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Gli ultimi fuochi di Trump

di Franco
Ferrari

Si sapeva che non sarebbero state elezioni come le altre per gli Stati Uniti e in effetti quasi nulla procede tranquillamente verso l’esito considerato per altro inevitabile dalla gran parte degli osservatori, ovvero l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio a mezzogiorno.

Mentre scriviamo si stanno completando i conteggi delle elezioni senatoriali in Georgia, per effetto delle quali la composizione del Senato resta ancora in bilico. Finora sono stati eletti 48 democratici e 50 repubblicani, in attesa di completare la composizione con i due rappresentanti dello Stato del sud, che conta una lunga tradizione di razzismo e di segregazionismo.

Al momento, con il 98% dei voti scrutinati, i media hanno già assegnato l’elezione del reverendo afroamericano Raphael Warnock che riesce così a scalzare l’uscente miliardaria trumpiana Kelly Leoffler. Sarà il primo senatore nero nella storia della Georgia. L’altro duello non è ancora deciso perché il vantaggio del democratico Ossof  sull’uscente repubblicano Perdue è di poche migliaia di voti. Secondo lo staff di Ossof i voti non ancora conteggiati provengono prevalentemente da contee che votano largamente democratico, quindi la sua vittoria dovrebbe essere sicura. Ma i media (che negli Stati Uniti, svolgono la funzione ufficiosa di proclamatori dell’esito delle votazioni) non si sono ancora pronunciati in modo definitivo.

Sembra comunque probabile che il nuovo Senato finisca diviso a metà 50 contro 50. In caso di pareggio decide il voto della vice-presidente Kamala Harris. Questo risultato, dato che la Camera dei Rappresentanti è a maggioranza (benché non larghissima) dei democratici consentirà un maggior margine di manovra all’Amministrazione Biden. Intanto potrà far passare più facilmente tutte le nomine che le spettano.

Non mancheranno ovviamente i tentativi dei repubblicani di bloccare qualsiasi iniziativa che possa sembrare anche vagamente di sinistra, contando in questo anche sul supporto dei democratici più conservatori. Il Senato viene rinnovato per un terzo ogni due anni. Nel 2022 saranno in maggioranza senatori repubblicani a doversi sottoporre al rinnovo. L’impatto del voto della Georgia indica che in situazioni nelle quali la maggioranza del GOP non è così solida, l’adesione alle posizioni di destra radicale dei trumpiani può essere controproducente.

Poter disporre di una quasi maggioranza al Senato potrà anche consentire a Biden di evitare l’eccessivo riscorso ai decreti esecutivi che sono lo strumento con i quali i Presidenti aggirano l’ostilità del Congresso. Per loro natura possono però facilmente essere contestati dai “general attorneys” (procuratori generali) dei singoli Stati. Il rappresentante dei GA repubblicani ha già annunciato che, qualora il loro partito perdesse il controllo del Senato, essi rappresenteranno l’ultima linea difensiva per impedire che Biden possa portare avanti le politiche per le quali è stato eletto. La destra potrà anche continuare a contare sulla maggioranza nella Corte Suprema e non sembra probabile che la nuova Amministrazione tenti di modificarne la composizione aumentandone il numero, come qualcuno aveva proposto nei mesi scorsi.

Nel frattempo non si sono esaurite le iniziative di Trump per ribaltare il risultato elettorale che lo ha visto sconfitto. Fra poche ore si riunirà il Congresso per ratificare i risultati comunicati dagli Stati. Una procedura burocratica che solo in pochi precedenti ha sollevato qualche interesse. Non sarà così questa volta. Trump sta facendo pressione sul suo vice Pence, che nella coalizione uscente rappresenta l’anima integralista religiosa, affinché blocchi il processo di ratifica. In realtà Pence non potrebbe limitarsi semplicemente a cancellare il voto in una serie di Stati in modo da eliminare il vantaggio di Biden. Secondo Trump dovrebbe seguire una di queste strade: 1) rinviare il voto sugli Stati contestati alla Camera dei Rappresentanti, la quale però non deciderebbe sulla base di un voto collegiale (dato che la maggioranza è democratica) bensì calcolando il voto di ogni singolo Stato. In questo modo, dato che i repubblicani controllano  molti piccoli Stati, la maggioranza passerebbe a loro. 2) l’altra ipotesi è che la decisione venga rinviata alle assemblea degli stati contestati. Dato che in alcuni di questi i repubblicani sono maggioritari potrebbero sostituire i delegati pro-Biden con i delegati pro-Trump. Quindi non è tanto l’iniziativa della dozzina di senatori che hanno annunciato di voler contestare il voto ad essere importante, quanto il comportamento del vice Presidente. Nessuno esperto costituzionale gli riconosce questo potere, ma non è un argomento che possa frenare il Presidente uscente. Il quale da parte sua conta sul fatto che, secondo alcuni, i democratici non avrebbero poi strumenti legali per sovvertire l’operazione. Staremo a vedere, ma sembra comunque improbabile che l’esito di tutto queste manovre porti al mancato insediamento di Biden.

Nel frattempo il Presidente eletto ha proceduto a molte delle sue nomine. Queste hanno sollevato diverse critiche, soprattutto da sinistra. In alcuni casi per avere promosso dei lobbisti in posizioni nelle quali dovrebbero controllare proprio quelle aziende dalle quali sono stati (lautamente) pagati. Molte perplessità ha sollevato la nomina di un generale alla guida della Difesa, sia per i suoi stretti legami con aziende del settore, sia perché i democratici hanno sempre preferito collocare un civile in quella posizione.

Ma insoddisfazione è stata espressa da sinistra per l’eccessivo continuismo con l’Amministrazione Obama e pure con l’Amministrazione Clinton. Una continuità che sembra avvenire sotto il segno della moderazione, quando molti di coloro che hanno votato Biden e ne hanno determinato la vittoria chiedono una reale rottura con le politiche centriste e l’eccessiva vicinanza alle grandi imprese e alla finanza che caratterizza l’establishment democratico.

Qualche cambiamento avviene invece nel gruppo parlamentare della Camera dei Rappresentanti. Non solo per il rafforzamento della “squad”, il gruppo informale guidato da Alexandria Ocasio Cortez che comprende diversi parlamentari che si dichiarano socialisti, ma per il mutamento di profilo del Progressive Caucus.

Il gruppo democratico è diviso in tre correnti organizzate. Il Progressive Caucus rappresenta l’ala sinistra. I New Democrats sono i centristi clintoniani, mentre il terzo gruppo, molto più piccolo, si è autodefinito dei Blue Dogs e raccoglie i moderati tradizionali. Il Progressive Caucus, con quasi un centinaio di membri, raccoglie poco meno della metà del gruppo.

Per la nuova lagislatura ha deciso di darsi norme più stringenti, sotto la guida unica (prima c’era un co-presidente), di Pramila Jayapal. Nata a Chennai nel Tamil Nadu (India), Jayapal è diventata parlamentare con il sostegno di Bernie Sanders. Eletta nel distretto che comprende la città di Seattle è la parlamentare rieletta con il maggior numero di voti in tutti gli Stati Uniti, quasi 400.000, con una lunga esperienza di attivismo nei movimenti sociali e delle minoranze.

Il Progressive Caucus funzionerà d’ora in avanti con una sorta di “centralismo democratico”. I componenti dovranno votare come un blocco omogeneo quando una misura legislativa è sostenuta da almeno i due terzi dei componenti. Quando un membro viene meno a questa regola per più di un terzo delle votazioni può essere espulso. La minaccia non è irrilevante dato che l’endorsement del Caucus, così come a volte anche i suoi finanziamenti, può essere decisivo in caso di rielezione. La scelta, come ha spiegato Pramila Jayapal è finalizzata ad ottenere politiche progressiste in materia economica, sociale e di diritti delle minoranze.

Intanto il gruppo democratico ha rieletto come speaker (Presidente di fatto)  della Camera dei Rappresentanti l’ottantenne Nancy Pelosi, particolarmente odiata dai trumpiani. Vi erano state diverse richieste di un cambiamento, ma alla fine il gruppo ha deciso di rieleggerla per l’ultima volta. Alcuni democratici si sono comunque rifiutati di votarla ma, tra questi, nessuno della sinistra radicale.

Ci vorrà qualche mese perché si definiscano con una certa chiarezza i nuovi assetti di potere, ma si può prevedere che la situazione politica americana nei prossimi anni sarà sottoposta a non poche tensioni interne e alla necessaria ridefinizione del ruolo internazionale.

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