di Nicoletta Pirotta – Secondo i più recenti dati ISTAT quasi 7 milioni di donne italiane dai 16 ai 70 anni hanno subito almeno una volta nella vita una forma di violenza (20,2% violenza fisica, 21% violenza sessuale con casi nel 5,4% di violenze sessuali gravi, come stupro e tentato stupro).
A praticare le violenze sono stati partner o ex partner.
In tutta Europa si ripete la casistica dell’80,5% dei casi in cui il femminicidio è avvenuto per mano di uomini che conoscevano la vittima (di cui il 43,9% dei casi, per mano di partner attuali o precedenti).
Sul sito di “In quanto donna” sono riportati i nomi delle donne uccise dal primo di gennaio di quest’anno. Sono ben 48!
Di fronte a questi numeri possiamo dire che violenza maschile sulle donne ha carattere endemico e quindi non basta più limitarsi a deprecarla o invocare pene più severe per gli aggressori.
Come consiglia Lea Melandri sarebbe necessario e più sensato “gettare uno sguardo (…) in quelle zone della vita personale che hanno a che fare con gli affetti più intimi, con tutto ciò che ci è più famigliare, ma non per questo più conosciuto. Gli omicidi, gli stupri, i maltrattamenti fisici e psicologici che hanno come oggetto le donne, sono oggi ampiamente documentati da allarmanti Rapporti internazionali, riferiti dalle cronache dei quotidiani, gridati in prima pagina quando sono particolarmente crudeli o spettacolari. A uccidere, violentare, sottomettere, sono prevalentemente mariti, figli, padri, amanti incapaci di tollerare pareti domestiche troppo o troppo poco protettive o abbandoni (…)”.
La questione di fondo, cioè, sarebbe quella di mettere in discussione i rapporti di potere fra i sessi e più in generale tutti i rapporti di potere e le forme di dominio.
Una messa in discussione quanto mai necessaria oggi di fronte al rafforzamento di alienazione, sfruttamento, razzismo, xenofobia che vanno spesso a braccetto con sessismo, misoginia, omofobia, come sostiene giustamente la scrittrice turca Elif ShafaK.
Ed invece è molto più semplice e comodo mistificare la realtà usando, nel raccontare le uccisioni delle donne per mano maschile, parole che feriscono le orecchie e offendono le vittime.
L’ultima violenza in ordine temporale è emblematica.
Un “giornalista” alquanto sbruffoncello (per non dire altro) ha avuto il coraggio di definire Massimo Sebastiani il 45enne che ha brutalmente ucciso Elisa Pomarelli, un “gigante buono incapace di fare del male ” che avrebbe ucciso in un raptus di follia per “troppo amore”!
Una parte del genere maschile non riesce proprio a sopportare l’idea che le donne possano autodeterminarsi, rendersi economicamente autonome e vivere la propria vita in libertà né tantomeno che possano avere la prima e l’ultima parola sul proprio corpo.
E pertanto di fronte a delitti efferati come quello di Elisa vengono appositamente usati termini come raptus, ossessione, follia, amore allo scopo di attenuare le responsabilità dell’assassino o, peggio, di giustificarne l’atto. In fondo, sono le donne che se la cercano!
Beh si rassegnino questi maschi incapaci di relazioni paritarie e dispensatori di odio misogino, le donne in ogni parte del mondo stanno dimostrando di avere sempre più coscienza di sé e dei propri diritti, lottando per acquisirli o per non perderli.
Quanto sarebbe bello ed utile, però, se i maschi disponibili a mettere in discussione se stessi ed il proprio genere esprimessero e manifestassero in modo collettivo, e non solo individualmente, la loro condanna verso gli autori dei femminicidi prendendone le distanze! Speranza vana? Chissà, mai dire mai.