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Le ragioni di Jan Kavan contro la guerra

di Francesca
Lacaita

Non sono molti ad aver sentito parlare di Jan Kavan. Questa è l’occasione per conoscerlo. Si tratta di una di quelle personalità la cui vita ha attraversato diversi luoghi ed epoche storiche, caratterizzandosi sempre per una vivace attività pubblica. Figlio di un diplomatico cecoslovacco che successivamente fu condannato in una purga a 25 anni di prigione, Kavan divenne nel 1968 leader del movimento studentesco. Dopo la repressione della Primavera di Praga da parte delle forze del Patto di Varsavia, fu costretto a espatriare in Gran Bretagna, suo paese natale. Negli anni dell’esilio fu attivo nell’associazionismo pacifista e per la democratizzazione dell’Europa orientale, coltivando rapporti con la sinistra internazionale. Rientrato in patria nel 1989, è stato eletto parlamentare a più riprese dal 1990 al 2006, è stato Ministro degli Esteri della Repubblica Ceca dal 1998 al 2002, Vice Primo Ministro, nonché Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dal 2002 al 2003. È membro del Partito Socialdemocratico Ceco (ČSSD), aderente al Partito del Socialismo Europeo.

Presentiamo qui la traduzione di un suo articolo recentemente apparso sulla rivista serba «Horizons» (Pubblicato con il titolo The Urgent Need for a Triumph of Diplomacy in «Horizons» (Serbia), n. 23, Spring 2023, pp. 188-197.). Una voce autorevole proveniente dall’Europa centro-orientale che prende posizione per il cessate il fuoco e per una soluzione diplomatica della guerra in Ucraina già di per sé squarcia la coltre di luoghi comuni che ottunde la percezione generale della situazione e del dibattito in corso. Le informazioni e le considerazioni contenute nell’articolo ci danno una visione disincantata e “realista” dello stato di cose attuale e delle prospettive a breve termine («I sogni che abbiamo accarezzato alla fine dell’ultima guerra fredda si dovranno mettere in standby per un po’ di tempo»), ma ci incoraggiano ad andare avanti nella lotta per cambiare le relazioni internazionali e, soprattutto, ci fanno sentire meno soli. Buona lettura!

Francesca Lacaita

L’impellente necessità di una vittoria della diplomazia

Nel suo preambolo, la Carta delle Nazioni Unite promette di impedire altre guerre e dichiara «Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità […]». Nonostante queste buone intenzioni, dalla fine del secondo conflitto mondiale a oggi hanno imperversato nel mondo una cinquantina di guerre. Solo l’Europa è rimasta relativamente pacifica, con la sola eccezione delle guerre nei Balcani negli anni Novanta, incluso il terribile bombardamento della Repubblica Federale di Jugoslavia.

Oggi non è più così. Decine di migliaia di soldati e di civili perdono la vita nella guerra in Ucraina, le città sono trasformate in rovine, vengono distrutti ponti, centrali elettriche, strade, scuole, persino ospedali, mentre viene devastata la fertile terra ucraina. Molte donne perdono i loro mariti, padri e fratelli. Milioni sono espatriati in altri stati europei. L’“Occidente collettivo” ha imposto severe sanzioni contro la Russia che non hanno fermato la guerra, ma che hanno abbassato il livello di vita in molti paesi europei.

Questa guerra non è più un conflitto regionale tra la Russia e l’Ucraina. È un conflitto globale, in quanto l’Occidente vi è direttamente coinvolto sotto forma di massicci aiuti militari e finanziari da cui l’Ucraina è totalmente dipendente. Si tratta quindi di una guerra per procura tra la Russia e la NATO, un tipo di guerra che la Carta delle Nazioni Unite intendeva impedire.

Sono convinto che dobbiamo tutti impegnarci al massimo per fermare questa guerra. Dobbiamo far pressione sui nostri governi perché si adoperino per un cessate il fuoco che apra ai diplomatici spazi per cercare un compromesso e per giungere infine a una pace stabile. Il che significa che l’Occidente deve cessare di inviare armi all’Ucraina, e che la Russia deve accettare i termini del cessate il fuoco che saranno concordati. I termini del cessate il fuoco e di un futuro accordo di pace dovranno essere garantiti, e la loro attuazione monitorata, da varie potenze, incluse, per esempio, gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, la Turchia, la Francia, il Brasile, le Nazioni Unite.

Assieme a due miei colleghi, ho contribuito nel gennaio 2023 a lanciare nella Repubblica Ceca un’iniziativa di pace denominata Pace e Giustizia. Finora abbiamo raccolto quasi 20.000 firme, nonostante il boicottaggio da parte dei media mainstream e una certa repressione nei confronti dei primi firmatari. Siamo diventati il bersaglio principale dei politici governativi e dei loro fidi giornalisti. Siamo rappresentati come sostenitori del Presidente russo Vladimir Putin e collaborazionisti russofili. Il nostro appello per la pace e per il cessate il fuoco viene interpretato come favorevole alla capitolazione dell’Ucraina. Gli argomenti in nostra difesa non vengono pubblicati nei media più importanti.

La verità è che noi condanniamo l’invasione russa dell’Ucraina in quanto chiara violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. Per quanto mi riguarda, io non ho scoperto il problema della pace solo nel febbraio del 2022.

A seguito dell’invasione del mio paese da parte del Patto di Varsavia nell’agosto del 1968, io fui espulso dall’università e costretto a emigrare nel Regno Unito. Lì divenni membro, negli anni Settanta e Ottanta, dell’European Nuclear Disarmament (END), un gruppo pacifista che si opponeva all’installazione sia dei missili SS20 nell’Europa orientale, sia dei missili Cruise e Pershing nell’Europa occidentale. END (a differenza della Campagna per il Disarmo Nucleare, basata nel Regno Unito) si batteva per la democratizzazione del blocco sovietico, oltre che per la demilitarizzazione dell’Europa occidentale.

Ritornai in Cecoslovacchia nel novembre del 1989, quando crollò il governo comunista. Negli anni 1998-2002 fui Ministro degli Esteri della Repubblica Ceca e Vice Primo Ministro. In quel ruolo mi opposi al bombardamento della Jugoslavia e, con il mio omologo greco Jorgos Papandreu lanciammo un’iniziativa di pace greco-ceca che contribuì al cessate il fuoco e, successivamente, al Patto di stabilità per i Balcani. Come si può comprendere, mi opposi anche alla dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo, in quanto violazione della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Da Presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite mi opposi all’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003 e feci tutto il possibile per impedire che gli Stati Uniti ottenessero dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU un mandato per la guerra. In questo ci riuscimmo, ma purtroppo non potemmo impedire l’invasione, che fu effettuata dagli Stati Uniti e dalla “coalizione dei volenterosi” – senza alcun mandato dell’ONU, e nemmeno della NATO. Circa 650.00 persone sono morte di conseguenza. Il cosiddetto Stato Islamico è nato nei campi di prigionia americani in Iraq e ha mosso una guerra sanguinosa per tutta la regione.

Idee errate come politica ufficiale

La guerra odierna in Ucraina non si può risolvere per via militare. Questo è stato riconosciuto pure da un alto ufficiale militare americano, il Gen. Mark Milley, che ha affermato con chiarezza che una vittoria militare dell’Ucraina è «irraggiungibile». In altri termini, la pace non si può raggiungere con la sconfitta di una parte ad opera dell’altra. Sono stato piacevolmente sorpreso quando il Generale di Brigata Frantisek Micanek dell’Università della Difesa a Brno ha trovato il coraggio di opporsi al nostro governo alcuni giorni fa. Ha fra l’altro dichiarato che non può esserci alcuna soluzione militare, che nessuna delle due parti può vincere, e che c’è il rischio di un altro conflitto congelato. Concordo anche con Robert Fico, il quale nel settembre del 2023 potrebbe diventare il prossimo Primo Ministro slovacco, quando dice che credere che una potenza nucleare «si possa sconfiggere è una stupidaggine e un’inconcepibile ingenuità». Pure l’alleato di Putin, il Presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, ha ammonito che se la Russia si trovasse in seria difficoltà o avvertisse il timore di perdere, per esempio, la Crimea, Putin sarebbe disposto a fare uso dell’arma nucleare tattica. L’Occidente crede che Putin stia bluffando, e questo atteggiamento irresponsabile mi fa venire la pelle d’oca. Miope e di un egoismo spettacolare ritengo il commento della nostra Ministra della Difesa Jana Černochová, che un tale evento non costituirebbe un danno per la Repubblica Ceca. Considero inoltre assurda l’idea espressa dal Ministro degli Esteri ceco Jan Lipavský che se i russi non venissero fermati nel Donbass, si farebbero tutta la strada fin qui nell’Europa centrale. Peggio, è riuscito a pronunciare queste parole con la faccia seria nel momento stesso in cui i russi erano ancora bloccati nella piccola Bakhmut. Ciò non fa altro, in concreto, che diffondere paure irrazionali.

Come ho detto prima, io condanno senza riserve l’invasione dell’Ucraina. Ma credo che dobbiamo riconoscere che cosa ha portato Putin a prendere questa decisione. Tradizionalmente la Russia, a causa della sua storia, ha sempre temuto l’accerchiamento. Nel 1990-1991, i politici occidentali, compresi il Presidente americano George H. W. Bush e il Cancelliere tedesco Helmut Kohl assicurarono Mikhail Gorbachev che se lui ritirava le truppe sovietiche dalla Germania Orientale e consentiva la riunificazione tedesca, la NATO non si sarebbe allargata di «un centimetro» verso est – così i documenti che rivelano che tali erano state le parole del Segretario di Stato americano James Baker. Riconosco che Gorbachev – sempre avverso alla guerra – sia stato un po’ sprovveduto a credere a queste assicurazioni verbali senza farle sottoscrivere in un trattato vincolante. Ma questo fatto comprovato – io ho visto più di 300 pagine di trascrizioni di queste conversazioni, e ho pure parlato con Gorbachev – è stato ignorato dai leader occidentali. La NATO ha iniziato ad avvicinarsi ai confini della Russia, e quando anche l’Ucraina ha presentato la candidatura a entrare nella NATO, il Presidente Putin ha messo in chiaro che la presenza delle truppe dell’Alleanza Atlantica ai confini della Russia era completamente inaccettabile.

Il 10 febbraio 2007, alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, Putin mise in guardia in modo inequivocabile da ogni ulteriore espansione della NATO. Un anno dopo, nel marzo del 2008, in occasione del vertice della NATO, Putin ripeté l’avvertimento, dicendo che l’ingresso dell’Ucraina e della Georgia nella NATO sarebbe stato considerato una diretta minaccia alla sicurezza della Russia. Gli Stati Uniti sorprendentemente ignorarono questi avvertimenti, e due mesi più tardi, alla conferenza della NATO a Bucarest, fu annunciata l’intenzione di ampliare l’Alleanza includendovi la Georgia e l’Ucraina. Inoltre, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden promise l’entrata dell’Ucraina nella NATO persino nel dicembre del 2021. La verità l’ha rivelata solo il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg, quando ha dichiarato nel marzo del 2022 che «l’adesione dell’Ucraina alla NATO non è mai stata all’ordine del giorno». Un peccato davvero che non l’avesse detto tre settimane prima. Avrebbe forse potuto evitare la guerra.

Oggi i guerrafondai pensano che il cessate il fuoco e i colloqui di pace, per non dire qualsiasi accordo di pace, non sarebbero che una ripetizione di Monaco 1938, e che equivarrebbero alla resa e al tradimento della valorosa Ucraina. Io, d’altro canto, ritengo che il più grande tradimento dell’Ucraina sia sostenere la continuazione della guerra, che porterà solo a un ulteriore spargimento di sangue, ad ancora più vittime e a una maggiore distruzione del paese. Naturalmente questo non può che essere ben chiaro al Presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky, il quale, tuttavia, continua a ripetere pubblicamente il mantra americano che il suo esercito riuscirà a cacciare i russi fuori da tutto il paese grazie alle moderne armi occidentali. Non penso che ci creda neppure lui. Nonostante la sua retorica bellicosa, non dobbiamo dimenticare che oltre un anno fa a Istanbul lui era disposto a sottoscrivere un “accordo di neutralità” di quindici punti con i russi. Quell’accordo prevedeva la garanzia certa che l’Ucraina non sarebbe entrata nella NATO. Poco dopo l’allora Primo Ministro britannico Boris Johnson giunse a Kyiv e (appoggiato dagli Stati Uniti) lo persuase ad abbandonare l’accordo. E oggi, mentre Zelensky ufficialmente respinge il piano di pace in 12 punti della Cina, ha però pure espresso l’intenzione di negoziare con il Presidente cinese Xi Jinping. Di recente, Xi ha chiamato Zelensky e, nelle parole del Presidente ucraino, «c’è stata una telefonata lunga e significativa […]. Ritengo che questa telefonata, assieme alla nomina dell’ambasciatore ucraino in Cina, darà un potente impulso allo sviluppo delle nostre relazioni bilaterali». Inoltre, la Cina invierà il suo “rappresentante speciale” Li Hui (i cui incarichi precedenti includono quello di ambasciatore a Mosca) per aprire i negoziati con Zelensky. Al tempo stesso il Presidente Xi ha ammonito che «in una guerra nucleare non ci sono vincitori».

Pare che i politici occidentali non accolgano con favore i tentativi dei cinesi di farsi intermediari di pace, e continuino a sospettare che il piano della Cina sia semplicemente quello di aiutare la Russia, sebbene non ci siano riscontri che giustifichino tale scetticismo. Qualche giorno fa, tale posizione è stata fatta propria anche dal nuovo Presidente ceco Petr Pavel, che sostiene la vittoria militare dell’Ucraina e che ha messo in chiaro che lui non crede alle buone intenzioni della Cina: «Non ritengo […] che la Cina abbia un reale interesse a risolvere la guerra in tempi brevi», ha detto Pavel, aggiungendo che Pechino evidentemente spera soltanto di costringere la Russia a fare ulteriori concessioni (perlopiù) economiche. Il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha respinto le affermazioni di Pavel quali «dichiarazioni che non hanno niente a che fare con il lavoro di una normale personalità politica».

A mio parere, i leader del cosiddetto Occidente collettivo si preoccupano ora del fatto che si possa raggiungere un accordo di pace su termini diversi da quelli dettati dagli Stati Uniti. Un abbozzo di tale accordo è stato discusso a Pechino durante la visita del Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva.

I sostenitori di Zelensky immaginano anche che l’effetto congiunto di successi militari e di sanzioni economiche potrebbe convincere Putin a terminare la guerra, oppure qualcuno del suo entourage a rovesciarlo e a sostituirlo con la forza. Barry Posen, giornalista, scrittore e docente presso l’università americana MIT, sostiene che si tratta di un’illusione completamente fallace. Secondo Posen, entrambe le parti devono comprendere che toccherà fare concessioni dolorose. Posen ribadisce che la diplomazia costa poco. Al di là del tempo, dei biglietti aerei e del caffè, il prezzo è interamente politico. Al pari dell’ex Segretario di Stato americano Henry Kissinger, Posen menziona alcuni elementi fondamentali di un possibile accordo di pace. L’Ucraina dovrà cedere il controllo di parte del suo territorio, specialmente laddove si trova la popolazione russofona; la Russia dovrà cedere parte del territorio che ora occupa.

I dettagli si dovranno elaborare e concordare ai tavoli dei futuri colloqui di pace. In ogni caso, è chiaro che l’Ucraina, con i suoi oligarchi e la sua corruzione enorme, dovrà rimanere parte dell’Occidente, pur non essendo formalmente membro della NATO, e non ci dovranno essere armi offensive sul suo territorio, dice Barry Posen.

Fare la pace

Lo statista romano Cicerone sostenne una volta che una pace ingiusta è meglio di una guerra giusta. Per Zelensky, trovare un compromesso fra il mantenimento della sovranità con l’integrità territoriale e la fine di una guerra giusta, ma crudele e devastante, sarà estremamente difficile. Nemmeno per la Russia sarà facile il ritiro da alcuni territori che ora occupa, anche se Putin potrebbe presentare la neutralità dell’Ucraina come una vittoria.

Sarà emotivamente difficile per gli ucraini accettare la secessione di parte del loro territorio, anche se non lo controllano più dal 2014. Verrà ricordato all’Occidente il suo sostegno – senza un referendum – alla secessione del Kosovo, che pure, tra parentesi, non è stata riconosciuta da cinque stati membri della UE. Siamo ovviamente ben consapevoli che il principio di autodeterminazione nazionale si può applicare solo quando è nell’interesse dell’Occidente, il quale naturalmente non ha mai preso in considerazione il riconoscimento delle repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk.

Qualsiasi accordo di pace deve tenere conto del diritto degli ucraini di vivere liberi in un paese dove possono eleggere democraticamente il loro governo. Dall’altra parte, tale accordo deve considerare le preoccupazioni della Russia per la sua sicurezza. Riconosco che questo riporta in agenda le sfere di influenza e gli accordi di blocco. I sogni che abbiamo accarezzato alla fine dell’ultima guerra fredda si dovranno mettere in standby per un po’ di tempo. Viviamo già in una nuova guerra fredda. Di fatto, la realtà delle sfere e zone di influenza non è mai venuta meno. Fu una fortuna che nel 1962 Fidel Castro non si era mai neanche sognato di far entrare Cuba nel Patto di Varsavia, e che Nikita Khrushchev saggiamente evitò una guerra nucleare ritirando i missili sovietici dalle vicinanze dei confini statunitensi.

Il politologo americano John J. Mearsheimer ha di recente ribadito che il potere crea una sorta di norma nel sistema internazionale. E sottolinea che «gli Stati Uniti non permetterebbero mai che truppe cinesi venissero invitate dal Canada a Toronto o dal Messico a Città del Messico». Mersheimer ha ammesso che «abbiamo spinto l’Ucraina a diventare membro della NATO […,] abbiamo spinto l’Ucraina a diventare l’avamposto occidentale ai confini con la Russia […]. Non combatteremo per gli ucraini, combatteremo fino all’ultimo ucraino. […] Ma li riforniremo di armi e li addestreremo». Così il professore ha descritto la strategia americana. Si noti anche che il Segretario USA alla Difesa Lloyd Austin ha detto che lo scopo della politica americana in Ucraina era di «indebolire la Russia in modo tale che non sarebbe più stata nelle condizioni di fare invasioni simili». Nessuna menzione della democrazia in Ucraina.

Ricordo che l’ex Ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis ha fatto riferimento all’antico filosofo e stratega militare cinese Sun Tzu, il quale affermò una volta che se abbiamo di fronte un nemico forte la cui sconfitta comporterebbe la morte di molta della nostra gente, allora è meglio costruire un ponte d’oro alle sue spalle, consentirgli di ritirarsi, e quindi dichiarare che ha conseguito un certo successo. Varoufakis ha riconosciuto che un accordo di pace possibile non soddisfarebbe completamente nessuno, ma almeno avrebbe come risultato la fine del massacro di un popolo, nonché un’Ucraina democratica indipendente.

Non mi sorprenderebbe se il Presidente Zelensky temesse di perdere alla fine il sostegno americano, senza il quale sarebbe spacciato, perché si rende conto che l’elezione presidenziale americana del 2024 è dietro l’angolo. Già oggi, circa il 50% dei Repubblicani ritiene che gli Stati Uniti stiano aiutando l’Ucraina in misura eccessiva, e il loro candidato presidenziale riconosce che la vittoria ucraina «non rientra negli interessi nazionali degli Stati Uniti», ma solo in quelli dell’industria bellica americana. A oggi, l’Ucraina ha ricevuto più sostegno finanziario e militare dell’Afghanistan, Israele ed Egitto messi insieme. Questi paesi sono stati finora i maggiori destinatari di aiuti americani. Una volta che lo Zio Sam chiuderà i rubinetti, l’Ucraina sarà costretta a chiedere la pace indipendentemente dalla situazione sul campo. Mi pare che possa essere ben più vantaggioso per lei agire immediatamente e utilizzare appieno la Cina come uno dei mediatori.

Vorrei ora riflettere su due fatti recenti. Il primo è la richiesta di portare il Presidente Putin davanti alla Corte Penale Internazionale (CPI) all’Aja. Il secondo sono i tentativi di bandire gli atleti russi e bielorussi dalle Olimpiadi e da altre importanti competizioni sportive, nonostante le raccomandazioni del Comitato Olimpico Internazionale. Questa è una dimostrazione ipocrita di doppio standard. Agli atleti americani non fu impedito di gareggiare nemmeno ai tempi della guerra in Vietnam, Afghanistan o Iraq. Né la Russia né gli Stati Uniti sono firmatari della CPI; quindi, l’Aja non ha comunque nessuna giurisdizione. Ma soprattutto, qualcuno ha chiamato il Presidente George W. Bush a comparire davanti alla corte all’Aja, quando in Iraq sono morte più di 650.000 persone? E sottolineo che gli Stati Uniti e la cosiddetta “coalizione dei volenterosi” sapevano già dal marzo del 2003 che il pretesto per l’invasione dell’Iraq – ossia, che Saddam Hussein avesse armi di distruzione di massa – era una menzogna. Io ero il Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in quel periodo, e conoscevamo le conclusioni preliminari della commissione ONU sulle armi presieduta dal diplomatico svedese Hans Blix, il quale aveva avvertito che (a quell’epoca) non c’erano armi di quel tipo sul territorio iracheno.

La via da seguire

Ribadisco che questa guerra deve cessare quanto prima possibile. L’argomento che si possa terminare la guerra e raggiungere la pace solo aumentando la fornitura all’Ucraina di armi ancor più moderne e distruttive va respinto con forza, in quanto ciò avrà come unico risultato un maggior spargimento di sangue e un maggior numero di vittime. Ricordo che qualche tempo fa gli ucraini hanno chiesto carri armati più moderni, e li hanno ottenuti. Molti dei Leopard tedeschi e dei Challenger britannici sono già lì e gli Abrams americani verranno inviati prossimamente. In seguito, i leader ucraini hanno richiesto missili a lungo raggio e jet moderni. Adesso, alcuni stanno addirittura accennando alla necessità dell’invio di unità speciali della NATO. Spero che di questo non si faccia nulla. Queste unità militari dovrebbero a quanto sembra unirsi a specialisti occidentali che sono già in Ucraina (50 ufficiali dal Regno Unito, 15 dalla Francia, e altri dagli Stati Uniti e dai Paesi Bassi). Mi pare che questo rappresenti una pericolosa sfida a Mosca, in quanto persino un numero relativamente piccolo di soldati NATO in territorio ucraino potrebbe costituire il proverbiale attraversamento del Rubicone, o di quella linea rossa che ci separa dalla minaccia di una terza guerra mondiale. Tutte le persone razionali e di buon senso nel mondo si devono unire per impedire questa china tanto pericolosa.

Sono stato molto contento che il mese scorso il Consiglio dei Presidenti dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riunitosi nel Bahrein, ha pure chiesto l’immediata cessazione delle ostilità e l’avvio dei negoziati diplomatici per la pace. Ammetto che non è stato facile raggiungere questa conclusione, e ho molto apprezzato il fatto che la mia proposta è stata sostenuta con forza ed efficacia da Vuk Jeremić, ex Ministro degli Esteri serbo e Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2012-2013. Non si deve dimenticare che l’ONU ha avuto un ruolo positivo non solo nel facilitare l’esportazione del grano ucraino nei paesi in via di sviluppo che ne hanno bisogno, ma anche nel salvare molte vite a Mariupol, oltre a organizzare diversi scambi di prigionieri.

Sono personalmente in grado di concepire un accordo di pace in base al quale si terrebbe un altro referendum in Crimea e nel Donbass sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Nell’ipotesi che una maggioranza di cittadini russofoni rifiutasse di far parte integrante dello stato ucraino, la loro volontà dovrà essere rispettata dalla comunità internazionale.

Noto che il termine “pace” è oggi in molti paesi, incluso il mio, una parola estremamente sospetta, finanche una parolaccia. Noi, che la propugniamo, veniamo bollati come “una manica di pacifondai”, per non dire di raffigurazioni più sinistre. Sottolineo con orgoglio che sì, io voglio la pace. Lo slogan della mia generazione era che “la guerra fa schifo!”. Questo è vero ancora adesso. E questa guerra per procura tra la NATO e la Russia, tra le grandi potenze (nucleari), merita una descrizione ancora più colorita! La mia generazione ascoltava pure con attenzione John Lennon. Il suo appello a “dare una possibilità alla pace” è molto pertinente oggi. Alziamo le voci il più possibile, di modo da farle giungere alle orecchie di quelli al potere. Le guerre, le invasioni, le occupazioni e le aggressioni non sono nell’interesse della gente che vuole vivere in pace e nella solidarietà reciproca, e godere della prosperità creata dal proprio lavoro.

 

Jan Kavan

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