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Il futuro è nostro, riprendiamocelo!

di Francesca
Lacaita

A proposito dell’Università estiva organizzata a Lubiana dalla Sinistra Europea e da transform! europe (non proprio un report)

Dal 6 all’8 luglio si è tenuta a Lubiana l’edizione 2023 dell’Università estiva della Sinistra Europea e di transform! europe, dal titolo, appunto, The future is ours to reclaim. Tre giorni di confronto, di discussione, di ascolto, di incontro e di divertimento con compagn* da varie parti di Europa e oltre, che hanno reso anche stavolta l’appuntamento di luglio un’esperienza stimolante e piacevole.

Dell’organizzazione sul territorio si è occupata Levica, il partito aderente alla Sinistra Europea costituitosi in quanto tale nel 2017 e che ebbe il suo exploit elettorale l’anno dopo con oltre il 9% dei voti (purtroppo le elezioni europee del 2019 e quelle politiche del 2022 non sono andate altrettanto bene). In ogni caso, un partito giovane. E giovani – certamente non al di sopra dei quarant’anni – erano i dirigenti che sono venuti a portare il loro saluto e contributo, tra cui il coordinatore e Ministro del Lavoro, Famiglia, Affari Sociali e Pari Opportunità Luka Mesec. Ma a parte i dirigenti di Levica che parlavano dal tavolo della presidenza, erano tanti i giovani in platea (anche alcuni italiani). Senz’altro di più di quanto siamo abituati a vedere qui alle iniziative di sinistra. Che possa essere un buon segno per il futuro?

Intanto però si ha a che fare con il presente, il futuro è tutto da costruire. Un tema centrale di discussione, affrontato in più sessioni, è stato il contesto internazionale. La guerra in Ucraina, com’è ovvio, ma anche il legame rimosso tra militarizzazione e cambiamento climatico, e le ragioni, testimoniate dall’America Latina e dal Medio Oriente, per il “non allineamento”, in un quadro in cui l’ascesa di nuovi paesi provoca contraccolpi imperiali nelle potenze una volta egemoni (per dire, sono meno di quanti appartengono al Consiglio d’Europa i paesi che hanno imposto le sanzioni alla Russia per la guerra in Ucraina, altro che “Occidente”). Particolarmente appassionato e toccante è stato l’intervento di Salah Abdel Shafi, ambasciatore di Palestina a Vienna, che ha ricordato l’indifferenza occidentale sia davanti alle violazione del diritto internazionale e alle stragi di palestinesi da parte di Israele, sia nei confronti di un obbrobrio, dal punto di vista della giurisprudenza post 1945, come la legge israeliana sullo “stato nazione” del 2018, che riconosce il diritto all’autodeterminazione ai soli ebrei e la rimozione, sotto la coltre dell’oblio o di reazioni isteriche, dei rapporti delle organizzazioni dei diritti umani B’tselem, Human Rights Watch e Amnesty International, che parlano esplicitamente di apartheid di Israele verso i palestinesi – e non solo nei territori occupati. Considerato che è dal 24 febbraio 2022 che in Occidente si invoca quotidianamente l’appropriatezza della guerra fino alla vittoria quale risposta alle violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, si può dire che mai come in questo periodo la pratica dei “due pesi e due misure” risalti nella sua intensa ipocrisia.

Un momento interessante è stato nel dibattito alla fine della sessione plenaria dedicata alla pace come vittoria, in Ucraina e dappertutto: quanti hanno dissentito dall’impostazione “pacifista” affermando la necessità del sostegno militare all’Ucraina erano tutti giovanissimi. Le risposte dei relatori – Heidi Meinzolt della Women’s International League for Peace and Freedom, l’ex Ministro degli Esteri greco Georgios Katrougalos, e l’ex Ministro degli Esteri ceco ed ex Presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite Jan Kavan (di cui si è tradotto e pubblicato su questo sito un importante articolo contro la guerra) – sono state esaustive e convincenti, e non hanno dato adito a ulteriori repliche. Rivela tuttavia tante cose il fatto che in pochi anni si sono persi i fondamenti di quella cultura della pace che era sentita, radicata e trasversale agli schieramenti politici, a favore di un tristissimo pensiero unico anche nelle relazioni internazionali, che rischia di riportarci dritti dritti al 1914. Ci sarà parecchio lavoro da fare in quell’ambito.

Un altro tema che ha percorso le giornate è stata la preparazione alle elezioni europee del 2024. Sono stati tenuti seminari in cui si sono presentate e analizzate campagne che hanno avuto varia fortuna. Anna Camposampiero, dell’Esecutivo della Sinistra Europea, ha illustrato l’Iniziativa dei Cittadini Europei No Profit on Pandemic, che chiedeva che vaccini e cure anti-Covid fossero dichiarati beni pubblici globali e resi accessibili a tutt*. In Italia questa Iniziativa era stata promossa o sostenuta da un’alleanza molto ampia che comprendeva sindacati e movimenti sociali, e ha raggiunto la soglia di firme richiesta. La soglia è stata raggiunta anche in Belgio, Irlanda e Olanda, purtroppo non altrove, e ciò ha determinato il fallimento complessivo della campagna. In un altro seminario si è discusso dell’europeizzazione di temi e campagne (a partire dalla domanda: “è possibile?”), in un altro ancora si sono dati suggerimenti pratici per avviare campagne politiche di successo, tra cui: “costruite ampie alleanze”, “ma datevi tempo, non immediatamente prima del voto”, “non scioglietevi subito dopo il voto”. Già.

Si è inoltre toccata una varietà di temi, dal crescente costo della vita alla rivoluzione digitale e alla difesa delle pensioni, dall’ascesa dell’estrema destra all’ecologia, fino all’approccio intersezionale nelle lotte. L’ultimo giorno è stato presentato il volume di Transform! Europe 100 Shades of the EU, uno studio sull’economia politica nelle periferie meridionali e orientali, e uno strumento fondamentale per comprendere i divari nell’Unione Europea, le distanze fra centro e periferia, le dinamiche politiche, e le implicazioni per elaborare strategie di cambiamento. Che non possono non includere anche una dimensione transnazionale, se intendono avere una qualche possibilità di successo.

È stato questo anche il punto dell’intervento conclusivo del presidente del Partito della Sinistra Europea Walter Baier: bisogna pensare e perseguire la democrazia oltre il livello dello stato nazionale, a dispetto della convinzione, diffusa, almeno in passato, anche a sinistra, che la democrazia sia legata alla dimensione nazionale e che non possa esistere l’una senza l’altra. Si tratta, certamente, di una ricerca in acque inesplorate, ma che è oggi quanto mai necessario intraprendere. Le mancate Iniziative dei Cittadini Europei stanno lì a ricordarcelo.

Francesca Lacaita

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