Relazione all’incontro dell’Osservatorio sull’Unione Europea “Riarmo e militarizzazione della società e delle istituzioni” del 28/4 –
La nostra formazione sociale si sta sempre più configurando come una economia di guerra, una guerra alla società. I motivi sono strutturali e sistemici. Non dipendono dai capricci di Trump, considerato il “pazzo al potere”. I dazi e i provvedimenti protezionistici alludono a rilevanti problemi dell’economia statunitense, di competitività e di debito verso l’estero. La guerra economica mondiale sarà di lungo periodo. E coinvolgerà Stati e società. Per ora parliamo dell’Europa. La quale sta progettando, pur tra competitività e contraddizioni, e alimentando un autonomo imperialismo, soprattutto di fronte all’evento inedito di una riduzione della sfera di influenza dell’impero statunitense, che, non a caso, impone dazi anche ai paesi che hanno fatto parte della sua orbita storica. L’Europa militarizza se stessa in misura abnorme (e non sottovalutiamo il colossale riarmo della Germania) per proteggere il capitale europeo attraverso una potenza militare più autonoma.
I capitali europei saranno protetti con milizie europee. Questo è il vero obiettivo strategico del riarmo “immediato” organizzato dalla Commissione Europea. Temo che il multilateralismo globale vivrà attraverso percorsi molto accidentati. In sostanza, l’Europa è in guerra, l’Italia è in guerra. E la guerra è “costituente”, come sappiamo. Ha un fronte esterno e uno interno. E’ guerra economica ma anche sociale. I presunti valori liberali dell’Europa “unica democrazia globale”, naufragano nel suprematismo colonialista e razzista. Dopo decenni di ipocrisia, la rivoluzione anarchico/reazionaria delle plutocrazie tecnologiche, la guerra in Europa, il genocidio nel Medio Oriente, i campi di deportazione per migranti, ci dicono che il “re è nudo”.
L’UE, con il piano Draghi e con il riarmo, affronta la guerra economica con il rilancio del più aspro liberismo guerrafondaio; nell’illusione di ritrovare l’identità smarrita. Vengono ricostruite , dopo la crisi della globalizzazione, le catene del valore fondate sul moltiplicarsi delle diseguaglianze sociali. Gran parte della cultura liberal/liberista parla di necessità di resurrezione dell’Occidente cristiano contro gli imperi del male. Da qui nasce il diritto/dovere di plasmare la “società morale”, un inedito Stato etico. Se il principale progetto dell’UE è un riarmo veloce, sino a giungere al tetto medio del tre per cento del PIL per la spesa militare, la conseguenza automatica è la sostituzione dello Stato sociale europeo (già oggi così evanescente) con l’egemonismo assoluto dei complessi militar/industriali. E’ qui il nodo strutturale della torsione dello Stato sociale in Stato penale, del “controllo”, della “sorveglianza”.
Il segretario della Nato, Mark Rutte, chiede esplicitamente il passaggio da un sistema di welfare ad un sistema di warfare. Vi è troppo Stato sociale, esclamano all’unisono; è ora, invece, di prepararsi ad una “mentalità di guerra”. La quale , tra l’altro, impone anche una accentuata privatizzazione dei sistemi di sicurezza, con un attacco frontale all’autorganizzazione , alla “democrazia di prossimità”, con l’invasione degli spazi democratici territoriali da parte di un potere che accresce la propensione verso l’automatismo repressivo. E’ il passaggio all’Europa “fortezza”.
Già Marx sosteneva: “Il capitale, per sua natura, è un sistema globale; deve annidarsi ovunque, insediarsi ovunque, stabilire connessioni ovunque”. Riemerge, oggi, il tema classico: il capitale vede la democrazia come un impaccio. La tendenza alla centralizzazione del capitale, con la conseguente feroce competitività interimperialista, porta ad una analoga concentrazione del potere politico, che entra in contraddizione con le strutture della stessa democrazia liberale. Il capitale ha bisogno della guerra; e la guerra è “costituente” di un sistema complesso, che è geopolitico, ma anche e soprattutto sociale: un sistema disciplinare di massa. Sono convinto che il movimento pacifista sia, oggi, molto diffuso, generoso, colto; ma tutte e tutti dovremmo fare un salto di qualità , coinvolgendo i settori proletari, precari, maggiormente sfruttati, i quali sono le prime vittime dell’economia di guerra. Pannakoek scriveva: “Quando diciamo che la guerra è inseparabile dal capitalismo, non significa che la guerra contro la guerra non serva a nulla e che dobbiamo aspettare finché il capitalismo non sarà distrutto. Ciò significa che la lotta contro la guerra è inseparabile dalla lotta contro il capitalismo. La guerra contro la guerra può essere efficace solo come parte della guerra di classe dei lavoratori contro il capitalismo”. Il segretario generale della Nato sostiene, con paranoica determinazione: “E’ necessario finanziare sempre più la guerra, anche rinunziando alla spesa sociale. Altrimenti, in Europa, si parlerà russo”. Ad aprile ha chiarito molto il significato di riarmo Armin Papperger, amministratore del colosso bellico tedesco Rheinmetall: “Il riarmo in Europa è irreversibile. Tutti vogliono fabbriche; noi possiamo costruirle”.
Il governo italiano ha deciso che i Fondi di Coesione vanno soprattutto a grandi imprese di armi come Leonardo, a settori Difesa, Tecnologie Strategiche, Decarbonizzazione. Un sostegno complessivo che discende anche dalla decisione di spostare sulla Difesa i fondi del Next Generation UE che si prevede non saranno spesi; si tratta di circa 90 miliardi di euro. Il grosso del sostegno è quello sui Fondi di Coesione. Risorse, insomma, sottratte direttamente ai progetti sociali e riprogrammate per il potenziamento delle capacità produttive delle imprese delle armi. Sottolineo, inoltre, un tema incredibilmente rimosso: “La costruzione di infrastrutture di difesa resilienti o a duplice uso per favorire la mobilità militare nella UE”. Diventano, cioè, zone militari grandi vie di comunicazione. Penso, innanzitutto, al Ponte sullo Stretto, che diventa una infrastruttura militare. Ma come verranno spesi gli 800 miliardi del progetto Riarmo? Bruxelles autorizzerà una maggiore spesa in deficit dei paesi fino a 650 miliardi per la difesa , esclusi dal Patto di Stabilità, più 150 di debito comunitario. Vi sarà una grande competitività tra imprese. Ogni paese spingerà i propri colossi bellici. La competitività diventa conflitto feroce per la conquista di mercati e di risorse. I produttori USA aumenteranno i profitti. Anche con attività di intelligence e cyber. Vedremo, poi, se vi sarà, in Europa e in Italia, l’egemonia di Starlink di Musk. La “fortezza Europa” è riarmo, repressione, aumento delle diseguaglianze sociali.
L’UE, come affermano, quotidianamente, i membri della Commissione, avverte il diritto/dovere di plasmare la società morale in nome dei valori dell’Europa. Le popolazioni devono forgiare, anche collettivamente, la mentalità di guerra. Il Capo dello Stato Maggiore italiano, Masiello, ha dichiarato, in un’intervista a “la Repubblica”, che bisogna uscire dalla “comfort zone”; i patrioti italiani devono partecipare attivamente a questo impegno. E’ in atto una campagna di massa di dottrina e disciplina. Basta con le mollezze, i giovani diventino guerrieri. I diritti costituzionali diventano un lusso. Ritengo che questa base del sovranismo bellicista configuri un vero “salto di paradigma”. E’ sufficiente analizzare cosa accade nella scuola, nella formazione, nella produzione, nello Stato sociale, nella vergogna delle galere etniche e delle strutture di deportazione in Albania. Potremmo parlare di una tipologia di keynesismo bellico che abbatte ogni tentativo di ricostruire un compromesso sociale. Le imprese guidano la politica. lo scontro non è tra Stati ma tra imprese che lottano per conquistare mercati e materie prime. Il compito degli Stati è quello di organizzare i poteri militari e di polizia e di disciplinare il popolo. Il complesso militar/industriale è la base strutturale dell’economia di guerra. Molte aziende civili riconvertono la produzione in settori bellici e sistemi militari. Aziende nate come civili si orientano verso produzioni dual use (civili e militari). La transizione ecologica evapora di fronte alla potenza della transizione bellica. E’ in atto la riconversione di una parte della filiera dell’auto verso l’aerospazio e la difesa. Si riconvertono aziende dei settori della produzione di trasporti pubblici elettrici e mezzi per la mobilità sostenibile, aziende tessili e agricole, di macchine imballatrici, di cavi elettrici per la filiera dell’auto che sono sempre più coinvolte in produzioni di sistemi d’arma.
E’ opportuno rilevare che tutte le istituzioni pubbliche concorrono all’economia di guerra. Governo, regioni, sistema finanziario, sistema universitario creano consorzi per alimentare l’espansione di queste aziende anche nei mercati esteri. Parliamo di sistema formativo? L’educazione civica nelle scuole sta diventando, per forte impulso del governo, l’emblema della militarizzazione della società. Avanza un progetto pedagogico disciplinare, in scuole di ogni ordine e grado. Le linee guida del 2024 obbligano all’insegnamento dell’iniziativa economica e il rispetto per la proprietà privata; il giornalista /intellettuale ultraliberista Galli della Loggia, che è uno degli estensori delle linee/guida del ministro Valditara, detta i lineamenti della nuova scuola dell’economia di guerra. I quali sono, peraltro, la proiezione , in Italia, della Relazione del 2 aprile del Parlamento europeo sull’attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune.
In un lungo testo, intitolato “difesa e società e preparazione e prontezza civile e militare” si affronta il tema della formazione dei cittadini europei di fronte ai rischi per la sicurezza europea. E’ un vero tentativo di indottrinamento. Non è educazione civica perché viene alimentata nelle ragazze, nei giovani una condizione psicologica collettiva di insicurezza, una percezione di paura che spinga all’accettazione del Riarmo europeo. E’ una operazione di pericolosa egemonia culturale, in senso gramsciano. La Risoluzione chiede alla UE ed agli Stati membri di preparare programmi educativi fondati su dibattiti su sicurezza, difesa e importanza delle forze armate. Le forze armate sono entrate nelle scuole italiane. Fanno controlli, sorveglianze, azioni “coperte” come membri di servizi segreti, come prevede l’incostituzionale “decreto sicurezza”. Controllano e reprimono, dunque. Ma svolgono anche molte attività didattiche che l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle Università ampiamente documenta con un impegno quotidiano. Le lezioni dei militari, le visite nelle scuole, i “kit di resilienza” diventano materiale didattico. Addirittura, il CONI ha promosso corsi e titoli di “ginnastica dinamica militare”, come disciplina sportiva. E’ la scuola disciplinare dei nuovi “balilla”? E’ la socializzazione dell’ideologia della guerra. “Le Monde Diplomatique”, nel suo numero di aprile, riportava alcune frasi di rappresentanti di grandi poteri finanziari per dimostrare il grado di ossessione guerrafondaia. Grottesca ma anche tragica. Il direttore generale di BPI France, la banca pubblica di investimento, Nicolas Du Fourcq afferma: “Dovremo finanziare cannoni piuttosto che pagare gli svaghi dei pensionati”. Oggi spendiamo sette/otto volte di più per le pensioni che per la difesa. E’ un pazzo? Sono tutti dottor Stranamore? No, credo siano segmenti di un progetto micidiale: fare la guerra (che è in atto) per fare la nuova Unione Europea. Di cui sono elementi l’ingente piano di finanziamento RearmEurope, l’acquisto centralizzato di sistemi d’arma , la pressione della Commissione sui singoli governi. Il progetto europeo diventa un mercato unico della guerra. Il Riarmo non è solo un piano per il futuro.
La situazione sta già progredendo con grande pericolosità. Cito solo due casi, tra loro diversi ma entrambi preoccupanti. Innanzitutto l’Agenzia europea per la difesa avrà, per la prima volta, come dirigente, un generale tedesco. Sarà il primo militare alla guida dell’Agenzia. E’ un’ulteriore prova della nostra analisi: il riarmo europeo , anche per le cifre messe in campo da Berlino, sarà, nei fatti, soprattutto il riarmo tedesco. Con a capo, a livello europeo, un generale tedesco. In secondo luogo, cresce la forte posizione atlantista radicale dell’Europa settentrionale con l’integrazione di Finlandia e Svezia nella Nato e con le posizioni dei paesi baltici, che teorizzano la vittoria definitiva contro il “demone russo” e la disintegrazione della Federazione Russa in tanti staterelli. Kallas , sostanzialmente ministra degli esteri della Commissione europea, ancora a fine aprile dichiarava: “A Putin non deve essere offerta una via d’uscita la soluzione può essere solo militare”. La via della trattativa diplomatica non viene presa nemmeno in considerazione. Anzi, la Nato si rafforza nel mar Baltico, con una forza che riunisce 12 paesi del Nord Europa per combattere la flotta ombra russa. Partecipa anche la Danimarca, che controlla lo stretto all’ingresso del Mar Baltico e l’accesso all’Atlantico. Anche questo è motivo di guerra per la Russia: S. Pietroburgo è bloccata in fondo al golfo di Finlandia, circondato da paesi membri della Nato. La guerra è in atto e si moltiplicano i bacini di guerra. L’incidenza sulle strutture istituzionali e i comportamenti degli Stati è evidente; così come la proiezione diretta sulla formazione sociale. Se uno Stato si militarizza, aumentano le disuguaglianze, lo Stato sociale si riduce a Stato assistenziale, caritatevole, i diritti costituzionali vengono marginalizzati. Si impone una concezione di Stato d’emergenza, di eccezione permanente. Cresce la delega al potere assoluto. Il governo si fa autocrazia. Questo configura la cosiddetta “legge sicurezza” che cancella il conflitto, la partecipazione, l’autogestione, l’articolo 10 (comma terzo) della Costituzione sul diritto di asilo e di accoglienza. Essa abbatte la civiltà garantista della Costituzione italiana, la quale, all’articolo 27, recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Viene repressa o contenuta l’attività sindacale , cresce l’invasione degli spazi democratici territoriali , con una accresciuta propensione verso l’automatismo repressivo. Le società sono strette all’interno del nodo gordiano tra la crescita a dismisura delle spese militari e le politiche di attacco ai salari, alle pensioni, all’ambiente, alla fiscalità generale. La precarietà diventa la drammatica fisiologia di una società sempre più incerta e spaesata.
Dentro e contro la strategia della militarizzazione può nascere una ampia coalizione contro le guerre e per il disarmo. Da dove ripartiamo? Vi è sempre, come spiegava , con il suo rifiuto dei crediti di guerra, Rosa Luxemburg nel 1914, un fronte interno delle guerre, che è di schiavitù per il novanta per cento della popolazione e di arricchimento per pochi. Così nascono le svolte reazionarie. Conflitto contro il capitale e lotta pacifista, di diserzione dalle guerre sono sempre più connesse.
Giovanni Russo Spena