Nelle ultime settimane, la retorica della Casa Bianca si è sempre più incentrata sulla prevenzione dell’espansione della guerra nella regione mediorientale. Ma le azioni dell’amministrazione Biden nello Yemen, nel Mar Rosso e in altri Paesi del Medio Oriente stanno avendo esattamente l’effetto opposto. L’esercito americano sta attaccando Yemen, Iraq e Siria, mentre Israele bombarda Gaza, Libano e Siria. Entrambi minacciano l’Iran che guida un Asse della Resistenza formato da attori non statali attivi nella regione. È in arrivo una grande guerra in Medio Oriente? Se c’è un fattore indispensabile in questo ambiente internazionale in rapida evoluzione, è la necessità di cooperazione e diplomazia globali – iniziando con un appello per un cessate il fuoco immediato per fermare il massacro a Gaza. Le principali sfide internazionali riguardano la stabilità strategica; la proliferazione delle armi convenzionali; il terrorismo internazionale; le diseguaglianze economiche e il cambiamento climatico, ma Stati Uniti e Israele pensano solo a combattere vecchie e nuove guerre di sterminio e conquista.
La brutale guerra che Israele sta conducendo contro Gaza (e i palestinesi della Cisgiordania; circa 360 le persone uccise dal 7 di ottobre) sta diventando sempre più un grande conflitto regionale. Da ottobre, gli Stati Uniti e Israele hanno bombardato non solo Gaza, ma anche Libano, Iraq, Siria e Yemen.
La decisione di Biden di espandere la guerra al Mar Rosso due settimane fa era prevedibile in considerazione degli schieramenti navali nella regione e degli interessi economici in gioco, ma è improbabile che abbia un impatto favorevole sulle azioni e sulle politiche dello Yemen e degli Houthi che l’amministrazione Biden ha designato la scorsa settimana come organizzazione terroristica.
A partire da poco dopo l’inizio dell’assalto israeliano a Gaza all’inizio di ottobre, i militanti Houthi dello Yemen hanno lanciato una serie di attacchi missilistici dapprima contro navi commerciali israeliane o dirette in Israele e poi contro qualsiasi nave considerata espressione di entità ostili, nelle rotte marittime all’interno e attorno al Mar Rosso e allo stretto di Bab el-Mandeb che collega il Mediterraneo (via Suez) con il Golfo di Aden e quindi con l’Oceano Indiano, con l’obiettivo di costringere Israele a un cessate il fuoco incondizionato a Gaza1.
Israele non è intervenuto contro gli Houthi, ma ci ha pensato il suo alleato statunitense. Gli Stati Uniti e i loro alleati e partner (come il Regno Unito) hanno condotto e stanno conducendo attacchi unilaterali, bypassando completamente l’ONU, che potrebbero portare a una guerra più ampia che potrebbe arrivare a coinvolgere Hezbollah al confine settentrionale di Israele e forse anche l’Iran2.
La guerra lanciata dall’“asse della resistenza” contro Israele e gli Stati Uniti vede la presenza di una coalizione di attori non statali ideologicamente allineati, militarmente interdipendenti, impegnati nella mutua difesa, che è venuta collettivamente in difesa di un altro attore non statale, vale a dire Hamas. Guidato dall’Iran, l’asse comprende le milizie siriane, i gruppi palestinesi Hamas e Jihad islamica, gli Hezbollah libanesi, le Unità di mobilitazione popolare irachene (PMU) come le milizie Kataib Hezbollah e Harakat al-Nujaba, e gli Houthi dello Yemen. Tutti questi attori hanno una loro autonomia operativa secondo logiche e dinamiche “fortemente imperniate sulle rispettive agende nazionali”, però sottoscrivono un’agenda antimperialista e antisionista, con la causa palestinese come punto focale. Condividono due obiettivi comuni: costringere Israele a un cessate il fuoco incondizionato a Gaza ed espellere le truppe statunitensi dall’Iraq e dalla Siria. Così gli Houthi affermano che stanno prendendo di mira Israele e i suoi alleati occidentali a sostegno dei palestinesi di Gaza nel prendere di mira le navi che fanno rotta nel Mar Rosso. E non c’è stato alcun segno che i loro attacchi alle navi siano rallentati dopo la prima ondata di attacchi anglo-americani.
Da quando Hamas ha attaccato Israele il 7 ottobre, il presidente Biden si è presentato come uno statista umiliato e illuminato dai passi falsi del suo Paese dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001. “Mentre sentite quella rabbia”, ha consigliato agli israeliani, “non siatene consumati”. In pubblico, pur esortando Israele a rispettare le leggi di guerra, Biden ha dichiarato un convinto sostegno all’azione militare israeliana che in 110 giorni ha causato la morte di oltre 25.500 palestinesi (per l’80% bambini e donne), ha sfollato quasi 2 milioni di persone e ridotto gran parte di Gaza in rovina. Sostenendo Israele incondizionatamente e non difendendo i diritti dei palestinesi, ha reso gli Stati Uniti complici di qualunque cosa Israele abbia fatto in questi 110 giorni3. Secondo Le Monde Diplomatique la guerra delle forze militari israeliane contro Gaza, successiva all’attacco di Hamas del 7 ottobre, è “la prima guerra israeliana in cui Washington è cobelligerante”, considerando che gli Stati Uniti sostengono apertamente l’obiettivo proclamato della guerra e hanno bloccato le richieste di cessate il fuoco alle Nazioni Unite, il tutto fornendo armi e munizioni a Israele e agendo per dissuadere altri attori regionali dall’intervenire nel conflitto per aiutare Hamas. I costi, in termini di prestigio e potere americano, si sono già rivelati notevoli. E potrebbe andare molto peggio. Gli Stati Uniti si ritrovano a seguire l’esempio di Israele in una guerra brutale di durata, costi e conseguenze indeterminati.
Ora, inoltre, il governo degli Stati Uniti sta addirittura minacciando di guerra l’Iran4. Il presidente Joe Biden ha inviato un messaggio privato al governo iraniano mentre l’esercito americano bombardava lo Yemen il 12-13 gennaio. Ha detto minacciosamente: “Siamo fiduciosi, siamo ben preparati”.
Mentre ciò accade, il Sudafrica ha presentato il caso alla Corte internazionale di giustizia, la massima autorità giudiziaria delle Nazioni Unite, che accusa Israele di aver commesso un genocidio contro il popolo palestinese5. Il caso del Sudafrica ha raccolto il sostegno di dozzine di Paesi in tutto il Sud del mondo6. Pieno sostegno all’iniziativa del Sudafrica presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aja, insieme ad un’indicazione forte per il cessate il fuoco a Gaza, è arrivato sabato da Kampala, in Uganda, a conclusione del 19esimo summit del Movimento dei Paesi Non Allineati, in cui la guerra nella Striscia è stata al centro dell’attenzione. Nella «Dichiarazione di Kampala», i 120 Paesi membri dell’organizzazione – in rappresentanza di oltre il 55% della popolazione mondiale – chiedono sì la fine del conflitto attraverso un immediato cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi, ma esprimono anche il pieno supporto all’accusa rivolta dal Sudafrica a Israele di praticare politiche deliberatamente genocidiarie.
Questo caso ha spaventato Israele e i suoi sponsor a Washington. A quanto pare stanno cercando di espandere il conflitto in una guerra regionale, per cercare di conquistare più simpatia e distogliere l’attenzione da quello che il Sudafrica e molti Paesi hanno definito un genocidio a Gaza.
In effetti, i massimi esperti delle Nazioni Unite avvertono proprio questo da mesi: che il popolo palestinese corre “il rischio di genocidio a Gaza” e che c’è stata “un’incapacità del sistema internazionale di mobilitarsi per prevenire il genocidio”.
Il Financial Times ha riferito a dicembre che, in soli due mesi di bombardamenti israeliani, Gaza è diventata una delle aree più pesantemente bombardate della storia umana.
Ora che Israele deve affrontare l’accusa formale di genocidio all’Aja, molti funzionari di Washington sono preoccupati, perché gli Stati Uniti sono direttamente complici dei crimini di guerra che Israele sta commettendo.
L’amministrazione Biden ha inviato miliardi di dollari in armi e aiuti militari a Israele. In effetti, il Dipartimento di Stato americano ha scavalcato il Congresso due volte, utilizzando misure di emergenza per inviare armi a Israele. Ciò è piuttosto strano, perché il Congresso è pieno di persone che sostengono fortemente Israele e senza dubbio avrebbero approvato queste spedizioni di armi. Questo sembra indicare che il governo degli Stati Uniti non vuole nemmeno un dibattito su queste spedizioni di armi. Washington è preoccupata per le persone che concentrano la loro attenzione sulla sua complicità nell’armare Israele. Quindi sta semplicemente scegliendo di farlo in silenzio, senza l’approvazione del Congresso7.
E gli Stati Uniti sono coinvolti in questo conflitto in molti altri modi, non semplicemente armando Israele. In effetti, l’esercito americano conta 57mila effettivi di stanza in tutto il Medio Oriente. Questi sono solo i dati relativi al personale militare statunitense resi pubblici. È probabile che gli Stati Uniti dispongano anche di forze per operazioni speciali segrete che non sono incluse tra questi 57mila8.
Gli USA attaccano lo Yemen
In pochi mesi gli Stati Uniti hanno bombardato Yemen, Iraq e Siria. Il 12 gennaio gli Stati Uniti hanno lanciato attacchi aerei contro decine di obiettivi nello Yemen9. Questo lunedì gli Houthi hanno rivendicato la responsabilità di un attacco missilistico contro la nave da carico militare americana Ocean Jazz nel Golfo di Aden, vicino al Mar Rosso. La società britannica di sicurezza marittima Ambrey ha confermato che la nave menzionata dagli Houthi era stata noleggiata dall’esercito americano ed è la quarta nave americana bombardata nell’ultima settimana. In risposta, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno condotto un’ulteriore serie di attacchi in “legittima difesa”, “un ulteriore round di attacchi proporzionati e necessari” contro otto obiettivi Houthi per “interrompere e degradare le [loro] capacità”, con il sostegno di Australia, Bahrein, Canada e Paesi Bassi10. Mohammed Albukhaiti, membro del consiglio di governo degli Houthi, ha insistito sul fatto che l’organizzazione continuerà a sfidare l’Occidente: “L’aggressione americano-britannica non farà altro che aumentare la determinazione del popolo yemenita ad adempiere alle proprie responsabilità morali e umanitarie nei confronti degli oppressi di Gaza. La guerra oggi è tra lo Yemen, che sta lottando per fermare i crimini di genocidio, e la coalizione americano-britannica che sostiene e protegge i suoi autori”.
Il New York Times li ha definiti attacchi statunitensi contro la cosiddetta “milizia Houthi”, “il gruppo militante sostenuto dall’Iran” nello Yemen11. Ma questo è molto fuorviante. Gli “Houthi”, ufficialmente conosciuti come Ansar Allah (sostenitori di Dio), sono un’organizzazione sciita yemenita indigena che da decenni si contende il potere nello Yemen e che oggi rappresentano il governo della maggioranza della popolazione yemenita (dalla capitale Sanaa controllano il governo, i ministeri, la banca centrale e l’esercito). Ciò è stato riconosciuto anche dal think tank mainstream di Washington, DC, la Brookings Institution. Nel 2023 ha pubblicato un articolo di un ex analista della CIA, Bruce Riedel, il quale ammetteva che “gli Houthi hanno creato un governo funzionante”, che “include rappresentanti di altri gruppi”. “Circa il 70-80% degli yemeniti vive sotto il controllo degli Houthi”, ha scritto Riedel. Ha ammesso che Ansar Allah ha avuto origine nello Yemen, opponendosi all’invasione statunitense dell’Iraq e alle successive guerre e politiche interventiste di Washington in tutto il Medio Oriente. Alla Brookings, l’ex analista della CIA ha confessato che gli Stati Uniti hanno sostenuto per sei anni una “guerra di terra bruciata guidata da un vicino che la maggior parte degli yemeniti odia”, vale a dire l’Arabia Saudita. Ha aggiunto: “Attacchi aerei, blocchi e fame di massa intenzionale sono le caratteristiche di una guerra che gli Stati Uniti hanno sostenuto”.
Nei giorni scorsi anche il New York Times ha scritto che le analisi di Washington non hanno fatto emergere elementi che dimostrino il controllo degli Houthi da parte iraniana.
Le Nazioni Unite hanno stimato che la guerra di Stati Uniti, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti abbia ucciso almeno 377.000 yemeniti dal 2015 alla fine del 2021. Così, quando lo scorso gennaio gli Stati Uniti hanno lanciato dozzine di attacchi all’interno dello Yemen, Washington stava continuando una guerra che conduceva contro il governo de facto yemenita da quasi nove anni. I cosiddetti “Houthi” non sono solo una “milizia”; stanno guidando un governo.
E mentre in precedenza erano l’Arabia Saudita e gli Emirati a bombardare incessantemente le aree civili dello Yemen (utilizzando aerei e bombe di fabbricazione statunitense, con l’intelligence e l’assistenza mirata del Pentagono), ora sono gli Stati Uniti che stanno eliminando gli intermediari e attaccando lo Yemen direttamente.
Inoltre, il New York Times ha riconosciuto nel suo rapporto sugli attacchi aerei dell’amministrazione Biden che Ansar Allah ha “accolto con aperta gioia la prospettiva di una guerra con gli Stati Uniti”. Uno dei leader più importanti di Ansar Allah ha detto in un discorso televisivo: “Noi, il popolo yemenita, non siamo tra coloro che hanno paura dell’America. Ci sentiamo bene con uno scontro diretto con gli americani”.
Come se ciò non bastasse, dopo che questo importante leader yemenita ha dichiarato pubblicamente che il suo Paese è pronto a combattere contro gli Stati Uniti, il giorno dopo, il 12 gennaio, gli Stati Uniti hanno lanciato nuovamente attacchi aerei contro lo Yemen. Altri attacchi statunitensi e britannici ci sono stati negli ultimi dieci giorni, gli ultimi la notte scorsa in cui l’esercito americano sostiene di aver distrutto due missili antinave Houthi puntati sul Mar Rosso.
Mentre gli Houthi promettono di continuare a combattere, gli Stati Uniti si preparano per una campagna prolungata dopo che oltre 10 giorni di attacchi non sono riusciti a fermare gli attacchi missilistici del gruppo al commercio marittimo. I funzionari statunitensi affermano di non aspettarsi che le operazioni nello Yemen durino anni, ma riconoscono che non è chiaro quando la capacità militare del gruppo sarà sufficientemente erosa. Non vi è alcuna indicazione che Biden intenda chiedere l’autorizzazione del Congresso per la campagna militare statunitense in corso e a tempo indeterminato nello Yemen, respingendo le richieste dei legislatori democratici e repubblicani che affermano che le ostilità con gli Houthi sono incostituzionali e aumentano il rischio di una guerra regionale totale. Biden ha formalmente notificato al Congresso l’ultimo round di attacchi aerei statunitensi sullo Yemen un giorno dopo averli lanciati all’inizio di questo mese.
Due Navy Seals statunitensi sono stati dichiarati morti dopo un raid dell’11 gennaio volto a sequestrare armi iraniane destinate agli Houthi. Secondo l’esercito americano, i due militari della USS Lewis Puller sono finiti in mare durante una missione al largo della Somalia per sequestrare armi iraniane a bordo di un dhow di notte in mare agitato.
Il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita ha espresso preoccupazione per il fatto che le tensioni nel Mar Rosso a causa degli attacchi Houthi e dei contrattacchi statunitensi potrebbero andare fuori controllo. “Voglio dire, ovviamente, siamo molto preoccupati“, ha detto il principe Faisal bin Farhan alla CNN “Fareed Zakaria GPS” in un’intervista andata in onda domenica. “Ci troviamo in un momento molto difficile e pericoloso nella regione, ed è per questo che chiediamo una riduzione della tensione“.
Riferendosi al secondo attacco americano, il New York Times ha commentato: “Gli attacchi arrivano nel contesto dei timori di una più ampia escalation del conflitto in Medio Oriente“. Questa descrizione è abbastanza eufemistica. In realtà, gli Stati Uniti stanno creando un conflitto più ampio nella regione espandendo la guerra e attaccando non solo lo Yemen, ma anche l’Iraq e la Siria.
A questo proposito, lunedì 22 gennaio Germania, Francia e Italia, con l’assenso del Consiglio Europeo, hanno deciso di varare una missione navale “difensiva” nel Mar Rosso – Aspides – a sostegno di quelle USA e britanniche per “difendere seriamente” (con precise regole di ingaggio) le navi che riforniscono l’Europa (proteggere “la libera circolazione del commercio”). Una decisione che andrà ratificata dai rispettivi parlamenti, dopo di che ci sarà la partenza vera e propria (alla fine di febbraio, quando potranno forse aggiungersi anche Portogallo, Danimarca, Grecia, Olanda e Belgio). Un chiaro allargamento del conflitto nell’area mediorientale che completa lo schieramento militare imperialistico occidentale nella regione. Un risoluto rifiuto a percorrere la strada della diplomazia e un attacco illegale dello Yemen in modo che Israele possa continuare ad attaccare illegalmente Gaza e compiere il genocidio dei palestinesi.
Gli USA attaccano l’Iraq
Il 4 gennaio l’amministrazione Biden ha compiuto un atto di guerra contro l’Iraq. Il New York Times ha riferito che gli Stati Uniti hanno lanciato un attacco con droni nella capitale Baghdad. Un portavoce del governo iracheno ha definito questa “una flagrante violazione della sovranità e della sicurezza dell’Iraq”. Ha definito l’attacco statunitense “non diverso da un atto terroristico”.
Gli Stati Uniti hanno preso di mira una milizia irachena conosciuta come Harakat al-Nujaba. Questa organizzazione fa parte del governo iracheno, ha ammesso il New York Times, scrivendo che “rimane parte delle Forze di mobilitazione popolari irachene, un’organizzazione di sicurezza che è a sua volta parte delle più ampie forze di sicurezza del governo”. Quindi gli Stati Uniti hanno attaccato le forze di sicurezza irachene. Tuttavia, nel 2019, l’amministrazione Trump aveva dichiarato questa istituzione statale irachena una cosiddetta organizzazione “terroristica”. E ora l’amministrazione Biden continua la politica di Trump di attaccare il governo iracheno.
In risposta all’assalto di Washington al suo Paese, il primo ministro iracheno, Mohammed Shia al-Sudani, ha pubblicamente chiesto che le truppe straniere guidate dagli Stati Uniti nel suo Paese se ne vadano. Le truppe statunitensi (ora circa 2.500 unità) hanno costantemente occupato l’Iraq dall’invasione illegale del 2003. La guerra statunitense ha attraversato varie fasi, ma sostanzialmente non è mai finita.
Va sottolineato che al-Sudani non è affatto un capo di un partito anti-americano. Nella politica irachena ci sono molti politici anti-americani, ma lui non è uno di loro. Ma anche lui ora afferma pubblicamente che Washington deve smettere di occupare e attaccare il suo Paese e che le sue truppe devono andarsene.
Tuttavia, il sito web Breaking Defense, vicino al Pentagono, ha risposto ai commenti di al-Sudani riportando: “Nonostante l’appello del primo ministro iracheno, le truppe americane probabilmente non lasceranno l’Iraq tanto presto”. Ha citato analisti statunitensi con accesso interno. Quindi questo è essenzialmente il riconoscimento che gli Stati Uniti mantengono un’occupazione neocoloniale dell’Iraq.
Questa non è la prima volta che ciò accade. Nel gennaio 2020, Donald Trump ha ordinato l’assassinio del generale iraniano Qassem Soleimani e dell’alto funzionario della sicurezza irachena Abu Mahdi Al-Muhandis. Quest’ultimo era un comandante delle Forze di mobilitazione popolare, che fanno ufficialmente parte del governo iracheno, e che sono state assolutamente determinanti nella guerra contro l’Isis.
Questi leader, Soleimani e al-Muhandis, erano due delle persone più importanti nella lotta per sconfiggere l’Isis. Trump li ha assassinati entrambi in un palese atto di guerra, non solo contro l’Iran, ma anche contro l’Iraq. In risposta a questo atto di guerra degli Stati Uniti, il parlamento democraticamente eletto dell’Iraq (che ironicamente è stato creato dagli Stati Uniti) ha votato per espellere le truppe statunitensi che occupano il Paese. Trump disse no, rifiutandosi di andarsene e ha poi minacciato di imporre sanzioni all’Iraq.
Diverse truppe americane della base aerea di Ain al-Asad in Iraq sono state valutate per lesioni cerebrali traumatiche sabato sera dopo che la loro base aerea nella parte occidentale del Paese è stata colpita da pesanti lanci di razzi e missili da parte di quelli che secondo funzionari americani erano militanti sostenuti dall’Iran. Due dei 17 stimati razzi e missili balistici a corto raggio lanciati contro la base sono riusciti a superare i sistemi di difesa aerea.
In risposta, gli Stati Uniti hanno effettuato attacchi in Iraq contro tre obiettivi: le strutture della milizia Kataib Hezbollah a Jurf al-Sakhar, a sud di Baghdad, al-Qaim e un altro sito senza nome nell’Iraq occidentale, uccidendo almeno due militanti e ferendo quattro persone. Il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha affermato che gli attacchi sono una rappresaglia per gli attacchi missilistici e di droni contro le truppe statunitensi in Iraq e Siria negli ultimi giorni.
Ma un alto funzionario iracheno ha affermato che si trattava di una “flagrante violazione della sovranità dell’Iraq“. Il consigliere per la sicurezza nazionale iracheno Qassem al-Aaraji ha aggiunto che gli attacchi statunitensi non aiutano a riportare la calma. Scrivendo su X, ha affermato che “gli Stati Uniti dovrebbero aumentare le pressioni per fermare l’offensiva israeliana a Gaza piuttosto che prendere di mira e bombardare le basi di un corpo nazionale iracheno” (riferendosi all’alleanza degli ex gruppi paramilitari sostenuti dall’Iran, Hashed al-Shaabi – la forza di mobilitazione popolare -, che ora è integrata nelle forze armate regolari).
L’attacco contro la base aerea di Ain al-Asad è stato solo l’ultimo di circa 150 attacchi missilistici contro le truppe statunitensi di base in Iraq e Siria negli ultimi mesi. Il numero di attacchi contro le truppe americane in Medio Oriente aumenta il rischio di morti statunitensi, una linea rossa che potrebbe portare a una guerra più ampia. Presto Biden potrebbe dover affrontare un dilemma: non fare nulla e l’America apparirebbe debole; pesanti ritorsioni e il presidente rischierebbe una nuova guerra aperta in un anno elettorale.
La propaganda mediatica fuorviante sui gruppi “sostenuti dall’Iran”
Nonostante le politiche palesemente neocoloniali del governo degli Stati Uniti, la copertura mediatica occidentale dell’Iraq dipinge essenzialmente la situazione come se l’Iran avesse segretamente il controllo del Paese.
Quando gli Stati Uniti compiono atti di guerra contro l’Iraq, uccidendo funzionari iracheni che fanno parte dell’apparato di sicurezza dello Stato iracheno, i media occidentali descrivono in modo fuorviante questi funzionari iracheni assassinati come “comandanti militari filo-iraniani”.
Questa retorica propagandistica ricorda il modo in cui i media occidentali si riferiscono invariabilmente agli Houthi dello Yemen, Ansar Allah, come “sostenuti dall’Iran”, cercando di dipingerli come delegati iraniani12. Lo stesso vale per il gruppo di resistenza indigeno libanese Hezbollah. Ciò è parte integrante della narrativa propagandistica dei media occidentali che cerca di giustificare gli atti di guerra e le politiche neocoloniali degli Stati Uniti contro i governi sovrani in tutto il Medio Oriente.
Il governo iraniano ha chiarito di non avere alcun interesse in una guerra diretta con gli Stati Uniti o con Israele — e che le forze nel mondo arabo che sostiene nello Yemen e altrove non operano agli ordini di Teheran. Certo è che gli atti tra Israele e Iran potrebbero far pensare che oramai la linea rossa tra i due Stati sia stata superata da entrambi e quindi l’Iran potrebbe avere messo fine a quello che chiamava “pazienza strategica” per non essere trascinata in un confronto militare aperto con Israele.
Gli USA attaccano la Siria
Un altro chiaro esempio di ciò sono i recenti attacchi statunitensi in Siria. A novembre, le forze armate statunitensi hanno lanciato attacchi aerei sul territorio sovrano siriano. La BBC ha riferito di questo atto di guerra illegale degli Stati Uniti scrivendo: “Gli attacchi aerei statunitensi colpiscono più basi appoggiate dall’Iran in Siria”. Il doppio standard è abbastanza chiaro se si considera come questi stessi media occidentali non oseranno mai riferirsi agli attacchi dei gruppi palestinesi contro le forze militari israeliane come attacchi contro “forze filo-americane” nelle “basi sostenute dagli Stati Uniti”. Infatti, come documentato dal Geopolitical Economy Report, gli Stati Uniti stanno mantenendo un’occupazione militare illegale della Siria, e in particolare del territorio nazionale ricco di petrolio, dove viene prodotta anche gran parte del grano. La politica dichiarata dai funzionari statunitensi è quella di privare il governo siriano delle entrate di cui ha bisogno per ricostruire il Paese dopo che un decennio di guerra alimentata dagli Stati Uniti lo ha devastato. A dicembre è stata presentata al Senato una risoluzione che chiedeva il ritiro delle truppe statunitensi che occupavano i giacimenti petroliferi siriani. Non è riuscita a passare con un voto di 13 a 84.
Israele attacca la Siria
Mentre gli Stati Uniti bombardano Yemen, Iraq e Siria, anche Israele attacca diversi Paesi della regione. Negli ultimi tre mesi Israele ha anche colpito ripetutamente obiettivi in Siria. Nel mese di ottobre, Israele ha ripetutamente bombardato gli aeroporti in Siria, sia ad Aleppo che a Damasco, uccidendo soldati siriani. A gennaio, Israele ha lanciato molti altri attacchi contro la Siria.
E ancora una volta, i media occidentali hanno descritto in modo fuorviante questi atti di guerra israeliani come “attacchi contro obiettivi legati all’Iran in Siria”. I media occidentali cercano di dare tutta la colpa all’Iran, lasciando intendere che Teheran controlli tutti questi governi, quando in realtà sono gli Stati Uniti e Israele ad essere in guerra con molti Stati sovrani nella regione.
Sabato 20 gennaio, un attacco nella capitale siriana, Damasco, ha ucciso il capo dello spionaggio per la Siria delle Guardie rivoluzionarie iraniane e altri tre membri della guardia, distruggendo un edificio di quattro piani in un quartiere strettamente sorvegliato, mentre un secondo attacco nel sud del Libano ha ucciso due persone.
Israele ha lanciato centinaia di attacchi aerei durante più di un decennio di guerra civile in Siria, prendendo di mira principalmente le forze appoggiate dall’Iran e le posizioni dell’esercito siriano. L’attacco israeliano di sabato è stato il secondo omicidio mirato di questo tipo in Siria in meno di un mese. A dicembre, un attacco aereo israeliano ha ucciso un alto generale iraniano. Israele raramente commenta gli attacchi individuali contro la Siria, ma ha ripetutamente affermato che non permetterà all’Iran, che sostiene il governo del presidente Bashar al-Assad, di espandere la sua presenza nel Paese. Gli analisti israeliani hanno parlato di una “guerra su più fronti”, con operazioni di combattimento in Siria, Libano, Cisgiordania occupata e Gaza contro quella che descrivono come una coalizione di nemici dedita alla distruzione dello Stato ebraico.
Israele attacca il Libano
Israele ha anche ripetutamente attaccato il suo vicino, il Libano. Amnesty International ha riconosciuto che Israele ha attaccato il sud del Libano con il fosforo bianco, un’arma terribile che è vietata da molti Paesi. Amnesty International ha sottolineato che Israele ha ucciso civili libanesi in attacchi illegali e “indiscriminati”.
Ma Israele non sta attaccando soltanto il sud del Libano; ha anche effettuato attacchi con droni all’interno di Beirut, la capitale del Paese13.
Il gruppo di resistenza libanese Hezbollah ha difeso a lungo la sovranità del Paese, espellendo Israele nel 2000, dopo che il regime coloniale israeliano aveva effettuato un’occupazione militare illegale del Libano per 15 anni.
Hezbollah ha affermato che gli attacchi israeliani nella capitale Beirut superano la linea rossa e rischiano di innescare una guerra regionale più ampia.
Stati Uniti e Israele minacciano di guerra l’Iran
Mentre i media occidentali avvertono che gli attacchi statunitensi e israeliani ai Paesi della regione “sollevano lo spettro di una guerra regionale più ampia”, la realtà è che Washington e Tel Aviv sono già in guerra con Yemen, Iraq, Siria e Libano.
È ovvio che l’obiettivo principale delle guerre neocoloniali statunitensi e israeliane in Medio Oriente è l’Iran. Ciò è stato confermato da un ex generale militare americano e comandante della NATO, Wesley Clark, che rivelò nel 2007 che, dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, Washington aveva pianificato di rovesciare i governi di sette Paesi della regione in cinque anni. In un’intervista con Amy Goodman, conduttrice di Democracy Now, Clark ha affermato che gli Stati Uniti avevano in programma “di eliminare i governi in sette Paesi in cinque anni, a cominciare dall’Iraq, e poi Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan e, per finire, l’Iran”.
Tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, il governo degli Stati Uniti ha reso chiaramente questo collegamento in dichiarazioni pubbliche. Washington ha pubblicamente incolpato l’Iran per aver lanciato attacchi da parte di Ansar Allah nello Yemen contro le navi nel Mar Rosso dirette in Israele, per aver fornito sostegno a Tel Aviv mentre commette crimini di guerra e affronta l’accusa di genocidio all’Aja.
Un alto funzionario americano ha affermato che “l’Iran è il maggiore, se non il principale facilitatore, sostenitore o sponsor degli Houthi”, e il governo degli Stati Uniti ha affermato che l’Iran è “coinvolto in ogni fase” di ciò che il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha definito “attacchi illegali, pericolosi e destabilizzanti contro navi statunitensi e internazionali e navi mercantili”. I falchi belligeranti di Washington stanno sfruttando questa opportunità per invocare apertamente una guerra israelo-americana contro l’Iran.
John Bolton, l’estremista neoconservatore che ha servito come Consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump ed è stato uno degli artefici della guerra in Iraq sotto l’ex presidente George W. Bush, ha pubblicato un articolo sul quotidiano conservatore britannico The Telegraph intitolato “L’Occidente potrebbe ora non avere altra scelta se non quella di attaccare l’Iran”.
Bolton ha lanciato un appello alla guerra contro l’Iran il 28 dicembre. Probabilmente lo aveva coordinato con l’ex primo ministro israeliano, Naftali Bennett, che lo stesso giorno ha pubblicato un editoriale sul Wall Street Journal intitolato “Gli Stati Uniti e Israele devono attaccare direttamente l’Iran”. Nel suo articolo, Bennett si vantava del fatto che, quando era primo ministro, Israele avesse effettuato numerosi attacchi sul suolo iraniano. Ha anche ammesso che Tel Aviv ha assassinato funzionari iraniani. Bennett ha invitato a “dare potere all’opposizione interna [in Iran], garantire la continuità di Internet durante le rivolte contro il regime, rafforzare i suoi nemici, aumentare le sanzioni e le pressioni economiche”. Nel suo ultimo paragrafo, Bennett ha affermato senza mezzi termini: “Gli Stati Uniti e Israele devono fissare l’obiettivo chiaro di abbattere il malvagio regime dell’Iran”.
Usando il linguaggio coloniale, l’ex primo ministro israeliano ha dichiarato che il cosiddetto “mondo civilizzato” deve rovesciare il governo iraniano. Questo è chiaramente l’obiettivo verso cui tutto ciò si sta dirigendo: alcuni funzionari bellicosi negli Stati Uniti e nel governo israeliano non vogliono solo una guerra regionale più ampia, ma più specificamente una guerra totale contro l’Iran.
Molti di questi imperialisti intransigenti di Washington hanno sbavato per molti anni all’idea di una guerra con Teheran. Nel 2015, Bolton scrisse un articolo per il New York Times intitolato semplicemente “Per fermare la bomba iraniana, bombardare l’Iran”.
Infatti, Michael Freund, ex portavoce dell’attuale primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha pubblicato questo gennaio un editoriale sul Jerusalem Post intitolato “L’Iran è già in guerra con Israele e gli Stati Uniti”. In questo articolo, ha insistito sul fatto che “Israele e l’America devono agire adesso”, invocando la guerra con Teheran14.
Il 3 gennaio c’è stato un attacco terroristico contro i civili nella città iraniana di Kerman. Più di 90 iraniani sono stati uccisi durante un evento che commemorava l’anniversario dell’assassinio di Qassem Soleimani, il massimo generale iraniano, da parte dell’amministrazione Trump. I media occidentali hanno affermato che l’attacco è stato effettuato dall’Isis. Funzionari dell’intelligence iraniana hanno affermato che uno dei terroristi che hanno piazzato le bombe che hanno ucciso almeno 94 civili aveva nazionalità israeliana. Il 16 gennaio le Guardie rivoluzionarie iraniane hanno lanciato missili contro una struttura dell’intelligence israeliana nella regione del Kurdistan iracheno, non lontano dal consolato americano.
Alessandro Scassellati
- Gli Houthi controllano un passaggio strategico che interessa il 12% del commercio globale, con il 30% del traffico globale di container, e con l’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) che stima che fino a un quarto del traffico marittimo mondiale passi lungo questa rotta. Gli Houthi hanno annunciato che i loro attacchi sono condotti per sostenere la popolazione di Gaza e che continueranno fino a quando non sarà stabilito un cessate il fuoco. Oltre alle navi commerciali collegabili all’economia israeliana, dopo gli attacchi militari statunitensi e britannici, gli Houthi hanno incluso tra i loro obiettivi anche le navi collegabili a questi due Paesi, escludendo esplicitamente quelle collegabili alle economie cinese e russa. Sebbene i danni siano stati relativamente limitati, la minaccia è stata presa molto sul serio e le compagnie di navigazione e di assicurazione hanno iniziato a dirottare le grandi navi portacontainer e petrolifere/metaniere lontano dal Mar Rosso su una rotta più lunga attorno all’Africa, aggiungendo tempi e costi significativi al trasporto marittimo globale. Questo reindirizzamento può potenzialmente causare seri problemi nei Paesi di tutto il mondo (soprattutto europei) che dipendono dalle rotte marittime globali per l’esportazione e l’importazione di qualsiasi cosa, dal petrolio greggio ai giocattoli per bambini. I costi di trasporto di un container “tipico” da Shanghai a Genova sono più che quadruplicati nel giro di un mese e mezzo (+350%; da 1.400 a 6.300 dollari). Per ora, la crisi è più regionale che globale: nello stesso intervallo di tempo, infatti, i costi di trasporto da Shanghai a Los Angeles sono aumentati “solo” del 95%. A metà gennaio il traffico di portacontainer, petroliere e metaniere dallo stretto di Bab el-Mandeb si era ridotto di quasi la metà (-46%), riflettendosi sul traffico dal canale di Suez più a nord (-35%). Allo stato attuale, l’Egitto rischia di vedere il proprio PIL ridursi dello 0,8% per le cause dirette della crisi. Gli effetti di questa crisi sull’inflazione potrebbero essere significativi, soprattutto per l’Europa. ISPI stima che gli attuali maggiori costi di trasporto dal Mar Rosso potrebbero far aumentare i prezzi generali in Europa del +1,8% entro 12 mesi, e l’inflazione “core” del +0,7%, rispetto a uno scenario senza crisi.[↩]
- Gli Stati Uniti hanno chiesto alla Cina di esortare l’Iran a tenere a freno gli Houthi nello Yemen, sostenuti da Teheran, per i loro attacchi alle navi commerciali nel Mar Rosso. Il Financial Times riporta che gli Stati Uniti hanno visto pochi segnali di aiuto da parte di Pechino, citando funzionari statunitensi.[↩]
- Nei giorni successivi al 7 ottobre, Biden ha avuto l’opportunità di modellare la risposta di Israele definendo pubblicamente che tipo di azioni gli Stati Uniti avrebbero e non avrebbero sostenuto. Pur esprimendo solidarietà con Israele e repulsione verso Hamas, avrebbe potuto negare l’assistenza per una campagna militare finché Israele non avesse formulato un piano che la Casa Bianca avesse ritenuto efficace e giusto e che trattasse i civili palestinesi in modo accettabile. Invece, Biden ha annunciato: “Siamo con Israele”, impegnandosi a provvedere alla sua difesa “oggi, domani e sempre”. Anche se privatamente spingeva i leader israeliani a pensarci due volte prima di un’invasione di terra, ha pubblicamente richiesto al Congresso 14,3 miliardi di dollari in aiuti militari di emergenza, senza vincoli. Netanyahu ha anche sfidato pubblicamente Biden, insistendo sul fatto che “non c’è spazio” per lo Stato palestinese. L’amministrazione Biden vuole che la Russia segua i principi del diritto internazionale in Ucraina, ma non ha il coraggio di convincere Israele a fare lo stesso a Gaza.[↩]
- L’Occidente statunitense ed europeo attua da tempo lo “scontro economico” con Teheran usando l’arma dell’embargo che impoverisce i consumatori iraniani ma pure quelli del vecchio continente. Un esempio inconfutabile riguarda il costo del gas, che l’Europa avrebbe potuto e potrebbe ricevere dall’Iran a prezzi decisamente inferiori di quelli conosciuti, anche prima della crisi ucraina, col metano russo.[↩]
- Dopo il 7 Ottobre Ezra Yakin, veterano israeliano della strage di Deir Yassin, una delle più feroci del 1948, ha recuperato la sua uniforme. A bordo di una jeep, armato di megafono, ha invitato ogni ebreo con un vicino arabo a suonargli alla porta, e sparargli: per completare l’opera lasciata a suo tempo a metà. Ha 95 anni. Ed è la più solida tra le prove con cui il Sudafrica ha trascinato Israele alla Corte dell’Aja per genocidio.[↩]
- Un segno del fatto che Washington sta perdendo influenza in tutto il mondo. Dopo aver implorato i Paesi al di fuori dell’Occidente di opporsi alla Russia per aver occupato il territorio e preso di mira le infrastrutture civili in Ucraina, gli Stati Uniti sembrano palesemente senza principi nel restare al passo con Israele mentre occupa la terra palestinese, ha ucciso oltre 25.500 civili e ha chiuso le forniture di cibo, acqua ed elettricità a Gaza. Il malcontento non è limitato agli Stati arabi. All’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 120 Paesi hanno sostenuto una risoluzione che chiedeva una tregua umanitaria. Solo 12 Paesi si sono uniti agli Stati Uniti e a Israele nel votare no. Ciò ha lasciato l’America solo leggermente meno isolata della Russia quando l’Assemblea Generale, con un voto di 141 contro 7, l’ha invitata per l’ultima volta a ritirarsi dall’Ucraina. “La leadership americana è ciò che tiene insieme il mondo”, afferma Biden. “Noi siamo la nazione indispensabile”, ribadendo quanto già detto dal Segretario di Stato Madeleine Albright nel 1998. Per lui, la leadership americana sembra significare sostenere fino in fondo gli alleati degli Stati Uniti ed ereditare i loro conflitti come propri, al diavolo costi e rischi. L’atteggiamento “con noi o contro di noi” si è rivelato distruttivo vent’anni fa. Oggi, sembra essere una ricetta per dividere il mondo e perdere il controllo.[↩]
- I giovani elettori, gli arabi e musulmani americani, gli afroamericani e anche gli ebrei progressisti, gruppi chiave per la vittoria elettorale di Biden nel 2020, sono inorriditi dalla sua gestione della guerra. Potrebbero non votare per lui il prossimo novembre. Un tale indebolimento della coalizione di Biden è proprio ciò di cui i repubblicani, sostenuti dai sondaggi che mostrano Donald Trump in testa negli Stati chiave, hanno bisogno per mettere il loro candidato impopolare oltre l’arrivo finale. Durante la sua campagna presidenziale del 2020, Biden aveva promesso di invertire la rotta rispetto alla politica marcatamente filo-israeliana del suo predecessore, in particolare riaprendo l’ambasciata americana a Tel Aviv e l’ufficio dell’Autorità Palestinese a Washington – non ha fatto nulla di tutto ciò. Invece, ha seguito le orme di Donald Trump, prima concentrandosi sull’incoraggiare l’Arabia Saudita ad unirsi agli Stati arabi che avevano stabilito relazioni diplomatiche con Israele sotto l’egida di Trump, poi dando sostegno incondizionato a Israele nella sua invasione di Gaza. Così facendo, è riuscito a far arrabbiare il suo stesso Partito Democratico – che oggi è più solidale con i palestinesi che con gli israeliani (dal 34% al 31%), secondo un sondaggio pubblicato il 19 dicembre – senza soddisfare nemmeno i repubblicani. Alla fine, secondo lo stesso sondaggio, il 57% degli americani disapprova la gestione del conflitto da parte di Biden. Lo stesso Biden è stato criticato dai manifestanti ieri, durante un evento elettorale in Virginia. Molteplici interruzioni hanno costretto Biden a fare una pausa o provare a parlare mentre i manifestanti gridavano “cessate il fuoco adesso” e “Genocide Joe” per il suo sostegno a Israele e alla sua guerra a Gaza.[↩]
- Il Financial Times stima che gli Stati Uniti abbiano più di 57mila soldati in Medio Oriente: Mediterraneo Orientale: 12.500; Giordania: 3.500; Egitto: 500; Siria: 900; Iraq: 2.000; Israele: 100; Arabia Saudita: 2.500; Kuwait: 10.000; Bahrein: 4.500; Qatar: 10.000; Emirati Arabi Uniti: 5.000; Mar Rosso: 4.500.[↩]
- Il giorno dopo l’attacco di Hamas contro Israele, il 7 ottobre, gli Stati Uniti hanno inviato nella regione un intero gruppo di portaerei a cui si sono presto aggiunti altri due cacciatorpediniere e un’armata di dieci navi da guerra aggiuntive. Il 31 dicembre, gli Stati Uniti hanno utilizzato elicotteri da combattimento per affondare le imbarcazioni da attacco Houthi nel Mar Rosso, uccidendo dieci combattenti Houthi. Meno di due settimane dopo, il 12-13 gennaio, gli Stati Uniti, appoggiati dal Regno Unito, hanno attaccato ventotto siti all’interno dello Yemen, uccidendo almeno cinque combattenti Houthi e ferendone sei — l’attacco includeva missili da crociera Tomahawk lanciati da un sottomarino lanciamissili. E all’inizio del 16 gennaio, Washington ha lanciato un altro attacco missilistico da crociera all’interno dello Yemen, presumibilmente prendendo di mira i missili antinave Houthi. All’operazione Prosperity Guardian, lanciata dagli Stati Uniti il 19 dicembre scorso “per salvaguardare il commercio nel Mar Rosso”, hanno aderito 44 Paesi, compresi i 27 dell’Unione Europea. Nella prima dichiarazione della coalizione multinazionale che ha condannato gli attacchi degli Houthi yemeniti contro le navi cargo israeliane o in transito verso Tel Aviv, non si parlava di reazioni armate. In una successiva dichiarazione, datata 3 gennaio 2024 e firmata da dieci Stati, fra cui Germania, Danimarca e Paesi Bassi (tre membri UE), il riferimento alla rappresaglia è però esplicito.[↩]
- Quest’ultimo raid segna l’ottava volta che gli Stati Uniti hanno condotto attacchi contro obiettivi Houthi in questo mese e la seconda volta a cui ha partecipato il Regno Unito. Funzionari statunitensi hanno informato che gli attacchi dei due Paesi sono avvenuti utilizzando aerei da combattimento e missili da crociera lanciati da navi, e hanno colpito obiettivi militari (lanciamissili, sistemi di difesa aerea, radar e depositi di armi sotto terra) intorno alla capitale Sanaa, controllata dagli Houthi. Poiché si dice che gli attacchi siano stati intrapresi “per legittima difesa”, in seguito agli attacchi Houthi contro navi da guerra statunitensi e britanniche quasi due settimane fa, i governi statunitense e britannico non hanno cercato l’approvazione dei rispettivi parlamenti per l’azione militare.[↩]
- Nel corso di quest’ultima crisi, il New York Times e il Washington Post non hanno quasi mai usato la parola “ribelli” per parlare degli Houthi, mentre il Wall Street Journal continua a usarla. Anche i governi occidentali come quelli di Stati Uniti, Regno Unito e Italia continuano invece a parlare di “ribelli”.[↩]
- Nel corso degli anni l’Iran ha fornito sostegno politico, finanziario e militare agli Houthi, ma essi rimangono una forza yemenita indipendente.[↩]
- Il 2 gennaio, Israele ha ucciso un alto funzionario di Hamas, Saleh al Arouri, con un attacco di droni a Beirut. Un alto leader di Hezbollah, Wissam al-Tawil, è stato ucciso poco dopo, in un attacco alla sua auto nel sud del Libano.[↩]
- La biografia di Freund sottolineava chiaramente che in precedenza era stato “vicedirettore delle comunicazioni sotto il primo ministro Benjamin Netanyahu”. È del tutto possibile che abbia coordinato questo articolo con lo stesso Netanyahu.[↩]
1 Commento. Nuovo commento
Grazie Alessandro per dare con questo articolo un quadro d’insieme difficile da ottenere. Solo con questi articoli è possibile “maturale” una opinione consapevole sulla questione medio-orientale.
Grazie ancora per l’impegno per mettere a punto questo scritto.