Il 26 settembre docenti ed ATA, genitori e studenti in piazza a Roma (P. del Popolo, ore 15)
Il nuovo anno scolastico che sta per iniziare vede Ministero e Governo totalmente impreparati. Le condizioni materiali delle scuole sono sostanzialmente rimaste uguali al periodo precedente la pandemia, gli stessi nuovi arredi (banchi monoposto) arriveranno, forse, entro il mese di ottobre. I criteri di formazione delle classi sono rimasti invariati, con il paradosso dell’aumento delle classi pollaio per la mancanza di “ripetenti” in particolare nelle prime superiori, l’assunzione di nuovo personale docente e ATA non supererà, nella migliore delle ipotesi, le 40.000 unità, a fronte di un fabbisogno reale (nelle valutazioni più contenute) almeno quadruplo. E’ particolarmente scandalosa la formula “usa e getta” con cui saranno assunti 50mila lavoratori licenziabili in tronco in caso di nuova sospensione. E’ evidente che così non potranno essere garantite né la sicurezza, né il diritto allo studio con la didattica che non può che essere “in presenza”, dato che la scuola ha bisogno di relazioni sia emotive che cognitive.Occorre un cambio di passo immediato, innanzitutto attraverso stanziamenti significativi (almeno 20 miliardi di euro) perché dal corretto funzionamento della scuola dipende il futuro del Paese. Nella definizione degli organici di fatto occorre ridurre a 15 il numero di alunni per classe, con conseguente assunzione di personale e individuazione di locali adeguati, recuperando, innanzitutto, parte dell’enorme patrimonio immobiliare sfitto. Va garantito in ogni locale scolastico il distanziamento fisico necessario, senza eccezioni che, in queste condizioni, rischierebbero di diventare “norma”. In ogni scuola deve essere presente un medico scolastico, una presenza che, al di là del Covid, dovrebbe comunque essere costante, per stimolare comportamenti e conoscenze utili in un’ottica più generale di prevenzione. Per quanto riguarda i cosiddetti lavoratori fragili, su domanda individuale, coloro che sono vicini alla pensione devono essere messi in quiescenza, senza perdere nessun diritto economico (lo stesso va fatto per i lavoratori cosiddetti “non idonei per motivi di salute”). Per gli altri, perdurando la pandemia, vanno semplicemente garantite le sostituzioni temporanee.
Come ha scritto il CSPI, riproporre forme di Didattica a Distanza impoverisce la programmazione didattico-educativa, per cui invitiamo il Ministero ad abbandonare la prospettiva della c.d. didattica integrata, per rilanciare una scuola capace di fornire strumenti cognitivi e sviluppare capacità critiche e autonomia negli studenti. Allo stesso tempo, va ribadita la libertà di insegnamento e vanno rispettate le norme contrattuali vigenti. Docenti e ATA, che hanno profuso un impegno straordinario durante il lockdown, devono vedere rispettate professionalità e diritti. Innanzitutto va evitato, come vorrebbe fare in modo illegittimo con una semplice nota ministeriale il governo nel caso di PIA e PAI (cioè i cosiddetti recuperi, individuali e collettivi), di instaurare il principio del lavoro coatto e gratuito, in evidente contrasto con il CCNL e anche con le stesse previsioni legislative.
Nel Paese, attraverso incontri e mobilitazioni, è cresciuta un’alleanza fra lavoratori della scuola, genitori e studenti, che vogliono rilanciare l’istruzione pubblica statale. Grazie anche alle sollecitazioni di Priorità alla Scuola, in questi mesi, in molti hanno manifestato per dire “Basta DAD” in mobilitazioni di cui i Cobas Scuola sono stati co-promotori. Di fronte ad una riapertura senza sicurezza e ancora con la DAD, i Cobas, insieme a Priorità alla Scuola ed altri soggetti, indicono una manifestazione nazionale per il 26 settembre in piazza del Popolo a Roma per imporre al governo un profondo cambiamento di rotta, un’altra agenda, altre priorità, affinché il diritto allo studio possa essere veramente tale.
Esecutivo nazionale COBAS Scuola
1 settembre 2020