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I miracoli della politica con la discarica di Borgo Montello a Latina

Proponiamo la lettura dell’articolo di Marco Ormizzolo e Roberto Lessio pubblicato da MicroMega.

Un nuovo impianto di smaltimento dei rifiuti nella quarta discarica più grande d’Italia. Un affare giocato sulla pelle dei cittadini e dell’ambiente.

I cittadini residenti nelle campagne di Latina, ad appena ottanta chilometri dalla Capitale, sono in procinto di assistere all’ennesimo miracolo. Non si tratta però di un rito religioso, tipo San Gennaro, o di un qualche prodigio imputabile a Santa Maria Goretti che risiedeva proprio nelle campagne circostanti. Il miracolo riguarda l’ennesimo affare giocato sulla pelle dei cittadini, dell’ambiente e dello stato di diritto e consiste nella realizzazione di un impianto di smaltimento dei rifiuti sul sito della discarica di borgo Montello, prossimo alla strada statale 148 e già luogo di affari criminali e residenze mafiose.

Quella di borgo Montello è la quarta discarica più grande d’Italia il cui contratto per la stipula di un nuovo impianto di smaltimento è datato 9 novembre 2018 e registrato presso l’Agenzia delle Entrate di Latina il 9 agosto del 2019. Una data, quest’ultima, per nulla casuale. I contraenti sono l’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC) e la Ecoambiente Srl, una delle tante società controllate dal gruppo che fa capo all’intramontabile avvocato Manlio Cerroni (96 anni il prossimo 18 novembre), già conosciuto dalle cronache romane e nazionali come “l’ottavo Re di Roma”, “il supremo” e “il Signore della Monnezza”. In base al contratto l’ANBSC incassa una quota fissa del canone di affitto di circa 235mila euro l’anno dalla Ecoambiente, mentre una quota variabile è legata alle ulteriori tonnellate di rifiuti che potrebbero essere smaltiti in futuro nella stessa discarica.

È una valutazione logica considerando che l’Agenzia deve dare continuità gestionale alle strutture di cui entra in possesso per non farle cadere in stato di abbandono, visto anche che all’epoca della sottoscrizione del contratto non vi era stata ancora una sentenza definitiva sui beni sequestrati.

Il problema però, come spesso avviene per questo genere di intrighi e affari, è a monte, perché altri pezzi dello stesso Stato italiano, in particolare il Comune di Latina, dal 2016 sono impegnati a far chiudere questa discarica che ha inquinato le falde acquifere del territorio, procurando gravi danni ambientali, imprenditoriali e alla salute dei cittadini residenti. Danni e problemi continuati anche in seguito a un progetto di bonifica del sito approvato nel 2009 che non ha mai raggiunto neppure lo stadio preliminare della messa in sicurezza di un luogo che ha visto, nel corso degli anni, un elenco sterminato di attività illegali e di crimini.

In cima a questo elenco c’è il mai risolto omicidio di un uomo di fede: don Cesare Boschin, il parroco di Borgo Montello, fu trovato morto la mattina del 30 marzo 1995 con le mani legate da un asciugamano e un nastro adesivo che gli assassini gli avevano stretto intorno alla gola. Il decesso fu procurato dalla sua dentiera che lo soffocò per via delle percosse subite. Misteriosamente però le indagini presero da subito la via di una rapina tentata da immigrati (guarda caso) ricevuti in casa dall’anziano sacerdote a causa di una sua presunta tendenza omosessuale. Una vicenda e una accusa strana considerando che il parroco il giorno della morte aveva 81 anni ed era affetto da un tumore allo stadio terminale che lo aveva ridotto in una grave crisi fisica. Nel portafoglio dell’anziano prete, inoltre, gli inquirenti trovarono 700mila lire in contanti, mentre altri 5 milioni di lire, risultato di una colletta tra i parrocchiani per dei lavori da realizzare alla chiesa, erano custoditi dentro un libro collocato nella sua stanza. Una rapina anomala considerando che il malloppo non fu portato via mentre a Don Cesare venne definitivamente chiusa la bocca. Il parroco di origine veneta era un uomo fiero, coraggioso, attento ai problemi della sua comunità, come il crescente giro di droga che iniziava a realizzarsi nel Borgo e gli anomali arrivi di camion di rifiuti che di notte giungevano in discarica e che peraltro lui vedeva nitidamente, affacciandosi la sua residenza esattamente sopra quell’enorme catino a cielo aperto. Camion che sversavano rifiuti di ogni tipo con la complicità di tutti coloro che all’epoca dovevano vigilare e che invece hanno guardato da un’altra parte. Rifiuti, peraltro, che giungevano illecitamente, secondo il più classico schema delle ecomafie, dalle grandi imprese della provincia di Latina e del Nord Italia.

Don Cesare aveva anche dato ospitalità al comitato cittadino locale che non voleva chiudere gli occhi dinnanzi a quel via vai di camion, all’odore che iniziava a farsi sentire e a quelle voci di strani personaggi, pericolosi e inquietanti, che intanto iniziavano ad abitare proprio intorno a quella discarica. Inoltre l’anziano prete aveva parlato di questi problemi, delle stranezze e dei pericoli derivanti da quel traffico illecito di rifiuti, di droga e di personaggi pericolosi con colui che considerava non solo referente politico naturale ma anche amico e confidente affidabile, ossia Giulio Andreotti, come alcuni suoi collaboratori ancora in vita più volte hanno denunciato.

Affari e mafiosi vanno da sempre d’accordo e la quarta discarica più grande d’Europa, collocata ad appena ottanta chilometri da Roma, certo non poteva fare eccezione, soprattutto in un territorio, quello della provincia di Latina, che non ha mai prodotto una classe dirigente capace di distinguersi per rispetto della legalità e della trasparenza, salvo cercare sistematicamente l’accordo e l’accondiscendenza con i potenti di turno, mafiosi compresi. Sarà anche per questo che il clan dei Casalesi, con Carmine e Francesco Schiavone detto “Sandokan”, già nel lontano 1989 decisero di acquistare alcuni terreni situati proprio a ridosso della discarica di Borgo Montello. Per realizzare l’intera operazione, come dichiarò proprio Carmine Schiavone in seguito al suo pentimento, già il 13 marzo 1996 i casalesi si servirono di un loro parente incensurato (Antonio Schiavone) per gli atti di compravendita che dopo un sequestro iniziale tornarono nella disponibilità dell’acquirente per essere rivenduti venti anni dopo alla società Indeco Srl che gestisce l’altra metà della stessa discarica. Un altro parente acquisito fu utilizzato per l’approvvigionamento e la detenzione delle armi. Si tratta, come risulta dagli atti di indagine, di Michele Coppola, cognato di Walter Schiavone – fratello di Francesco Schiavone, condannato in via definitiva nel processo “Spartacus”, insediato insieme alla famiglia in una villetta collocata proprio di fianco alla discarica e lasciato libero di scorrazzare con la pistola in mano. Il tutto mentre l’attività illecita dello smaltimento di rifiuti industriali e tossico-nocivi presso la discarica era gestita direttamente da Antonio Salzillo (nipote di Ernesto e Antonio Bardellino, altri nomi di mafia assai noti agli inquirenti e alle cronache giudiziarie italiane), ammazzato nel 2009 in una delle tante faide interne. Il mistero resta fittissimo perché l’anno di insediamento del clan a Borgo Montello non fu affatto casuale. Era in corso all’epoca un prolungato braccio di ferro tra la Regione Lazio (presieduta dal socialista Bruno Landi, poi divenuto, guarda caso, Amministratore Delegato della stessa Ecoambiente una volta superati i guai di Tangentopoli) con l’allora Sindaco democristiano di Latina Delio Redi. La questione fu superata a colpi di ordinanze del Presidente della Regione Lazio a causa di presunti stati di emergenza: una discarica che era ormai sull’orlo della chiusura, riacquistò così un enorme interesse commerciale, anche grazie al fatto che insieme ai rifiuti urbani, le ordinanze di Landi ammisero lo smaltimento dei rifiuti industriali e tossico-nocivi.

Non si sono inoltre ufficialmente comprese le motivazioni per cui, tra il 1995 e il 1996, uno sconosciuto faccendiere napoletano, Giovanni De Pierro, acquista dalla Ecomont Srl (proprietà subentrata degli immobili), tutti gli invasi ormai esauriti, anche se l’inquinamento era ormai conclamato e versavano in uno stato di totale abbandono; ma anche stavolta un investimento apparentemente assurdo si rivelò miracolosamente un gigantesco affare.

Nell’agosto del 1998 la società acquirente del De Pierro (la Capitolina Srl) stipulò infatti un contratto di affitto di tutta l’area con la neocostituita Ecoambiente Srl, che si offri di effettuare la bonifica in cambio di ulteriori abbancamenti di rifiuti sullo stesso sito inquinante. Un’operazione che è durata quasi vent’anni e che ha permesso lo smaltimento di un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti in più rispetto al previsto, arrivando alla cifra complessiva di 6 milioni di tonnellate: alla cassa fanno oltre mezzo miliardo di euro pagati dai Comuni conferitori, tanto per intenderci. Soci nell’affare all’epoca erano Manlio Cerroni e la famiglia Colucci (originaria di San Giorgio a Cremano – Napoli) con il Comune di Latina a svolgere il ruolo di “distratta comparsa”. Nel luglio del 2008 il De Pierro venne arrestato e oltre a 1,3 milioni di denaro in contante, le forze dell’ordine trovarono nella sua cassaforte una quantità impressionante di documenti riguardanti beni mobili e immobili, tra i quali proprio quelli di Borgo Montello. Tutto sequestrato nel 2014, confiscato una prima volta in primo grado nel 2016 e poi confermato per un valore di 390 milioni dalla Corte d’Appello di Roma a seguito di una pronuncia della Cassazione: iter terminato proprio nel giugno 2019.

Fine della storia e dei miracoli? No. Le sentenze lasciano fuori proprio gli immobili della discarica, l’unica ancora ufficialmente aperta nella Provincia di Latina e così il contratto già sottoscritto nel novembre 2018 è stato “miracolosamente” registrato presso l’Agenzia delle Entrate di Latina il 9 agosto 2019: giusto in tempo per presentare un’ulteriore richiesta di abbancamento di rifiuti sullo stesso sito inquinante. Questa volta però il Comune di Latina e la Provincia di Latina, spalleggiati da ARPA e ASL, hanno risposto picche e di conseguenza la Regione Lazio, per la prima volta, ha dovuto respingere la richiesta. La discarica per il momento resta chiusa ma le solite emergenze create a tavolino restano ben visibili all’orizzonte, prima di tutto quella “perenne” di Roma, regno del suo “ottavo Re” Manlio Cerroni. E manca ancora un anno alla fine del contratto, il tempo giusto per un nuovo “miracolo” della politica a Borgo Montello. Intanto i cittadini continuano a respirare l’aria e a utilizzare l’acqua malsana di una discarica che ha fatto ricchi tanti imprenditori improvvisati, mafiosi di primo livello e politici che hanno visto nei rifiuti la possibilità di arrivare e restare al potere per decenni.

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