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Trasformazione sociale, condivisione della conoscenza e governo del paese

di Roberto
Rosso

Per disegnare le proposte italiane per il recovery plan la presidenza del consiglio si è dotata di una corte di 6 manager che coordinano 300 esperti, 50 ognuno, sotto la direzione di una cabina di regia.  Tra le tante domande che questa soluzione propone, per partire con la nostra riflessione, scegliamo quella che segue: quali conoscenze condivide questa pletora di esperti, chi possiede la visione di insieme e chi invece contribuisce in base alla sua competenza settoriale?

Digitale, rivoluzione verde, infrastrutture, equità e inclusione, salute, istruzione e ricerca sono le missioni che i 60 progetti devono realizzare.

La politica, gli esperti, il paese, quali opzioni, bisogni, interessi, conoscenze dovrebbero confluire verso una struttura che a molti è apparsa ridondante e assieme inadeguata a cogliere la complessità del paese nei tempi brevi imposti? La scelta di non trovare nell’apparato dello Stato, nelle sue diverse funzioni le risorse, le competenze, l’organizzazione necessaria a elaborare il Recovery Plan costituisce un giudizio sulla capacità di quegli apparati di restituire una immagine del paese in base alla quale fare le scelte strategiche richieste?

Il tempo presente non è una istantanea, quando si vuole descrivere la ‘situazione attuale’ come punto di partenza per prendere delle decisioni da cui dovrebbe scaturire un cambio di rotta, si scelgono le informazioni su basarsi, si definisce un quadro di riferimento, si costruiscono di modelli. Chiunque, qualunque soggetto o istituzione voglia capire la situazione di questo disgraziato Paese si deve avvalere di una serie di mappe e modelli del processo che ha portato alla situazione attuale, che la descrivano  -integrando  livelli di descrizione e punti di vista, tenendo conto del grado di dipendenza della traiettoria seguita dalla sua formazione sociale dal contesto globale, la sua collocazione  in questo contesto, quali  vincoli, rischi e opportunità e opportunità ne derivano.

Nella nostra società, definita come la società della conoscenza fondata sulle tecnologie digitali, è possibile acquisire informazioni sui comportamenti individuali e collettivi che in passato sfuggivano ad ogni possibilità di osservazione e di classificazione. Non ci sono solo Banca d’Italia ISTAT ed altre istituzioni che forniscono un ampio ventaglio di dati e di elaborazione, il sistema dei social networks, il controllo dei dispositivi mobili e delle vendite online raccolgono una straordinaria varietà e mole di informazioni che sfuggono ad ogni controllo pubblico e permettono di costruire modelli delle relazioni sociali e di fare previsioni quasi in tempo reale (prescindendo qui per un attimo dalla potenza finanziaria che ne deriva). Il rapporto del potere politico con questa potenza di governo sociale non è definito univocamente ed è molto differenziato tra Usa, Cina ed Europa. In questo contesto, quali sono i caratteri del governo del nostro Paese, qual è la capacità delle sue classi dirigenti complessivamente intese di governare la trasformazione inevitabile di questo Paese?

Lo stato della sanità, l’inconsistenza dei piani per affrontare le pandemie e qualsiasi emergenza sanitaria ci parlano di quale sia stata e sia la capacità di governare questo Paese. Ciò che è successo nella sanità non è una eccezione: le diverse componenti della nostra società hanno condiviso una medesima parabola che ha visto prevalere la logica del primato di interessi privati su quello pubblico, con l’aggravante dell’assenza di uno straccio di direzione strategica da parte dello Stato. Questa barca mal guidata in passato non ha trovato una rotta nella stretta recessiva delle politiche europee. Questa disarticolazione delle classi dirigenti in quanto tali non depone certo a favore di una rapida ricostruzione delle capacità di governo dentro la crisi.

Mentre dilagano emarginazione sociale e povertà, aumenta l’emarginazione di interi settori sociali dai meccanismi decisionali e di condivisione della conoscenza. Il quadro che l’ultimo rapporto CENSIS ci fornisce è sconsolante.

L’ennesima task dopo quella di Colao può essere liquidata con una battuta, ma questa volta il suo compito ha a che fare con una posta in gioco. Può essere questa la porta stretta ben precisa, una specie di ultima occasione per il Paese, una passaggio stretto tra Scilla -le risorse finanziarie- e Cariddi -la conoscenza, la comprensione del ‘funzionamento’ del sistema paese, le competenze e l’organizzazione in cui questa conoscenza si incarna. Col senno di poi e con qualche considerazione più seria ci si poteva immaginare, dopo il primo lockdown, che si avviasse un processo socialmente condiviso  di elaborazione di un processo di trasformazione, ma ci si è fermati agli stati generali, alla task-force di Colao.

In un paese in cui l’intervento pubblico nell’organizzazione sociale e nell’economia è stato progressivamente ridotto ai minimi termini -la situazione della sanità ne è l’esempio più lampante- dove il grado di scolarizzazione è tra i più bassi d’Europa così come le risorse dedicate alla ricerca… ebbene in un tale Paese il ricorso agli ESPERTI costituisce la mossa del cavallo, uno spostamento laterale ed in avanti che dovrebbe superare tutte le difficoltà. Il ricorso agli esperti è stato denunciato come una rinuncia della politica, un accentramento dei poteri nella presidenza del consiglio, in realtà è la conseguenza della disgregazione di questo paese, della perdita di coesione, di integrazione tra i diversi livelli e funzioni del sistema-paese. Il richiamo all’intervento pubblico invocato da più parti si scontra con la riduzione ai minimi termini di quell’apparato, della sua capacità di integrare le conoscenze più diverse sulla formazione sociale.

Siamo all’ennesima resa dei conti sul funzionamento reale della democrazia in un contesto in cui l’evoluzione ipertecnologica della globalizzazione neo-liberista -parlando per formule- incontra la faglia della crisi pandemica. Non è messa in discussione solo la sua legittimazione, ma più concretamente la sua efficacia, la sua capacità di governare la crisi uscendo contemporaneamente dalla stagnazione. La democrazia della rete propugnata dalla coppia Grillo-Casaleggio ha coniugato una banalizzazione del problema di regolare e costruire processi decisionali basati su una ampia e diffusa condivisione della conoscenza con l’esaltazione – che oggi va sotto l’attributo di populista- del discredito e della perdita di legittimità della classe politica: oggi siamo al ricorso agli esperti, che peraltro si coniuga con il proliferare dei COMMISSARI, altra figura mitica generata dalle EMERGENZE.

Le emergenze nel nostro paese più che richiamare il concetto dello stato di eccezione foriero di cambi profondi nel governo della società -dalla costituzione materiale a quella formale- sono ormai il modo con cui si presenta l’incapacità di affrontare la normalità il cui andamento non è quello di una curva continua, ma un grafico con salti discontinuità.  Fratture, cesure, discontinuità sono nell’ordine delle cose come i terremoti, le pandemie e le crisi finanziarie, come ci dice la storia ed un’ampia letteratura. Normalità sono le diseguaglianze che si sono accumulate nei decenni che nei momenti di crisi esplodono. La nostra società è sclerotizzata nella sua struttura fondamentale, nelle sue funzioni di governo nonostante sia investita come tutte le altre dai cambiamenti tecnologici della rivoluzione digitale permanente.

La conclusione di queste osservazioni riguarda allora il processo di costruzione, aggregazione  e condivisione delle conoscenze come processo fondamentale per il governo della nostra società , dove la condivisione non è semplicemente l’elargizione di briciole di conoscenza da parte degli esperti, degli ottimati del sapere al cittadino comune, ma al contrario un processo sociale di produzione di quelle conoscenze fondato sulla loro circolazione orizzontale e verticale entro un processo di apprendimento  sia istituzionalizzato che innovativo nelle forme. Parliamo di processi materiali, nella accezione sociale del termine, possibili solo se i rapporti di forza, le diseguaglianze, le forme di proprietà e redistribuzione della ricchezza prodotta mutano.

Nel concreto oggi sulla appropriazione della conoscenza -i dati di realtà e la possibilità di riconoscerli reinterpretarli- si deve aprire un conflitto fondamentale, come sta avvenendo, ma deve avvenire ancora di più sui dati ed il governo della pandemia. Un conflitto sulla conoscenza che fonda, struttura e legittima ogni altra rivendicazione sociale: verità e giustizia ovunque e comunque. Così è stato nel nostro paese quando l’esplosione del conflitto sociale nel processo di industrializzazione, urbanizzazione e scolarizzazione di massa si è intrecciato con un formidabile processo di alfabetizzazione culturale e politica, che ha permesso a milioni di operai di riconoscere le strutture dello sfruttamento, a milioni di operai e di studenti demistificare la neutralità della scienza e delle tecnologie, portando la critica nel cuore del processo di produzione delle conoscenze.

Possiamo immaginare un processo socialmente condiviso di costruzione di un progetto di trasformazione?

Ci sono diverse proposte la prima è la costruzione della rete ‘Per la società della cura contro la società del profitto’ poi l’appello dell’ANPI ‘ che chiama a ‘Una grande alleanza democratica, antifascista per la persona, il lavoro e la socialità a cui risponde positivamente anche il M5S con Vito Crimi, proposte che presentano una differenziazione rispetto al carattere più o meno istituzionale dei soggetti.  Tuttavia il processo di costruzione del progetto ha bisogno di una ampiezza, una struttura, un radicamento una capacità di mobilitazione di ben altra dimensione.

Il livello istituzionale della crisi, le fibrillazioni a livello partitico e parlamentare possono essere irrilevanti, la posta in gioco è la partecipazione alla direzione del gioco, confermando in realtà l’idea di una ‘cabina di regia’, formale e informale che sia, del grande gioco dei recovery plan a cui i diversi attori politici vogliono partecipare. Se la scelta del presidente del consiglio Conte, un ex-outsider della politica, esprime un giudizio sulla capacità degli apparati di Stato di rispondere alla crisi a partire dal vertice dei poteri esecutivo e legislativo, non si è dovuta certo confrontare con un pieno di proposte e ciò nonostante la crisi sia nata nel mese di marzo, nonostante la drammatica ripresa autunnale. D’altra parte affrontare la questione ambientale e climatica, la rivoluzione digitale, il ripiano delle diseguaglianze sociali e di genere, la ricostruzione della struttura sanitaria significa operare un vero proprio ribaltamento della formazione sociale, che va ben oltre il guadagno di due punti percentuali di crescita del PIL o poco più. La posta in gioco quindi non sono solo interventi settoriali, è in gioco forma e sostanza dello Stato e della società: in alternativa poco cambierà, nonostante la pioggia di miliardi di euro. D’altra parte passare dalla società del profitto a quella della cura richiede una vera e propria rivoluzione per quanto sui tempi lunghi, viste le condizioni di partenza. Come si dice volgarmente le chiacchiere stanno a zero, ne riparliamo.

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