Con l’avvicinarsi della scadenza elettorale del 23 febbraio perdura l’incertezza che grava sullo scenario politico tedesco e anche in seno all’elettorato. L’attentato di Aschaffenburg per mano di un profugo afghano con problemi psichici ha rimesso al centro del dibattito il tema dei rifugiati. Si ritorna in piazza contro l’estremismo di destra, ma le luci che indossano i manifestanti non rischiarano le nubi plumbee che si addensano sulla Germania. Le manifestazioni, per quanto partecipate, non sembrano imporre un cambio di passo alla politica delle classi dirigenti che hanno di fatto spianato la strada alla destra di AfD, Alternative für Deutschland, stabilmente secondo partito nei sondaggi. Infatti non si va oltre l’ovvia indignazione di fronte alle oscenità della leader del partito di estrema destra Alice Weidel e del suo accanito sostenitore d’oltreoceano Elon Musk, ormai coppia fissa. Sul fronte della classe politica si assiste a un vuoto drammatico di analisi e riflessione e, quindi, di alternative, sulle implicazioni del potere che esercita l’uomo più ricco del mondo su politica, economia e comunicazioni con il suo monopolio sull’infrastruttura satellitare. Con un collegamento in diretta alla manifestazione di apertura della campagna elettorale di AfD, nel tripudio di 4.500 persone, Musk esorta, con slogan cari ai neonazisti, a essere orgogliosi di essere tedeschi, della storia tedesca. “C’è troppa concentrazione sulle colpe passate”, dice Musk. Macabra musica per le orecchie di veteronazisti come il capo di AfD del Brandenburgo Hans-Christoph Berndt che durante una iniziativa elettorale aveva detto: “i nostri antenati non erano criminali”, pensando al passato nazista, “i tedeschi non devono più sentirsi in colpa”. Con le elezioni tedesche “si gioca il destino del mondo” fa sapere Musk, e “la migliore speranza per la Germania è AfD”: Musk pensa di poterlo dire anche a nome dell’amministrazione Trump. Di sicuro le deportazioni americane ben si accordano con i progetti di “remigrazione” di Afd.
Fuori dalla realtà
Anche sulla grave situazione economica perdura il silenzio: l’estraniamento dalla realtà non può essere maggiore.
La crisi economica non offre spiragli, anzi. Anche per il 2025 la situazione sembra destinata a non portare sollievo alle imprese, tanto che quattro su dieci, secondo un rilevamento dell’Istituto dell’economia tedesca (IW)1 hanno intenzione di tagliare i posti di lavoro. Per la prima volta negli ultimi otto anni la disoccupazione ha superato il 6%. Secondo l’IW le prospettive non sono state mai così plumbee dalla crisi finanziaria del 2009. E per di più in un momento in cui Donald Trump irrompe nella scena internazionale, anche se non troppo imprevedibilmente, minacciando con i dazi l’economia europea, soprattutto quella tedesca. Secondo il Prognos-Institut dipendono dagli Stati Uniti2 1,2 milioni di posti di lavoro, pari al 10% dell’occupazione complessiva nel settore dell’export, mentre, secondo l’IMK (Institut für Makroökonomie und Konjunkturforschung) da 200.000 a 300.000 sarebbero quelli a rischio in caso di dazi3. Dopo l’accordo di fine anno tra il sindacato IG Metall e Volkswagen (VW), per cui si è scongiurato il rischio di chiusura di stabilimenti, e si sono garantiti i posti di lavoro fino al 2030 (con riduzione della busta paga), rimane però il fatto che le capacità dei siti andrà ridotta del 40%, pari a 35.000 posti di lavoro, di cui 29.000 nel Land della Bassa Sassonia, sede della casa madre, pari a uno su tre. Neanche VW esclude possibili acquisizioni di stabilimenti da parte di imprese cinesi.
A maggior ragione si rimane basiti di fronte all’inadeguatezza della classe politica e alla loro impotenza nell’affrontare le sfide interne e internazionali, inevitabilmente connesse, soprattutto in Germania, il fu “motore” dell’Unione europea, le cui politiche, in primis il pareggio di bilancio, sono all’origine dei disastri attuali.
All’ordine del giorno è l’intenzione del leader cristiano-democratico (Cdu) Friedrich Merz di mettere al voto del Bundestag, il Parlamento tedesco, una risoluzione sull’inasprimento delle regole di accoglienza e sui respingimenti alla frontiera, e l’ipotesi che questa possa essere votata anche da AfD. Mentre i problemi economici rimangono incredibilmente fuori dall’orizzonte della campagna elettorale. All’inizio di dicembre, circa un mese prima che Elon Musk esternasse il suo endorsement per AfD, il leader dei Liberali (Fdp) Christian Lindner, se ne era uscito addirittura con la battuta: “Bisogna osare un po’ di più Musk e Milei”. Nei sondaggi i Liberali rimangono perlopiù inchiodati al 4%, e se così fosse il 23 febbraio, rimarrebbero fuori dal Bundestag, visto lo sbarramento del 5. Verrebbe così a mancare alla Cdu, l’alleato di preferenza per formare la coalizione governativa. La Cdu sembra stabile intorno al 30%, anche se nei giorni scorsi, per la prima volta dopo mesi, alcuni sondaggi la davano al 28-29. Per formare un governo potrebbe non bastare neanche l’ennesima riedizione della cosiddetta Grosse Koalition, con la striminzita Spd, ridotta a una forbice tra il 15-17% (in un solo sondaggio al 19). L’unica maggioranza numerica sicura è quella di Cdu più AfD. I Verdi sono al 13-14% e sembrano perlopiù votabili da un ceto medio-alto affine alle politiche liberali, cioè liberiste-belliciste, che difendono maggiore efficienza nei respingimenti. Il candidato di punta e vice-cancelliere, ministro dell’economia, Robert Habeck, sostiene anche l’aumento delle spese per la difesa fino al 3,5% del Pil. L’ex partito ecologista e pacifista è inviso a un elettorato medio-popolare, sia per l’oltranzismo contro le politiche di pace e per una politica che ha fatto della trasformazione ecologica una scelta di élite. Un’accusa che porta acqua al mulino dei sostenitori del fossile e dell’estrema destra, anche sui temi gender, del cosiddetto woke e della libertà violata dalle regole contro il Covid.
In bilico
Anche la formazione di Sahra Wagenknecht (Bsw) ha puntato su questi temi lasciando un po’ in sordina il programma economico. Parte della ricetta contro la deindustrializzazione passa per la riacquisizione di fonti di energia a buon mercato dalla Russia. Wagenknecht, dal palco del congresso di metà gennaio, punta a un “revival del modello tedesco”. Di quale modello si tratti, però, non è dato sapere, se, fin dagli anni della crisi finanziaria del 2009, ancora nella Linke, il modello tedesco veniva attaccato in modo particolare dall’esponente di punta Oskar Lafontaine (attuale coniuge di Wagenknecht e a suo dire ora “semplice iscritto”di Bsw), e dalla sua corrente: un modello che sfruttava una costruzione dell’euro e di un’Unione europea del tutto squilibrata a vantaggio della bilancia commerciale tedesca, puntando sull’export e sullo schiacciamento della domanda interna (bassi salari).
I media mainstream battono sull’idea dei “due estremi” e Wagenknecht, con l’intento di rimarcare le differenze, non disdegna il confronto diretto in tivù con la capofila AfD Alice Weidel. Si ha sempre più l’impressione che Bsw cavalchi un’idea escludente di società (accanto alla faccia di Wagenknecht sui manifesti si legge: “il nostro Paese desidera meno migrazione”). È il tema della pace (e della distensione con la Russia) il grande stimolo al voto per Bsw, che insieme alla popolarità della leader ha avuto un ruolo centrale nel suo exploit alle elezioni dello scorso autunno nei Länder. Il centralismo eccessivo fa i conti però con le difficoltà nella selezione degli affiliati, che passano a un severo vaglio per evitare acquisti di dubbia provenienza. Nascono dissidi interni e si riscontrano le prime fuoriuscite, mentre arranca quindi l’organizzazione sul territorio. I sondaggi spaziano tra il 4 e il 6%.
Mentre i partiti sfoderano indistintamente facce e slogan sui manifesti, seguendo un copione consueto, inalterato da decenni, è tangibile il disorientamento che si avverte nelle conversazioni amicali, sui mezzi pubblici e sul posto di lavoro: “Questa volta non so proprio cosa votare”. La Linke pare comunque, dopo anni, in risalita, al 4-5%. Dopo la scissione di Sahra Wagenknecht il partito ha annunciato l’ingresso di 17.000 nuovi iscritti, superando i 60.000 complessivi. Sembrano tacitate le divisioni interne sull’invio di armi in Ucraina e sul giudizio nei confronti di Israele per gli eccidi di Gaza, da misurare con il bilancino della Staatsräson, la difesa incondizionata di Israele, a cui ufficialmente il partito aderisce – pena essere tacciati di antisemitismo, addirittura da alcuni illustri esponenti che hanno lasciato il partito lo scorso autunno sbattendo la porta. Con la cosiddetta “Missione ricciolo d’argento” (Mission Silberlocke) si tenta di portare a casa tre mandati diretti – che garantirebbe l’ingresso in Bundestag anche senza superare il 5% – con Gregor Gysi, Bodo Ramelow già presidente del consiglio della Turingia, e al già più volte deputato al Bundestag Dietmar Bartsch. Si tratta quindi di una battaglia per la sopravvivenza.
Cade il muro
Ancora una volta sabato scorso una marea di persone (100.000 a Berlino) si è mobilitata contro l’estrema destra, rispondendo all’appello di Campact, che organizza campagne per la democrazia, e, tra gli altri, di Fridays for Future, in piazza anche esponenti Spd e Verdi. Ma come non vedere che negli ultimi anni anche Spd, Verdi e Fdp al governo hanno rincorso le politiche di destra? Il cancelliere Scholz aveva annunciato nel 2023 “respingimenti in grande stile”, e il pacchetto sicurezza varato lo scorso novembre da Spd, Verdi e Fdp non è stato che un pretesto per inasprire i controlli alle frontiere e limitare l’accesso ai sussidi sociali per i migranti. “Niente male”, fu il commento iniziale di Scholz sull’idea italiana di trasferire i migranti in Albania, dichiarando poi alcuni mesi dopo di preferire gli accordi con la Turchia per sbarrar loro la strada in Europa. Anche per la ministra degli interni Nancy Faeser (Spd) il trasferimento in Albania era un modello interessante e faceva sapere nel maggio scorso di essere in contatto per questo con il collega italiano Piantedosi4. Scholz viene ora criticato per non aver mantenuto la promessa di cacciare quanti più profughi si potesse. Nel 2021 AfD aveva poco più del 10%, mentre ora secondo quasi tutti i sondaggi raddoppierebbe i consensi. Merz fa sapere che per lui non conta chi voterà la sua risoluzione antimigranti – del resto, la leader Afd Alice Weidel in una lettera pubblica ne aveva esortato la presentazione, dichiarando che gli avrebbe assicurato i voti in Bundestag. Si teme così l’infrangersi del Brandmauer (il muro di fuoco), il cordone sanitario eretto da tutti i partiti rappresentati al Bundestag contro l’AfD, ovvero il diniego di iniziative congiunte con l’estrema destra, ma è già successo che quei partiti avessero tratto ispirazione da iniziative AfD per esempio sulla condanna di Bds, la campagna di boicottaggio di Israele. Anche in Germania, l’estrema destra, notoriamente di tradizioni antisemite, è fedele sostenitrice di Israele, come ormai ovunque, e lo scorso novembre ha votato con gli altri una discussa risoluzione sulla “protezione della vita ebraica in Germania”, che su questo, a parte il titolo, ha ben poco, per la sua ispirazione islamofobica, l’intento di repressione di manifestazioni di solidarietà al popolo palestinese (o di critiche a Israele o al sionismo considerate antisemite), e quindi della libertà di espressione, con conseguenze anche per l’acquisizione della cittadinanza. Ma a non sentirsi per niente protetti sono quegli ebrei ed ebree progressisti che manifestano contro Israele e per i diritti palestinesi, che si vedono vittime in Germania di antisemitismo (“non prendiamo lezioni su cosa vuol dire essere ebrei dai nipoti dei carnefici nazisti”). È al governo Spd-Verdi con o senza Liberali, cacciati da Scholz lo scorso novembre, che si deve la torsione autoritaria contro il dissenso, e che, nonostante la tragedia di Gaza, ribadisce l’invio di armi a Israele.
Merz, poi, ipotizza la sottrazione della cittadinanza tedesca, se si compiono reati (per esempio anche antisemiti, anche se come reato non sussiste). Un corto circuito inquietante se si pensa al passato tedesco.
Una richiesta congiunta di 124 deputati di diversi partiti (Cdu/Csu, Spd, Verdi e Linke) di messa al bando dell’AfD, in discussione giovedì 30 gennaio al Bundestag, avrebbe, secondo il sociologo Philip Manow, solo un valore simbolico. Per l’est potrebbe essere invece addirittura problematico, perché, alla luce dei consensi che qui incassa il partito, rischia “di essere interpretato come una misura pedagogica punitiva da parte di ‘patrioti costituzionali’ contro i tedeschi dell’est che non si comportano bene” – visto che la democrazia rappresentata dalla Repubblica federale (dell’ovest) “non è stata esperienza costituzionale condivisa”. I problemi della riunificazione o meglio dell’annessione dell’est tornano al pettine.
Paola Giaculli
- https://www.iwkoeln.de/presse/pressemitteilungen/michael-groemling-vier-von-zehn-unternehmen-wollen-2025-stellen-abbauen.html.[↩]
- https://www.prognos.com/sites/default/files/2025-01/2025-01_Prognos_Deutschland_zwischen_USA_und_China.pdf.[↩]
- https://www.n-tv.de/wirtschaft/Trumps-Zoelle-koennten-zum-Jobkiller-in-Deutschland-werden-article25489219.html.[↩]
- https://www.spiegel.de/politik/deutschland/asylpolitik-nancy-faeser-blickt-mit-spannung-auf-italiens-asylplaene-mit-albanien-a-0f79a928-afca-43f6-a515-91b9c27edccb.[↩]
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Rettifico: ovviamente secondo i sondaggi ci sarebbe almeno un’altra maggioranza numerica: per esempio quella con Cdu/Csu, Spd e Verdi.