Ad un primo sguardo, negli ultimi giorni, sui principali media italiani, sembra che, quasi magicamente, il genocidio a Gaza si sia interrotto. Ogni tanto, qualche breve agenzia annuncia che la tregua con Hamas è vicina e che gli ostaggi potrebbero essere liberati da un momento all’altro. Ma basta allargare lo sguardo e si scopre che la macelleria in atto continua. Se oggi, il ministro della difesa israeliano Gallant, uno di quelli che rischia il mandato di arresto internazionale proposto dalla Corte di Giustizia dell’Aja, il 60% dei combattenti di Hamas è stato eliminato. L’esponente governativo annuncia che poco resta dei 28 battaglioni di cui era composta l’organizzazione e che in tempi brevi tutti gli ostaggi torneranno a casa. Si guarda bene ovviamente dal fornire numeri ma solo percentuali, c’è il rischio di dover ammettere che decine di migliaia di persone uccise erano civili, molte donne e bambini, che non facevano parte di alcuna organizzazione militare. Intanto l’Idf ha oggi lanciato volantini, in arabo, invitando “tutti gli abitanti della città di Gaza” a evacuare e dirigersi a sud verso i rifugi a Deir al-Balah, nel centro della città Il volantino fornisce istruzioni sui percorsi sicuri per evacuare Gaza City, attraverso la strada Salah a-Din o la strada costiera. “La città sarà una pericolosa zona di combattimento”, avvertono i volantini. L’Idf negli ultimi giorni ha emesso avvisi di evacuazione per diverse aree mentre le truppe effettuano operazioni nei quartieri occidentali e meridionali, nonché nel quartiere orientale di Shejaiya. Quest’ultimo avvertimento però riguarda tutta Gaza City. Secondo recenti stime dell’Idf, circa 200 mila palestinesi rimangono nel nord della Striscia. Notizie di guerra che non meritano alcun risalto. Come è cancellato quanto affermato dal Commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini su un post apparso sul suo profilo X, secondo cui quattro scuole sono state bombardate in quattro giorni, sempre nella Striscia. in cui ha aggiunto: “Dall’inizio della guerra, due terzi delle scuole Unrwa di Gaza sono state colpite, alcune sono state bombardate, molte sono state gravemente danneggiate”. Lazzarini ha affermato che “le scuole sono passate da luoghi sicuri di istruzione e speranza per i bambini a rifugi sovraffollati, e spesso finiscono per essere un luogo di morte e miseria”. “Il palese disprezzo del diritto umanitario internazionale non puo’ diventare la nuova normalità”, ha aggiunto il commissario generale, chiedendo un immediato cessate il fuoco. Solo dal governo tedesco e rispetto alle decine di morti provocate dal bombardamento in un’unica scuola, ha espresso parole di condanna. Solo nelle ultime 24 ore, mentre scriviamo, sono state uccise 52 persone, portando il numero dei morti accertati a 38.295. Parliamo di vittime dirette, perché secondo la rivista Lancet, andrebbero contate anche le vittime “indirette”, coloro che hanno perso la vita per malattie non curate, per denutrizione, stress traumatico e altre cause. Un calcolo sommario, fatto dalla prestigiosa rivista che si occupa di salute, porterebbe i morti ad oltre 180 mila, il 7,5 % della popolazione della Striscia di Gaza. Chissà se anche questi fanno parte dei calcoli di Gallant. Probabilmente Lazzarini dovrà, presto, stare molto attento a ciò che pubblica sui post. È infatti di questa mattina un comunicato stampa di Meta, l’azienda proprietaria di Facebook, Instagram e dei servizi di messaggistica come whatsapp e messanger, con cui ha annunciato che rimuoverà, ogni post che utilizza il termine “sionista” come parola d’odio.
Zuckeberg e soci ci hanno già abituato a vedere i nostri profili sospesi, se non bannati direttamente, quando contengono messaggi relativi al PKK curdo, quando si pubblica la foto del prigioniero politico Abdullah Ocalan, quando si fa riferimento a organizzazioni, e sono tante, considerate nella black list statunitense. Su Fb è normale trovare inni a Mussolini e al fascismo – che di antisemitismo erano fra i massimi propugnatori, ma non ci si azzardi più a utilizzare messaggi che non sono compatibili, come recita il messaggio di avviso con cui si rimuove il post “con gli standard della nostra comunità”. Ora Meta aggiorna le proprie politiche di utilizzo nel merito del linguaggio d’odio. L’azienda ha deciso che rimuoverà i post che usano il termine “sionista” se utilizzato insieme a “metafore antisemite”. Quali sono queste metafore? La mossa fa seguito a ciò che l’azienda descrive come un’indagine durata mesi su come il termine è stato storicamente utilizzato e su come viene usato attualmente sui social media, in particolare nello sfondo della guerra a Gaza. “Abbiamo stabilito che le attuali linee guida non affrontano in modo sufficiente i modi in cui le persone usano il termine ‘sionista’ online e offline”, ha affermato Meta in un post sul blog. “In futuro, rimuoveremo i contenuti che attaccano i ‘sionisti’ quando non riguardano esplicitamente il movimento politico, ma utilizzano invece stereotipi antisemiti o minacciano altri tipi di danni. La parola a volte è usata come un sostituto per le parole “ebreo” o “israeliano”, in particolare in una connotazione negativa. Meta ha affermato di aver interpellato oltre 145 storici, gruppi per i diritti civili, esperti legali e di diritti umani e sostenitori della libertà di parola provenienti da tutto il mondo per giungere alla sua decisione. Per il colosso americano, l’uso del termine “sionista” potrebbe violare i termini se inserito in relazione ad affermazioni antisemite sugli ebrei che governano il mondo, parallelismi che tracciano paragoni tra ebrei e animali, inviti a danneggiare o a negare la loro esistenza. Condividendo ovviamente il rifiuto per l’antisemitismo e altri orrendi quanto inaccettabili paragoni, Meta pare però voler dire altro. L’annuncio è l’ennesimo tentativo da parte dei social di tracciare linee di demarcazione attorno al discorso online relativo al conflitto tra Israele e Hamas. Un esempio: Meta, insieme all’Oversight Board, un consiglio esterno indipendente, starebbe valutando anche se consentire o meno lo slogan pro-palestinese “dal fiume al mare” su Instagram e Facebook, usato spesso in relazione “all’eliminazione di Israele”. Ovviamente nessun limite invece alle affermazioni razziste e antiarabe in cui si inneggia tranquillamente a quanto sta accadendo, non certo dal 7 ottobre a Gaza e comunque nel resto della Cisgiordania da 75 anni. Ma basta entrare nella pagina Fb dell’Idf, dell’esercito, la propria verità, fatta di promesse di vendetta e di odio non subisce alcuna restrizione “Non si è mai trattato di Palestina. Svegliati!!!! Vogliono islamizzare l’occidente!!!!! Dobbiamo fare qualcosa ora” si urla da uno dei post meno espliciti. Nessuna notizia dai media, poche e censurate quelle dei social, peraltro di proprietà privata, sapremo ancora qualcosa del genocidio a Gaza o a breve anche tale termine sarà vietato? C’è da aspettarsi di tutto.
Stefano Galieni