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Fenomeni carsici… Lenti

di Marcello
Pesarini

Quando eravamo bambini, se i nostri genitori si stancavano di spiegarci le ragioni di una proibizione o non erano in grado di fornirci una spiegazione seria, veniva fuori la frasetta:

“È così perché è così, ed è sempre stato così dall’inizio del mondo”.
Che recalcitrassimo o no, andava in questo modo.

I fenomeni carsici sono di aiuto a motivare tanti nostri stupori che altro non sono che la mancanza di volontà per applicarci a comprendere le novità. I fenomeni sono processi idrologici e morfologici che si svolgono in tali rocce. Il carbonato di calcio viene intaccato dall’acqua appena questa abbia un certo grado di acidità, dando origine a bicarbonati solubili.

Avviene spesso che atteggiamenti decisi, destinati a stupire chi li vede e ne viene coinvolto, abbiano origini lontane e che gli attori dei fenomeni, quelli che li rendono visibili a tutto il mondo, non ne siano completamente consapevoli, ma la naturalezza con cui si muovono incanti e convinca.
Pensiamo ai Beatles, o a una grande interprete jazz dalla pronuncia milanese, Mina.

Così avviene di fronte al crescente numero di donne, in prima fila quelle che hanno deciso di ribellarsi al body-shaming, che pretendono che l’esposizione dei loro corpi risponda alla loro volontà né sia sottoposta a stigma né giustifichi atteggiamenti aggressivi da parte dei maschi ma anche delle donne: parliamo di una presa d’atto cosciente, frutto di decenni di lavoro ed elaborazione.
Ma, proprio perché i risultati dei fenomeni di lunga durata si spargono nel mondo circostante in piena libertà e non secondo un ordine gerarchico, includendo atteggiamenti di girl power rappresentati in tanti manifesti delle ultimissime generazioni, mi sento di considerare le tante artiste che rivendicano l’esposizione del loro corpo come scelta libera e non forzata dai produttori, agenti e vari, come coscienze sorelle di questa ribellione. Non intendo alimentare polemiche da social, che sono stati usati solo per opportuna documentazione, né soffermarsi solo sulle icone del mondo dello spettacolo occidentale.

È interessante invece confrontare quanto avviene nel 2023 con la rappresentazione, certamente d’avanguardia attorno al 1850 in Inghilterra nel movimento dei preraffaelliti, ed il suo valore iconico e sensuale.
L’esempio scelto è l’immagine e la storia del dipinto raffigurante Ofelia, realizzato da John Everett Millias (1851-52), realizzato grazie a Elizabeth Siddal, conosciuta anche come Lizzie, modella, poetessa e pittrice inglese, vissuta dal 25 luglio 1829 e l’11 febbraio 1862.
Posando per Ofelia la Siddal fu costretta a rimanere a lungo immersa in una vasca da bagno, per rappresentare la morte del personaggio shakespeariano. Era decisa a resistere, nella posizione, con una temperatura già di partenza complicata: doveva galleggiare sulla schiena con le mani alzate e i palmi verso l’alto. Doveva anche tenere le labbra spalancate, come se stesse cantando una triste canzone d’addio.
La sua tenacia fu notevole, anche quando si spensero le candele che servivano a riscaldare l’acqua.
La modella ebbe poco dopo una febbre improvvisa, poi una bronchite che le minò la salute. Suo padre ritenne responsabile Millais di questo suo stato cronico, e ottenne da lui un indennizzo per poterla curare. Ma lei non si riprese mai, e la sua salute peggiorò. Iniziò ad abusare di laudano per superare i sintomi del suo malessere, sino ad arrivare, anni dopo, a una morte improvvisa, che molti lessero come suicidio. Di certo molte responsabilità del suo gesto possono essere ricondotte a  Dante Gabriel Rossetti, che la sposò alfine dopo avere rinviato più volte il matrimonio all’ultimo momento. Partorì un bambino morto e poco più avanti giunse la morte. Neanche in questa occasione fu rispettata. Essendo il suicidio reato in Gran Bretagna, Rossetti avallò la causa del decesso  per l’abuso di laudano, e distrusse la lettera d’addio di Elizabeth.

Non stiamo parlando delle donne angelicate e che Dante intendeva proteggere nei suoi scritti dai destini pericolosi, come Beatrice Portinari, ma di donne la cui raffigurazione come esangui ed eteree può avere influenzato un immaginario pieno di pericolose tentazioni da parte maschile.
Molte scrittrici hanno lavorato alla riconsiderazione, non alla riscrittura della storia delle donne, secondo le parole  del primo manifesto della Rivolta femminile del 1970, “Abbiamo guardato per 4000 anni; ora abbiamo visto” .

Fra gli esempi di un’altra narrazione possibile, citiamo la poeta urbinate Maria Lenti che ha scelto nel 2019 di affrontare in Elena, Ecuba e le altre figure mitiche e storiche dell’immaginario maschile e femminile. Lenti richiama ad interpretare, a raccontare i loro avvenimenti e il “verso” dei loro miti, le donne Elena, Ecuba, Giocasta, Alcesti, Andromaca.
Quei miti sono punti di riferimento dell’amore legato al sacrificio, della dedizione nella quale non viene esaltata la sua continuità e costanza, ma soprattutto l’attimo, l’assolutezza del sacrificio.
La scrittrice e poeta interviene su questa narrazione e rivolta il “verso”: dalla donna all’uomo, ai suoi figli, all’amore condiviso, non più contro di lei, ma “a” tutti. Il valore dell’ opera è notevole, e attraverso questi versi asciutti dimostra come, con uno sguardo che il maschio o non è capace di raggiungere o si nega da solo, la storia potrebbe essere stata diversa.

Quasi due secoli di storia e storie portano a oggi. Le donne ci insegnano che la loro storia deve essere ripresa, narrata, e non inizia oggi.
Qualcosa nei comportamenti delle donne odierne è reazione alle vicende narrate, storia delle oppressioni, come il gesto dei bambini palestinesi di scrivere il proprio nome sulle braccia per essere individuati in caso di morte, viene da un’oppressione che è storia.

Marcello Pesarini

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