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Francia: uno sciopero eccezionale in un anno di lotte

di Giuseppe
Cugnata

di Giuseppe Cugnata, Espace Marx – “Macron pensa che tutto il Paese sia in vendita, che tutto possa essere uberizzato, ma basterebbe che anche i lavoratori della logistica scendessero in piazza e sarebbe la sua fine.” Sono le parole del tassista che mi sta accompagnando dalla banlieue nord di Parigi verso il centro della città. Metropolitane e treni sono fermi da quasi una settimana e il traffico nelle arterie periferiche della città è quasi sempre bloccato. 

Dal 5 dicembre, infatti, i lavoratori delle società RATP (Metropolitane, bus e treni dentro la città di Parigi) e SNCF (ferrovie dello Stato) sono in sciopero contro la riforma delle pensioni proposta dal governo conservatore di Edouard Philippe e promossa da Macron. Attualmente il sistema pensionistico francese prevede l’accesso alla pensione a 62 anni (anche se solo formalmente, dato che per accedere alla pensione piene occorre attendere i 67 anni) e 42 regimi speciali pensionistici per i lavoratori a rischio (come i ferrovieri, ad esempio). La riforma mira a modificare proprio questi due punti, introducendo un sistema unico a punti, che allungherebbe ancora di più l’accesso alla pensione ed eliminerebbe tutti i benefici per i lavoratori a rischio.

Ecco perché, sulla base di queste premesse, diversi settori chiave del lavoro dipendente (ferrovie e trasporto pubblico, insegnanti, personale ospedaliero, pompieri) hanno dichiarato lo sciopero ‘generale e illimitato’. 

“Mobilizzarsi non è facile in un Paese dove i salari sono bassi e dove manifestare significa esporsi alle sanzioni da parte di alcune imprese” ricorda Philippe Martinez, segretario generale della CGT (il maggiore sindacato francese) eppure i lavoratori francesi hanno risposto in massa all’iniziativa. 

Nell’arco di una settimana, i sindacati hanno già indetto due manifestazioni a Parigi e nelle altre città francesi. Uno sciopero di dimensioni inaudite: al debutto dello sciopero, lo scorso giovedì 5 dicembre, un milione e mezzo di lavoratori francesi si è riversato nelle piazze del Paese (250mila lavoratori nella sola Capitale) e altre manifestazioni sono già state fissate per le prossime settimane. 

Macron e il governo di Philippe, paradigmatici esempi delle politiche neoliberali, sono riusciti a contenere l’ondata di proteste solamente con la repressione (la metà degli effettivi delle forze di polizia di Francia è stata dispiegata durante la manifestazione della scorsa settimana), ma è evidente che dovranno scendere a patti con le richieste dei manifestanti. Lo stesso Philippe ha annunciato che non modificherà alcuni punti imperativi del sistema come la parità di genere, o la specificità di alcune professioni. Imperativi che suonano come promesse al vento, visto che nessuno dei punti critici della riforma è stato rimesso in discussione. 

Lo sciopero e le altre iniziative sono stati promossi anche da alcuni “leader” della sinistra del movimento dei Gilet Gialli e in alcune località sono stati promosse iniziative comuni tra sindacati e movimento, nonostante le differenze fra i due tipi di mobilitazione, dato che le lotte dei Gilet Gialli si iscrivono per lo più in un quadro di contrattazione alternativo alle rappresentanze sindacali.

Occorre guardare lo sciopero di questi giorni da un punto di vista più largo. 

Le iniziative di queste settimane arrivano, infatti, dopo più di un anno di lotte sociali che hanno avuto al centro i temi della redistribuzione e della transizione economica e che hanno avuto come espressione il succitato movimento dei Gilet Gialli e gli studenti contro il cambiamento climatico. 

Per quanto queste lotte possano sembrare distanti, esse in realtà fanno parte di un quadro unico di critica del modo di produzione capitalistico. La convergenza tra tutti questi fronti è chiaramente complessa e non è per nulla assicurata, eppure sembra l’unica prospettiva necessaria.     

Francia, macron, Sciopero
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