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Garanzia Giovani, una politica pubblica che non è stata efficace: il fenomeno dei NEET rimane enorme

di Alessandro
Scassellati

I progetti del programma di politica attiva Garanzia Giovani hanno fatto bene ai maschi del nord e non alle donne, né ai giovani del sud. Grazie ai progetti sono riusciti a trovare lavoro soprattutto i ragazzi (maschi) del nord, quelli più istruiti. Pochi i benefici per i giovani in condizioni di vulnerabilità, per quelli del sud e per le donne (che continuano a rappresentare il 59% dei NEET, salendo al 73% nel caso delle giovani di origine straniera). Peraltro, l’Italia rischia anche di dover restituire circa 1 miliardo di euro di fondi UE non spesi (circa il 32%). L’analisi di ActionAid e Cgil: il programma in Italia non ha funzionato, è stato inefficace, un’opportunità in gran parte sprecata. Occorre migliorare l’efficacia delle politiche pubbliche rivolte alle e ai giovani del nostro Paese.

Nel maggio 2014, per far fronte al forte aumento di giovani in condizione di NEET (acronimo di “Not in Education, Employment, or Training“, una persona disoccupata tra i 15 e i 29 anni che non riceve istruzione o formazione professionale da almeno 6 mesi), l’Unione Europea ha promosso il primo intervento di politiche attive strutturato, Garanzia Giovani (Youth Guarantee), rivolto agli Stati membri con un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 25%. Anche l’Italia, che nel 2014 registrava un tasso di disoccupazione giovanile pari al 46,2% e un tasso di incidenza di NEET tra i 15 e i 29 anni del 27,4%, è stata quindi destinataria del programma.
Garanzia Giovani è stata avviata nel nostro Paese nel biennio 2015-2016 e terminerà, con oltre due anni di ritardo nel 2024. Il Programma, con una disponibilità finanziaria di circa 2,7 miliardi di euro (2,2 miliardi a valere su fondi europei e circa 500 milioni di cofinanziamento nazionale a valere sul Fondo di rotazione), aveva e ha, tutt’ora, l’obiettivo di offrire un percorso personalizzato finalizzato all’inserimento lavorativo attraverso misure quali: accompagnamento al lavoro, tirocinio, formazione, apprendistato, servizio civile, autoimprenditorialità e mobilità professionale1. Garanzia Giovani è stato quindi il principale strumento implementato in Italia per contrastare il fenomeno NEET e l’analisi della sua efficacia è necessaria per informare le politiche giovanili che saranno promosse nei prossimi anni.
Nell’ambito della campagna Giovani in pausa: che spreco!, ActionAid e CGIL hanno presentato ad inizio giugno il policy paper “NEET: Giovani in Pausa. Superare gli stereotipi per costruire politiche pubbliche efficaci”, che contribuisce a ricostruire un quadro critico degli impatti del programma Garanzia Giovani2 Dal 2014, circa 1,7 milioni di giovani si sono registrate/i a Garanzia Giovani, ovvero circa l’82% della popolazione giovanile residente in Italia in condizione di NEET. Ad accedere al programma sono stati soprattutto ragazzi (52%) di età compresa tra i 19 e i 24 anni (56,2%) residenti nel Sud Italia e nelle Isole (43,4%). Di questi, il 47,6% (831 mila) ha completato il percorso intrapreso, ma solo il 32% di loro (559 mila) alla fine del programma ha trovato un’opportunità lavorativa. In altre parole, a sei mesi dalla fine del programma, Garanzia Giovani ha dato una risposta – ha contribuito a reintrodurre nel mercato del lavoro – appena solo al 26% di giovani in condizione di NEET (quasi uno su quattro). Secondo l’ISTAT, in Italia il numero dei giovani NEET è sceso del 10% tra il 2014 e il 2023 (dal 26,3% al 16,1% ossia 1,7 milioni; ma è del 18% per i giovani di età compresa tra i 15-34 anni, ossia quasi 3 milioni3), ma il problema rimane comunque enorme (fa peggio solo la Romania; la media europea è dell’11,7%), soprattutto al Sud (la regione Sicilia ha il tasso di incidenza più alto con il 32,2%, seguita dalla Campania con il 31,2% e dalla Calabria con il 30,3%). Un fenomeno che si stima costi allo Stato italiano circa 25 miliardi l’anno, l’1,4% del PIL italiano.
Circa 1,4 milioni di giovani, ovvero l’84,7% dei registrati al programma, è stato preso in carico da Centri per l’impiego e Agenzie private del lavoro, ma solo il 60,9% di loro è stata/o destinataria/o di una misura di politica attiva del lavoro4.
Se a registrarsi sono stati in misura maggiore giovani residenti nei territori del Sud Italia e delle Isole, con un’istruzione secondaria superiore o inferiore5, a beneficiare del successo del programma sono stati soprattutto uomini (58,8%) di età compresa tra i 19 e i 25 anni, residenti nelle regioni del Nord Ovest e in possesso di un titolo di laurea (61%). Giovani, quindi che, probabilmente, avrebbero trovato un’opportunità lavorativa o formativa a prescindere dal programma intrapreso.
I dati sulle registrazioni e le prese in carico confermano, inoltre, che il programma proposto non sia stato in grado di rispondere adeguatamente sia alle disparità di genere sia ai divari territoriali, socioeconomici e di cittadinanza che caratterizzano il nostro Paese. Nonostante, infatti, le giovani donne rappresentino la quota più ampia della popolazione NEET (quasi il 59%)6, i dati sull’attuazione di Garanzia Giovani evidenziano come queste ultime siano state raggiunte dal programma con maggiore difficoltà, 48% contro il 52%. Allo stesso modo, il programma non sembra aver preso in considerazione le specificità del tessuto produttivo locale che determinano il fabbisogno occupazionale del territorio, né le capacità dei servizi per il lavoro di intervento che risulta essere diversificata a livello territoriale7.
Infatti, nonostante la quota maggiore di giovani registrati e presi in carico risieda nelle regioni del Sud e delle Isole, ad aver beneficiato di misure di politica attiva in quota maggiore e a registrare un tasso di occupazione più alto a conclusione del percorso intrapreso sono soprattutto giovani residenti nei territori settentrionali del Paese (74,1%), dove la domanda di lavoro è più alta e il tasso di efficacia dei servizi per l’inclusione lavorativa tocca il 69%.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) ha introdotto un ulteriore strumento per contrastare il fenomeno NEET: il Programma garanzia di occupabilità dei lavoratori (GOL)8 che è stato sviluppato con l’obiettivo di promuovere il reinserimento lavorativo di persone beneficiarie di ammortizzatori sociali, disoccupate/i di lunga durata, working poor e lavoratrici/ori più fragili. Tra queste/i ultime/i, il GOL include anche giovani NEET under 309 Il programma GOL, avviato nel 2021, al 31 gennaio 2024 ha coinvolto circa 2 milioni di persone, di cui circa 586 mila giovani di età compresa tra i 15 e i 30 anni (28,3%). Nello specifico, le e i giovani hanno beneficiato soprattutto di percorsi di orientamento e accompagnamento al lavoro (52%); percorsi di aggiornamento professionale (25%) e di riqualificazione professionale (22%). Come Garanzia Giovani, anche il programma GOL sta faticando ad offrire misure personalizzate a giovani in stato di maggiore vulnerabilità: è stata pressocché nulla la loro presa in carico nell’ambito di percorsi di lavoro e inclusione per soggetti con bisogni complessi che necessitano di supporto multidimensionale (1%)10.
Infine, c’è la questione dei fondi non spesi per il programma Garanzia Giovani. Dei circa 2,7 miliardi di euro di fondi europei messi a disposizione dell’Italia dal 2014 per reintegrare nel mondo del lavoro i giovani NEET, secondo Ragioneria Generale dello Stato e ANPAL ad aprile 2024, i pagamenti certificati ammontavano a 1,6 miliardi, ovvero il 68% dei fondi stanziati. La regola comunitaria prevede che se non si impiegano o non si spendono i fondi li si deve restituire11. Tuttavia, il governo prevede di certificare ulteriori 530,31 milioni, reindirizzandoli verso altre iniziative: 260,06 milioni per l’Occupazione giovani NEET, 57,53 milioni per l’Occupazione giovani, e 212,7 milioni per il bonus sociale elettrico. Secondo Il Sole 24 Ore (Claudio Tucci, 23 giugno 2024, p. 5) se tutto procederà senza intoppi, l’Italia perderà “solo” 160 milioni di fondi europei. Il giornale confindustriale parla del fatto che oltre “al danno”(ossia, che non si sono ottenuti i risultati sperati) ci potrebbe essere, quindi, una possibile “beffa” (ma la cifra potrebbe essere molto più alta, considerando anche i ritardi nel cofinanziamento nazionale di 500 milioni). “Una sconfitta per tutto il Paese e per le politiche attive, colpa della cronica incapacità di governi e regioni di gestire questo pezzo fondamentale del mercato del lavoro, che rischia di essere ancora più pesante se le previsioni di spesa entro ottobre non saranno centrate”.
Come sostengono ActionAid e CGIL, “il nostro Paese ha ancora la possibilità di cambiare rotta, mettendo al centro dell’agenda politica la questione giovanile e permettendo quindi alle nuove generazioni di esercitare i propri diritti in ambito lavorativo, economico, educativo e sociale”; attraverso, ad esempio, il programma nazionale Giovani, donne e lavoro 2021-2027 (con circa 2,8 miliardi di euro stanziati) e le quote del Fondo sociale europeo+ 2021-2027 per il contrasto della disoccupazione giovanile12, con una dotazione complessiva per l’Italia di circa 5 miliardi di euro (di cui 2,6 miliardi di euro a valere sul FSE+ e 2,4 miliardi di cofinanziamento nazionale). In un momento storico in cui la crisi demografica sembra mettere a dura prova il sistema di welfare italiano, “è necessario garantire il giusto spazio alle nuove generazioni, assicurando loro condizioni lavorative adeguate, stipendi dignitosi e opportunità di scelta”. È necessario riportare le nuove generazioni al centro dei processi di sviluppo del Paese e la decisione di investire nella creazione di reti, partenariati e azioni territoriali di prossimità per integrare gli interventi e intercettare le e i giovani in condizione di NEET più lontane/i dal mondo dell’istruzione e del lavoro è un’opportunità che l’Italia non può mancare. “I giovani in condizioni di maggior disagio, nelle periferie e nelle aree più svantaggiate del Paese, senza lavoro o precario e con l’idea che la pensione sia un miraggio, devono sapere che il futuro si può modificare, hanno bisogno di diritto allo studio, lavoro e istituzioni realmente vicine ai loro bisogni”.

Alessandro Scassellati

  1. Dall’analisi dei dati relativi alla spesa delle risorse emerge che la maggior parte delle risorse assegnate sono state utilizzate dalle regioni per finanziare tirocini formativi (31%). Il resto ha coperto l’erogazione di incentivi per l’inserimento lavorativo (23%), formazione (18%) e percorsi di accompagnamento al lavoro (10%) e in misura minore servizio civile (7%), interventi di presa in carico e orientamento (6%), sostegno all’autoimpiego (5%). Solo poche migliaia di euro per l’apprendistato e interventi di mobilità professionale transnazionale e territoriale.[]
  2. Si veda anche il precedente studio di ActionAid e CGIL, “NEET tra Disuguaglianze e divari. Alla ricerca di nuove politiche pubbliche per i giovani” (2022). Dal novembre 2023, ActionAid e CGIL hanno lanciato la campagna Giovani in pausa: che spreco!, con l’intento di sfidare la narrazione comune (stigmatizzante) riguardante la popolazione giovanile che si trova a vivere la condizione di NEET, anche attraverso i racconti e le testimonianze delle ragazze e dei ragazzi. Si vedano anche: Anpal, L’attuazione della Garanzia Giovani in Italia. Un bilancio del periodo maggio 2014 – dicembre 2022; Anpal, Rapporto di valutazione Garanzia Giovani. Qualità dei servizi offerti e delle politiche attive – executive summary (2022); Anpal, Verso la nuova Garanzia Giovani. Una revisione delle valutazioni sulle politiche attive del lavoro rivolte ai giovani, 2022; Anpal, Garanzia Giovani in Italia, nota quadrimestrale n. 2/2023; Ragioneria Generale dello Stato, Bollettino Monitoraggio Politiche di Coesione – Programmazione 2021/2027 e 2014/2020 – Situazione al 29 febbraio 2024; dati pubblicati sulla piattaforma Opencoesione.[]
  3. La maggior incidenza è dovuta al fatto che sono proprio le e i NEET di età compresa tra i 30 e i 34 anni a rappresentare la quota maggiore (34,7%) di giovani che non studiano e non lavorano, a cui fanno seguito le fasce di età 25-29 anni (31,2%), 20-24 anni (25,6%), e in ultimo 15-19 (8,4%). Tra l’altro in Italia scarsa è la diffusione di studenti-lavoratori: il 6% contro la media UE del 16,7%.[]
  4. A Sud e nelle Isole il 75,6% delle e dei giovani registrate/i a Garanzia Giovani è stata presa in carico da un Centro per l’Impiego; mentre nel Nord-ovest, il 74,1% da un’Agenzia Privata per il Lavoro. I dati riguardanti il tasso di occupabilità, che riflettono ovviamente le peculiarità del tessuto produttivo locale, evidenziano una connessione tra tipologia di ente che ha preso in carico le e i giovani e il successo del programma. Nel nord-ovest, dove è stata preponderante la presenza di Agenzie, il tasso di occupazione registrato a conclusione del percorso di Garanzia Giovani ha raggiunto il 73,9%, mentre nelle regioni del Sud e nelle Isole, dove la maggior parte di prese in carico è stata gestita dai Centri per l’Impiego, ha raggiunto solo il 39,8%. Le difficoltà dei servizi pubblici del lavoro di interagire e collaborare con il tessuto produttivo locale hanno, purtroppo, influito sull’offerta destinata alle e ai giovani. Appare evidente che l’apertura del programma alle Agenzie abbia contribuito a colmare le lacune dei Centri, garantendo performances migliori. Il coinvolgimento non omogeneo delle Agenzie a livello nazionale ha contribuito, però, a esacerbare i divari territoriali esistenti offrendo opportunità lavorative diverse a seconda della Regione di residenza. È quindi lecito domandarsi quanto sia costata alle e ai giovani residenti nei territori più fragili del nostro Paese l’inefficacia dei servizi pubblici e come poter migliorare le performance, in generale, dei servizi pubblici per evitare di doversi rivolgere ad enti privati.[]
  5. L’88% di giovani che non studia e non lavora ha un livello di istruzione medio-basso. I dati ISTAT rivelano che il titolo di studio può incidere sulla probabilità di entrare o uscire dalla condizione di NEET. Evidenziano, inoltre, un’importante correlazione tra la tendenza a ricadere in una condizione di inattività e il livello di istruzione medio-basso: tra le e i NEET inattive/i, infatti, il 50% è in possesso di un diploma di maturità o di scuola professionale, il 35% ha la licenza media, solo il 10% ha un titolo equiparabile o superiore alla laurea e il 4% ha la licenza elementare o non ha alcun titolo di studio. Un po’ più alti i titoli di studio delle persone in cerca di occupazione, di cui il 53% ha conseguito un diploma di maturità superiore o di scuola professionale, il 29% ha la licenza media e il 17% un titolo di studio universitario.[]
  6. Tra l’altro, man mano che avanza l’età per le donne l’ingresso nel mondo del lavoro diventa una chimera: secondo l’ISTAT dai 30 ai 34 anni le NEET sono il 40%, a fronte di un 27% dei coetanei maschi. Ad incidere su questi numeri contribuisce da sempre il lavoro di cura familiare che ricade soprattutto sulle loro spalle. Le ragazze rappresentano infatti la quota maggiore (65%) di NEET definiti “inattivi”, ma tra loro il 30% delle giovani dichiara di non essere alla ricerca di lavoro perché impegnata nella gestione dei carichi di cura familiari di minorenni o persone non autosufficienti (definite “NEET caregiver”) e il 21% per altri motivi familiari (ad esempio, è casalinga). Si tratta anche di una situazione determinata da un mercato del lavoro che privilegia l’assunzione di giovani uomini rispetto alle giovani donne, che rende difficile conciliare l’attività lavorativa con la cura dei figli.[]
  7. Uno degli indicatori presi in esame per l’analisi dell’efficienza dei servizi è la “presa in carico entro due mesi dalla registrazione del programma”. Rispetto ad un valore medio nazionale del 65,7%, la situazione a livello territoriale varia: in alcuni contesti regionali tale dato è decisamente più contenuto, ad esempio in Umbria è del 35,8%, in Calabria 37,5% e nelle Marche 41,7%.[]
  8. Previsto nell’ambito della Missione 5 del PNRR, con una dotazione finanziaria di 4,4 miliardi di euro per il quadriennio 2022-2025, a cui si sommano 500 milioni a valere su REACT-EU.[]
  9. In particolare, il programma si basa sulla personalizzazione del servizio offerto, ovvero le persone sono indirizzate verso il percorso più appropriato da individuare in seguito ad un processo di valutazione, e si struttura in quattro percorsi: il primo include interventi di orientamento e accompagnamento al lavoro, rivolto alle persone più facilmente occupabili; il secondo si focalizza sull’aggiornamento professionale, con interventi formativi di breve durata (max 150 ore); il terzo prevede percorsi di riqualificazione professionale con una formazione più intensa (max 600 ore); il quarto, lavoro e inclusione, è rivolto a soggetti con bisogni complessi che necessitano di un supporto multidimensionale.[]
  10. Un dato, quest’ultimo, che desta preoccupazione se si considera che le e i giovani under 30 rappresentano il 33,1% di coloro che avrebbero potuto beneficiare di tale supporto in quanto identificate/i come soggetti in vulnerabilità. Il programma prevede che per queste/i ultime/i si possano sperimentare anche forme di occupazione “protetta” o percorsi di accompagnamento dedicato, con il coinvolgimento del terzo settore. Tuttavia, stando ai dati disponibili le e i giovani NEET non risultano destinatari/e di tale tipologia di intervento.[]
  11. L’Italia fatica spesso a spendere tutti i soldi che arrivano dall’Unione Europea. Sta accadendo la stessa cosa anche con i fondi PNRR, e accade da anni con i progetti comunitari in generale. Dal 2014 al 2020 l’Italia ha ricevuto Fondi Strutturali per un importo pari a circa 44,8 miliardi, di cui oltre 36 miliardi destinati specificatamente alla politica di coesione, a valere sul Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FESR) e sul Fondo Sociale Europeo (FSE). Con l’iniziativa denominata “REACT-EU”, la Commissione UE ha assegnato alla politica di coesione ulteriori risorse per gli anni 2021 e 2022, oltre 14 miliardi di euro per l’Italia, destinati a promuovere il superamento degli effetti della crisi sanitaria da COVID-19, che hanno portato l’importo complessivo delle risorse europee e di cofinanziamento nazionale, a oltre 65,8 miliardi di euro. Dopo la Polonia, l’Italia è il secondo Paese europeo con il numero più elevato di finanziamenti ricevuti. Al momento però il nostro Paese è il quart’ultimo in termini di fondi spesi: il livello dei pagamenti ammonta ad una quota pari al 71,5% dei fondi programmati, contro una media europea poco più alta del 90%.[]
  12. Il Fondo sociale europeo+ 2021-2027, tra le varie finalità, si propone di contribuire a raggiungere gli obiettivi del Piano d’azione sul pilastro europeo dei diritti sociali che prevede di ridurre il tasso medio europeo di NEET dal 12,6% (2019) al 9%, entro il 2030.[]
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