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Il futuro della Cina tra “cigni neri” e “rinoceronti grigi”

di Franco
Ferrari

In una relazione dallo stile piuttosto burocratico, l’unica nota di colore che si è concesso Xi Jinping, aprendo il XX Congresso del Partito Comunista Cinese, è stato il richiamo a due metafore zoologiche. Con la definizione di “cigni neri”, ormai diventata d’uso piuttosto comune anche in occidente, si intendono quegli eventi inattesi e negativi che cambiano lo scenario dell’azione politica. Meno utilizzata è l’altra formula, quella del “rinoceronte grigio”, che è stata adottata da un’analista americana, Michele Wucker, come titolo di un suo libro pubblicato nel 2016 e che è diventato un best-seller in Cina. In questo caso si tratta di minacce molto probabili e di grande impatto ma che non vengono affrontate come tali e per tempo.

In questo modo Xi Jinping ha allertato i suoi concittadini che i prossimi anni non potranno essere la semplice continuazione del passato. Ci saranno numerosi elementi di incertezza e minaccia, come per altro è accaduto nell’ultimo periodo. Se l’epidemia di Covid o la guerra in Ucraina possono essere considerati “cigni neri”, meno chiaro è quali possano essere i futuri o imminenti “rinoceronti grigi”.

Certamente tra questi vi è il mutamento dell’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti dell’ascesa economica e tecnologica della Cina. E’ stato lo stesso XI all’inizio del suo mandato, ormai dieci anni fa, a evidenziare un mutamento di ruolo del suo paese, nel contesto economico internazionale, passando dall’era del “made in China” al “pensato in Cina”. Questo voleva dire che non bastava più essere la fabbrica del mondo grazie ai bassi salari di una classe operaia moderatamente qualificata e disciplinata, ma occorreva salire nella catena del valore, acquisendo nuove competenze tecnologiche.

Si è visto però che questo non può avvenire senza contraccolpi, come nel caso di Huawei, diventata l’impresa leader nelle tecnologie del 5g, fondamentali nella prospettiva di un nuovo salto tecnologico e produttivo, e per questo messa all’angolo con varie forme di boicottaggio dirette e indirette, dagli Stati Uniti e dai suoi alleati. Nel decennio di guida di Xi, il peso della Cina nella produzione del Pil mondiale è cresciuto del 7,2%, salendo al 18,5%, da confrontare con il 24% degli Stati Uniti.

Questi ultimi hanno chiarito, sia con l’Amministrazione Trump che con quella attuale di Biden, che considerano un’ulteriore espansione della quota cinese tale da insediare il primato statunitense, una minaccia all’egemonia globale degli Stati Uniti. Quella direzione del mondo che gli Stati Uniti consideravano ormai inattaccabile dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

La sfida posta da Biden è per certi aspetti più complessa e insidiosa di quella presentata dal suo predecessore. Trump aveva puntato tutto sul riequilibrio della bilancia commerciale, fortemente squilibrata a favore della Cina, anche nella speranza di riportare negli Stati Uniti parte delle attività industriali delocalizzate nel paese asiatico. L’offensiva di Biden si muove si diversi livelli: quello ideologico con la contrapposizione tra il “mondo libero” e i paesi autoritari (non tutti per la verità, perché si possono sempre fare eccezioni per quelli tradizionalmente alleati); quello tecnologico, mettendo tutta una serie di vincoli e di limiti alle relazioni commerciali in particolare nel settore dei microchip, visto oggi come cruciale nella competizione globale; quello militare, con la decisione, tra le altre, di trasformare Taiwan in un gigantesco deposito di armi (come ha illustrato il New York Times).

Come può rispondere la Cina a tutto ciò? La relazione di Xi Jinping può far intravedere qualche aspetto dell’iniziativa della leadership cinese, anche se non tutte le carte vengono messe sul tavolo.

Dal punto di vista economico cercherà di puntare sullo sviluppo del mercato interno. Senza per questo rinunciare all’apertura al mercato capitalistico globale. La Cina continua a ricevere un’enorme massa di investimenti esteri anche se esistono timori crescenti di un’altra crisi finanziaria che potrebbe ridurre la disponibilità di questa ingente massa di denaro. Ma nel mercato interno non mancano i problemi, legati al rischio di esplosione della bolla immobiliare, all’elevato livello di indebitamento di banche e amministrazioni locali, alle maggiori difficolta dei giovani a trovare lavoro e così via. La stessa situazione economica si è fatta più incerta (in parte legata alle chiusure per bloccare la diffusione del Covid), ma sembra ormai prevedibile che i tassi di crescita dei prossimi anni, anche nelle ipotesi migliori, non saranno paragonabili a quelli del periodo dei decenni precedenti.

Benché la leadership cinese resti un’ardente sostenitrice della globalizzazione, che si ritiene possa essere benefica per tutti (secondo la formula del “win-win), prende atto che il contesto sarà più complicato e che emergono tendenze alla frammentazione del mercato globale secondo le linee di frattura dei blocchi geopolitici e anche di protezionismo nazionale. La Cina dovrà ache operare per colmare quei ritardi che ancora riscontra in diversi settori tecnologici. A suo favore potrà forse contare sul fatto che la capacità degli Stati Uniti di allineare dietro di sé la parte più consistente dell’economia mondiale, contrasta col fatto che in molte Paesi si punta invece a sottrarsi a questa nuova contrapposizione globale. Lo si è visto col posizionamento di paesi importanti sull’invasione russa dell’Ucraina (l’India ad esempio), o la recente decisione saudita di ridurre l’estrazione di petrolio.

La posizione cinese sull’Ucraina cerca di restare in equilibrio tra due esigenze contrastanti. Da un lato l’interesse a che la Russia di Putin non crolli di fronte alle sanzioni e alle conseguenze del conflitto militare, dall’altra la contrarietà di principio ad ogni alterazione con la forza dei confini statuali. Unita a questa (dove pesano evidentemente i timori di potenziali spinte separatiste di Taiwan, Tibet o Xinjiang favorite dall’esterno) c’è anche l’avversione verso iniziative improvvide e dalle conseguenze non prevedibili. La leadership cinese (almeno quella di Xi Jinping) benché più assertiva sul piano globale resta fondamentalmente conservatrice.

Dal punto di vista politico, Xi Jinping si è mosso per contrastare sia nel Partito che tra la popolazione, le tendenze a far seguire all’introduzione del mercato come strumento di allocazione delle risorse e alla privatizzazione di una parte significativa delle imprese, una eccessiva apertura a ideologie e impostazioni considerate proprie del capitalismo (individualismo, edonismo, ecc.). Detta in termini marxiani: a far in modo che le modificazioni della struttura non ricadano sulla sovrastruttura. Con questo obbiettivo si possono caratterizzare una serie di iniziative assunte con decisione negli ultimi anni, come un controllo più stretto della comunicazione che passa per Internet, il ridimensionamento di alcuni grandi capitalisti che pensavano di utilizzare l’autonomia che gli dava il potere economico anche sul terreno più direttamente politico e altre scelte che Xi ha più o meno apertamente rivendicato nella sua relazione. Lo stesso Partito Comunista è stato reso più omogeneo dal punto di vista ideologico o almeno quesa è la speranza del suo attuale timoniere.

In questo contesto va inteso anche il più diretto e ripetuto richiamo al “marxismo”. Marx è interpretato soprattutto come cantore dello sviluppo delle forze produttive, mentre sono rimossi gli elementi conflittuali legati alle classi, la forte spinta internazionalista e anche gli elementi di liberazione degli individui. E’ un Marx economicista e produttivista riadattato alle esigenze della politica della leadership del partito. Diventa però necessario per mantenere una identità propria alla Cina che equilibri la spinta nazionalistica e legittimi il ruolo del Partito Comunista Cinese come strumento di aggregazione delle élite del Paese. Senza il richiamo al marxismo e al socialismo, comunque interpretati, il PC Cinese diventerebbe una sorta di nuovo Kuomintang (il partito che fu degli sconfitti della guerra maoista, rifugiato a Taiwan e che oggi, non del tutto casualmente, rappresenta nell’isola la tendenza “pro-Pechino” contro gli indipendentisti).

Benché la leadership cinese, nell’attuale contesto globale, resti forse quella più solida e dotata di una visione di prospettiva, in grado di delineare obbiettivi di medio e lungo periodo e di perseguirli con una certa coerenza, dovrà sicuramente gestire non poche contraddizioni. Non solo quelle derivanti dai “cigni neri” e dai “rinoceronti grigi”, ma anche quelle, per stare nella metafora zoologica, degli “elefanti nella stanza”. Problemi esistenti ma che si fa di tutto per ignorare. In questo caso i problemi non vengono solo dall’esterno ma anche dalle caratteristiche proprie del modello di sviluppo cinese.

Il patto sociale sul quale il Partito Comunista Cinese ha fondato il proprio potere e la propria legittimazione si è basato su uno scambio tra il controllo autoritario del potere e la garanzia di un progressivo ma deciso miglioramento economico per una parte rilevante della popolazione. Oggi la Cina ha, in termini quantitativi, il più grande “ceto medio” del mondo. Ma il patto tende a spostarsi, più che dalla promessa di un continuo miglioramento economico, che sembra meno certo, ad una garanzia di protezione e sicurezza dagli impatti negativi della situazione globale. Questo spostamento d’accento va però di pari passo con un’accentuazione del controllo ideologico e politico della popolazione che presenta sempre il rischio di non saperne cogliere i mutamenti di umore e di opinione.

La stessa conferma di Xi Jinping, rimettendo in discussione il limite dei due mandati, viene legittimata dai meriti acquisiti in questi anni (il quadro pieno di contraddizioni e di errori che ha raffigurato della situazione di 10 anni fa gli consente di presentarsi quasi come se allora fosse stato il leader di un’opposizione giunta finalmente al potere) ma anche dalla necessità di una guida sicura e sperimentata per fronteggiare una nuova “era delle tempeste”.

Franco Ferrari

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