intersezioni femministe

Genere e classe: uno snodo difficile e ineludibile

di Enrico
Gullo

Nell’articolo “Suggestioni ‘giacobine’ su intersezionalità, lavoro, sovranismo…” pubblicata in questa rubrica lo scorso mercoledì (e che è visibile qui accanto), si ragionava su alcune lezioni della Scuola Giacobina 2023, organizzata dalla rivista Jacobin Italia.
In particolare sulla lezione “La falsa scissione tra diritti sociali è diritti civili”, il relatore, Enrico Gullo (che ringraziamo), ci ha inviato una nota che riteniamo utile pubblicare perché consente di approfondire e specificare meglio il tema.

Ecco quanto scritto da Gullo:

Paola Guazzo mi segnala che su transform!italia è uscito un pezzo di Nicoletta Pirotta sulla Scuola Giacobina 2023 in cui una delle lezioni oggetto dell’articolo è la mia (onoratissimo, grazie mille!).
Due appunti:

  • il primo è sulla fonte dei dati sull’occupazione, che erano tratti da questo link:  https://www.truenumbers.it/italiani-al-lavoro/ e che nella lezione citavo aggiornati al 2020 per come verbalizzati nell’assemblea del Tavolo Lavoro di Stati Genderali lgbtqia+ & Disability svoltasi a Roma nel dicembre 2021.
    L’85% di contratti a tempo indeterminato, citato nell’articolo, non è sul numero complessivo di occupati, ma sul numero complessivo di lavoratori e lavoratrici dipendenti. E credo sia molto interessante, nel solco dei dubbi sollevati da Pirotta, confrontare i dati del 2020 con quelli aggiornati al 2022 sempre allo stesso link, visto che si conferma il trend dell’aumento dei contratti a tempo determinato (e a un ritmo non proprio confortante) e la stabilità dell’enorme percentuale di popolazione inattiva o disoccupata;
  • il secondo è il fatto sulla relativa (il)leggibilità del discorso che portiamo avanti come “Tavolo Lavoro di Stati Genderali”. Il punto che cerchiamo di mettere a fuoco sono le condizioni delle persone Lgbtqia+ dal punto di vista materiale – economico-sociale – partendo quindi dalla loro situazione lavorativa, e usando questa lente per verificarne la libertà politica e le possibilità di azione. Quello che ci ritroviamo ad affrontare piuttosto spesso, invece, è di volta in volta la sottolineatura alternativamente del versante più “sindacale” e del versante più “di genere”, il che, anche involontariamente, riproduce quella binarietà di piani che ci siamo post_ l’obiettivo di demistificare perché la riteniamo poco politicamente produttiva.
    A scanso di equivoci: non ci sono colpe in questo, perché è uno snodo di articolazione e assemblaggio difficile da “montare”. Questa sottolineatura alternata peraltro non dipende necessariamente dal tipo di appartenenza politica: ho visto più volte sottolineare la questione di genere senza la questione di classe nel sindacato, e la questione di classe senza quella di genere negli ambienti di discussione più strettamente “politici” e non vertenziali.
    Il fatto che questa dicotomia si continui a riproporre pur nel tentativo di demistificarla, però, è un elemento interessante da considerare: mentre è indubbiamente cresciuta la consapevolezza militante dell’attenzione da rivolgere alle specificità dei soggetti oppressi per genere, orientamento sessuale, disabilità e razzializzazione, fatichiamo ancora a usare queste chiavi di lettura non da fuori, ma da dentro la contraddizione principale. Il che conferma che non si tratta solo un problema dei movimenti che se ne occupano, e nemmeno di chi vi si oppone proponendo una lettura (blandamente) di “sola classe”, ma anche di tutte le persone che militano cercando l’integrazione funzionale delle varie chiavi di lettura. Ovvero: che abbiamo bisogno davvero di rimettere mano a una teoria integrata di produzione e riproduzione (e una prassi che la segua parallelamente).
    Il compito è enorme e il sistema in cui viviamo è estremamente complesso, ma mi pare che ne valga la pena provarci, soprattutto a leggere l’interesse politico (finalmente) continuativo che è tornato a suscitare il rapporto tra identità e lavoro (e a partire dal lavoro e non dall’identità).
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