La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con le sentenze dell’8 dicembre 2020 (rispettivamente, cause C‑620/18 e C-626/18), si è pronunciata sui ricorsi dell’Ungheria e della Polonia contro la Direttiva n. 2018/957 del 28 giugno 2018, che ha apportato significative modifiche alla Direttiva n. 96/71 sul distacco transnazionale del lavoratori, fattispecie che nell’ordinamento dell’UE identifica l’invio di lavoratori in altri Stati membri per eseguire appalti, per svolgere prestazioni alle dipendenze di agenzie di somministrazione o nell’ambito di un distacco infragruppo.
La Corte, con le due sentenze qui di seguito, ha respinto i due ricorsi condannando i due Stati membri alle spese processuali.
Ecco i link alle sentenze:
La novità di rilievo delle due decisioni della Corte europea è la valorizzazione dell’art. 9 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (c.d. “clausola sociale”)[1] nell’interpretazione della ratio legis. E’ la prima volta – a nostra conoscenza – che la Corte utilizza questa disposizione. C’è poi da aggiungere che l’Avvocato generale Campos Sánchez‑Bordona aveva depositato delle Conclusioni molto condivisibili.
Dunque la Direttiva 2018/957 è salva. La Direttiva – che è stata attuata in Italia con il decreto legislativo n. 122/2020 e che si affianca alla Direttiva c.d. “Enforcement” n. 2014/67 – rappresenta un’iniziativa rilevante, perché con essa si è inteso porre rimedio ai problemi dovuti ad un sistema di regole europee relative alla mobilità temporanea di lavoratori all’interno dell’UE che si è rivelato inidoneo a contrastare fenomeni di dumping sociale e retributivo. Questi problemi sono emersi con tutta evidenza a seguito di una serie di sentenze della Corte di Giustizia UE nelle quali i giudici europei hanno applicato la Direttiva n. 96/71 come normativa che impedisce agli Stati ed ai sindacati di imporre alle imprese straniere il pieno rispetto degli standard normativi e retributivi fissati dai contratti collettivi ad efficacia non generalizzata vigenti sul territorio nazionale.
L’adozione della nuova Direttiva, ora fatta salva dai giudici europei, rappresenta un significativo passo in avanti nella lenta e faticosa costruzione di un’Europea più sociale.
Il testo della nuova Direttiva senz’altro migliora il quadro esistente, ma non appare capace di risolvere tutti i problemi scaturiti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Il problema della concorrenza giocata sul costo del lavoro attraverso il distacco transnazionale resta ancora lontano dall’essere risolto.
[1] Articolo 9 TfUE: “Nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta contro l’esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana.
Andrea Allamprese