Siamo di nuovi in semi-lockdown.
Il crescere delle cifre del contagio e, soprattutto, della pressione sulle strutture sanitarie ha ricreato l’allarme rosso.
Il resto lo fa un quadro “politico” del Paese che è spezzettato e nevrotico.
Tra negazionisti politicizzati, interessi, capi e capetti, una comunicazione spettacolarizzata, quella scientifica poco autorevole.
Si rincorrono i numeri giorno per giorno quando sarebbe ormai bene ragionare sul quadro complessivo dei mesi da quando la pandemia ci ha colpito.
Vediamone alcune caratteristiche.
L’Italia dall’inizio della pandemia con 500 mila positivi accertati supera i 37 mila decessi.
Francia e Spagna con oltre un milione stanno a 35 mila morti.
La Germania contiene i positivi a 400 mila e ha 10 mila decessi.
Sono differenze significative. Se in Italia ci sono meno positivi e più morti servono risposte.
Si può cercare di sapere perché? Le metodologie europee di rilevamento sono uguali?
Poi ci sono le serie storiche della mortalità. Anche queste andrebbero viste per capire la letalità reale. È stato pubblicato un dato limitato ai 20 capoluoghi di regione italiana sui primi 10 mesi del 2020 che è interessante.
Nei primi 8 mesi del 2020 si registra un +4,22% di morti appunto nei 20 capoluoghi di regione.
Nei 20 capoluoghi la media dei morti negli anni 2015-2019 da gennaio ad agosto è stata di 72.199 decessi. Nel 2020 i morti da gennaio ad agosto sono stati 75.248 (+4,22%).
Ecco i numeri dei capoluoghi di regione nel dettaglio:
2015-2019 | 2020 | |
Ancona | 786 | 845 |
Aosta | 308 | 375 |
Bari | 2.251 | 2.344 |
Bologna | 3.226 | 3.510 |
Cagliari | 1.219 | 1.098 |
Campobasso | 343 | 348 |
Catanzaro | 592 | 596 |
Firenze | 3.099 | 3.139 |
Genova | 5.563 | 6.283 |
L’Aquila | 526 | 436 |
Milano | 9.657 | 11.814 |
Napoli | 6.880 | 6.611 |
Palermo | 4.567 | 4.617 |
Perugia | 1.191 | 1.204 |
Potenza | 460 | 431 |
Roma | 19.484 | 18.711 |
Torino | 7.039 | 7.538 |
Trento | 711 | 800 |
Trieste | 1.965 | 2.080 |
Venezia | 2.332 | 2.468 |
La realtà dietro questi dati è dunque molto diversificata nel Paese. Come sappiamo al Nord la pandemia ha colpito con molta più virulenza.
Persa l'”occasione” di circoscriverla alla cinese sia non chiudendo all’inizio sia riaprendo tutto insieme ora abbiamo una fase diversa con aree risparmiate prima ed ora investite. Da Roma in giù. Cosa che si doveva e poteva evitare.
Anche perché la risposta alla domanda sul perché di differenziali in peggio sulla mortalità sta con tutta probabilità in dati sociali strutturali. Demografici e di organizzazione sociale. Una popolazione anziana forzatamente promiscua con i giovani che in Italia escono di casa a 30 anni mentre in Germania a 23 e con i bambini che invece che al nido stanno con i nonni.
Una capacità di filtro territoriale bassissima. Si pensi solo al sistema dei medici. Sono come numero tra i più numerosi d’Europa, ma quelli di base e di territorio sono tra i più scarsi per numeri e più anziani d’età, molti prossimi alla pensione. 70 per 100 mila abitanti contro i 180 della Germania. I medici in maggioranza sono specialisti nel privato.
I servizi territoriali sono stati ridotti, se non distrutti o mai fatti.
I trasporti sono scarsi e vecchi. Idem le scuole. E chi vi lavora è sotto organico e più anziano rispetto alle medie europee.
Così i cortocircuiti infetti si moltiplicano e i danni crescono.
Ci sono poi i dati sull’impatto del virus sul mondo del lavoro e sono pesanti.
L’INAIL – Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro – li ha resi noti.
Oltre 51.300 i contagi sul lavoro denunciati all’Inail come riporta il settimo report nazionale elaborato dall’Istituto, con i dati aggiornati al 31 luglio. Rispetto al monitoraggio precedente, le infezioni segnalate sono 1.377 in più. Le più colpite sono le donne, con il 71,4% dei casi, mentre i decessi sono 276 (+24) e riguardano soprattutto gli uomini (83,3%) con un’età media di 59 anni.
Sono questi alcuni dei dati frutto del lavoro realizzato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto e disponibili sul sito istituzionale.
Ma se i decessi si concentrano soprattutto tra gli uomini (83,3%) e nelle fasce d’età tra i 50 e i 64 anni (69,9%) e oltre i 64 anni (20,0%), con un’età media di 59 anni, il rapporto tra i generi si inverte per i contagiati sul lavoro complessivi, che, nel 71,4% dei casi, riguardano le donne, con un’età media di 47 anni.
In Lombardia oltre un terzo dei contagi e quasi la metà dei decessi. L’analisi territoriale evidenzia che oltre l’80% delle denunce arrivano dalle regioni settentrionali del Paese: il 56,3% dal Nord-Ovest e il 24,2% dal Nord-Est, seguiti da Centro (11,8%), Sud (5,7%) e Isole (2,0%). Per quanto riguarda, invece, i contagi con esito mortale, la percentuale del Nord-Ovest sale al 57,6%, mentre il Sud, con il 15,2% dei decessi, supera Nord-Est (13,1%), Centro (12,3%) e Isole (1,8%). La regione più colpita è la Lombardia, con oltre un terzo dei casi denunciati (36,2%) e il 43,8% dei decessi.
In ospedali, Rsa e Asl oltre l’80% delle infezioni denunciate. Nella gestione assicurativa dell’Industria e servizi si concentra quasi la totalità delle denunce (circa il 99%), mentre i casi segnalati in Agricoltura, nella Navigazione e nella gestione per Conto dello Stato sono circa 650. Rispetto al tipo di attività produttiva, il 71,6% delle infezioni denunciate e il 23,4% dei casi mortali è stato registrato nel settore della Sanità e assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche, policlinici universitari, residenze per anziani e disabili), che, insieme al settore degli organismi pubblici preposti alla sanità (Asl) porta all’80,6% la percentuale dei contagi e al 33,7% quella dei decessi avvenuti in ambito sanitario. Seguono i servizi di vigilanza, pulizia, call center, il settore manifatturiero (addetti alla lavorazione di prodotti chimici, farmaceutici, alimentari) e le attività dei servizi di alloggio e ristorazione.
La categoria professionale dei tecnici della salute si conferma la più colpita dal Covid-19, con il 40,0% dei contagi denunciati, oltre l’83% dei quali tra gli infermieri. A seguire gli operatori socio-sanitari (21,0%), i medici (10,3%), gli operatori socio-assistenziali (8,9%) e il personale non qualificato nei servizi sanitari, come ausiliari, portantini e barellieri (4,7%). Dall’analisi dei decessi emerge, infine, che circa il 35% dei casi mortali riguarda il personale sanitario e socio-assistenziale. Nel dettaglio, il 9,9% dei decessi codificati riguarda i tecnici della salute (il 62% sono infermieri), seguiti da medici (8,5%), operatori socio-sanitari (6,6%), operatori socio-assistenziali e personale non qualificato (3,8% per entrambe le categorie).
Anche da questi dati viene una considerazione.
L’unica cosa che permette a questo Paese di andare avanti sono lavoratrici e lavoratori che continuano le loro attività nelle condizioni più difficili. Che hanno imparato a curare e a cercare di convivere al meglio possibile.
Cittadine e cittadini che hanno nella grandissima maggioranza rispettato un lockdown tra i più duri in modi, per quello che ho visto, che non ha pari in Europa. E che è stata l’unica cosa che è stata fatta. Per altro tardi. E con una riapertura fatta male.
Il resto è un disastro.
Sanità, scuola, trasporti sono nelle condizioni tra le peggiori in Europa. E tali sono rimasti.
Un caos istituzionale che non ha pari con capi e capetti di tutti i tipi. E che peggiora ogni giorno.
Una comunicazione che non informa ma esibisce.
Nessuna certezza istituzionale della comunicazione scientifica.
Un “negazionismo” politicizzato.
Paghiamo 30 anni di delirio liberista e di sistematico sfascio istituzionale.
Purtroppo i protagonisti di questo trentennio infausto stanno tutti ancora qui e i “nuovi” si sono presto adeguati.
Purtroppo le nostre vite sono nelle loro mani.
La cosa che possiamo fare è continuare a dare il meglio di noi.
Ma anche informarsi, guardare a cosa succede negli altri Paesi d’Europa e provare attraverso le organizzazioni democratiche ad agire.
Una vera presa in carico della situazione da parte del movimento democratico e del lavoro appare indispensabile.
Già esplodono prime forme di esasperazione sociale. Mettersi a disquisire su “chi c’è dietro” serve solo a coprirsi gli occhi sul dramma che milioni di persone vivono e che ora temono ancora più drammatico.
Di questa situazione bisogna che si prenda il peso il movimento operaio, come si è fatto in altri momenti terribili della Storia del Paese.