

Lasciando infatti da parte una serie di ovvietà (c’è un invasore e un invaso, Putin è un dittatore, è meglio la democrazia, gli errori passati non giustificano la guerra… eccetera, eccetera), e sintetizzando al massimo gli accadimenti degli ultimi trent’anni, potremmo concludere quanto segue: la Russia si “arrese” alla fine della guerra fredda, sciogliendo l’Unione Sovietica e il Patto di Varsavia; Mosca propose l’istituzione di una “casa comune europea”; l’idea di una nuova architettura di sicurezza in Europa fu scartata dalla NATO; l’Alleanza dette il via a successive ondate di allargamento; i fori di consultazione e cooperazione offerti alla Russia come lenitivo non funzionarono perché ritenuti da Mosca poco consistenti a fronte della realtà e della sostanza dell’allargamento (per una trattazione più estesa, vedasi il mio articolo Ucraina. Le guerre si potrebbero sempre evitare, anche se non sempre succede). La Russia, quindi, nel timore che l’espansione della NATO potesse giungere alle proprie frontiere, ha avviato “operazioni militari” in vari Paesi un tempo parte dell’URSS, fra cui l’Ucraina. In definitiva, per carità, con tutti i torti del mondo per le modalità utilizzate, ma con qualche ragione per l’obiettivo di non sentirsi emarginata dalla sicurezza europea, Mosca è intervenuta su Paesi confinanti con la Russia per evitare che anche questi finissero prima o poi, di diritto o di fatto, nell’orbita dell’Alleanza Atlantica, come membri di diritto o semplicemente come sue postazioni avanzate. Considerato quanto sopra, si dovrebbe evincere che la Russia ha attaccato (tatticamente) l’Ucraina perché non ha potuto conseguire l’obiettivo strategico di una condivisa architettura di sicurezza in Europa entro la quale avere un ruolo paritario rispetto a Unione Europea e NATO.

La valenza “olistica” e omnicomprensiva dell’iniziativa italiana (pur nell’inevitabile successione dei momenti) permette di prospettare alla Russia l’obiettivo strategico di un accordo multilaterale sulla sicurezza in Europa, e credo che questo permetterebbe di ammorbidire le posizioni di Mosca sugli obiettivi tattici. In sostanza, Mosca potrebbe essere meno intransigente sulla sistemazione dell’Ucraina se potesse vedere possibile sin da ora il conseguimento di una “casa comune” in Europa. Se invece i quattro punti dovessero essere considerati propedeutici e successivi, il senso dell’iniziativa perderebbe slancio: perseguire il cessate il fuoco (primo punto) prima di negoziare lo status dell’Ucraina (secondo punto) e quello delle regioni contese (terzo punto), senza aprire contemporaneamente e subito la strada all’accordo sulla sicurezza in Europa, indurrebbe le forze in campo a inasprire i combattimenti per arrivare più forti ai vari negoziati successivi; prospettare il pacchetto come offerta complessiva, e i vari punti come contestuali e collegati, permetterebbe un avanzamento verso la pace comunque complesso, comunque soggetto alle inevitabili tempistiche, ma certo più coerente e decifrabile.

Se si comprende la rigidità di Zelensky, che insieme al suo ispiratore d’oltre oceano desidera l’indebolimento (destabilizzazione?) della Russia, meno si comprende l’asserita contrarietà di Bruxelles, la quale elabora ipotesi di piccolo cabotaggio piuttosto che guardare alle possibilità di un’iniziativa che ha almeno il merito di essere stata avanzata e di provare a guardare lontano. Meglio farebbe l’Unione Europea a sostenere l’iniziativa italiana, pur con tutti i necessari caveat, se non altro per manifestare un briciolo di autonomia e di consapevolezza collettiva. Forse l’Italia potrebbe lavorare con i partner europei, e in particolare con la Francia e la Germania, per realizzare una maggior coesione attorno al proprio piano, e renderlo più forte, anche come punto di differenziazione e di interlocuzione con gli Stati Uniti.

Autorevoli commentatori televisivi italiani affermano essi stessi che il piano italiano è “lodevole”, ma sostanzialmente irrealistico, perché non corrisponde alla situazione sul terreno. Certo, non è applicabile fra mezz’ora, e l’ho spiegato più sopra. Ma le alternative quali sarebbero? La sconfitta della Russia, che aprirebbe un buco nero nella stabilità europea e aggraverebbe il rischio nucleare? La sconfitta dell’Ucraina, con maggiori guadagni territoriali per Mosca? L’intervento diretto della NATO?

Oppure aspettare che la guerra si fermi spontaneamente per esaurimento delle forze o che si definiscano con le armi le posizioni sul terreno? A quel punto si sarà probabilmente costretti a riconoscere il Donbass alla Russia e la neutralità dell’Ucraina. Cioè le stesse cose che si possono almeno sostenere e negoziare subito; però dopo altre migliaia di morti e con rischi crescenti di escalation.

Mario Boffo

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