editoriali

Divisi in due

di Stefano
Galieni

Per una sorta di nemesi della storia, il nuovo “dis-ordine” mondiale, sembra contenere una nuova forma di ripartizione a cui pochi paesi, per ora, sfuggono. Dal mondo diviso in due blocchi, l’attuale fase multipolare, da cui derivano numerose crisi che in decine e decine di casi si trasformano in guerra, ha prodotto Paesi, regioni, aree geopolitiche, partiti, al loro interno profondamente divisi in due. Una sorta di bipolarismo che va al di là dei sistemi elettorali ma che rende la geografia umana, persino l’antropologia di alcuni contesti, spaccata come una mela, dove una volta prevale una componente e successivamente un’altra. Si pensi agli USA, prossimi alle elezioni, la società statunitense, la sua cultura, le diverse componenti che vivono in un Paese complesso, si divide in pro e anti Trump, senza possibilità di uscita. E il “trumpismo” è una concezione del mondo, dei rapporti sociali, delle reti relazionali che divide in due la popolazione, anche travalicando classi, religioni, età e sesso. Da una parte un tradizionalismo protezionista e suprematista, dall’altra un mondo culturalmente liberal, ma che considera il ruolo USA di superpotenza militare come necessario. È ed è divisa in due l’Amarica Latina fra esperienze progressiste e reazionare e, al proprio interno, fra spinte ultraliberiste e fascistoidi e tentativi di convivere con l’economia di mercato in chiave vagamente socialdemocratica. Ovviamente siamo costretti a generalizzare perché ogni Paese, in alcuni casi, anche all’interno dei singoli Stati, le spinte sono molteplici e hanno numerose chiavi di lettura che però sembrano condurre alla fine ad una divisione a metà, con tutto quello che ciò comporta. Cercando di entrare nelle dinamiche del continente africano, ancora più complesso, oggi non vale più il nostro racconto coloniale fondato su una concezione tradizionale ed omogenea dei 54 Stati che compongono il continente. C’è la divisione profonda prodotta dalla religione, da una parte l’islamismo politico dall’altra l’irrompere delle chiese pentecostali, c’è quella meramente derivante dai mutamenti climatici – aree desertificate vs aree in cui è ancora possibile la concentrazione antropica -, ci sono tentativi di modernizzazione soggetti a forti spinte internazionali, si punta a far divenire l’Africa il nuovo mercato in cui investire e di contraccolpo tentativi di basso profilo coloniale (cfr il decantato Piano Mattei), fondato sull’eterno “aiutiamoli a casa loro”. E poi i conflitti interni, numerosi quanto rimossi dall’attenzione internazionale, soprattutto nell’Africa Sub Sahariana, in cui le fratture che definiamo scorrettamente etniche (per non usare la parola razza), a loro volta lacerano gran parte dei contesti statuali.

E se tanto la Cina che le cd “Tigri asiatiche” mantengono una propria apparente omogeneità, lo stesso non si può dire per i Paesi più disastrati del continente asiatico in cui la fragilità politica, che periodicamente esplode è solo la cartina di tornasole di contesti che non trovano pace, equilibrio, possibilità di progettare strategicamente una propria prospettiva. Emblematici sono casi come quello iraniano dove l’apparente unità di questi mesi, col rischio incombente di un conflitto con Israele che rischia di espandersi senza limiti, ha ridotto le proteste di metà Paese stanca del regime oscurantista degli ayatollah, o situazioni come quelle di Turchia e Iraq, la prima dominata da un sultano ma spaccata nel profondo fra utopia di un nuovo impero ottomano e sogno europeo, fra laicità e islamismo, fra nazionalismo e tentativo di convivenza fra minoranze. Il secondo sembra oggi un Paese in balia del futuro che non arriva e in cui i diversi attori internazionali trovano modo di intervenire, anche militarmente, per risolvere proprie contese mentre il Paese, che da oltre 30 anni non conosce reale pace, è conteso dalle due grandi forme di Islam, sciita e sunnita, con i rispettivi alleati che incrementano le spinte centripete.

E, anche in una fase tragica come quella del genocidio in atto, al di là di incontri, accordi, tentativi di definire strategie, almeno temporanee, comuni, in quel lembo di terra che in molti chiamiamo Palestina e che per qualcuno è unicamente Israele, la spaccatura in due raggiunge vette inimmaginabili. Lo stato ebraico, anzi lo “Stato nazione degli ebrei” come si è dichiarato, senza definire ne una costituzione ne confini stabiliti, è diviso fra chi considera la guerra fino all’eliminazione o alla cacciata dell’ultima famiglia araba, come l’unica soluzione possibile e chi non vede lora che tacciano le armi, che si cambi governo e che si ricominci a trattare anche con quello che considerano il nemico. La stessa società palestinese che oggi legittimamente resiste in maniera unitaria, si percepisce da una parte spinta al martirio fino alla vittoria, fino alla riconquista della Palestina “from the river to the sea”, di cui il Movimento di Resistenza Islamica Hamas è il principale ma non l’unico attore, e dall’altra l’indebolita Autorità Nazionale Palestinese che però potrebbe condurre, se guidata con mano ferma e con azioni diplomatiche forti e sostenute, ad un percorso di pacificazione lunghissimo di cui è impossibile, presuntuoso e ingiusto oggi, prevedere l’esito.

Ma avviciniamoci ancora più ai nostri confini. L’Europa Reale di oggi ha un assetto dominante fondato sulla guerra. Le società dei singoli Stati sono spaccate in due e non c’è ne una prevalenza di movimenti e forze politiche pacifiste in grado di spostare il quadro politico, né un suo soggetto contrastante in grado di imporre il proprio volere. In tali condizioni la crescita delle forze neo o post fasciste è per certi versi un dato inevitabile al punto che, anche se per i media mainstream la narrazione è inaccettabile – fascismo e antifascismo dividono profondamente in due l’Europa, lasciando sullo sfondo gli “indifferenti” di gramsciana memoria.

Ma veniamo a noi, a questa misera Italia governata, o meglio amministrata per conto terzi, da un governo che non rinnega le sue radici missine, che sta ricostruendo un’egemonia culturale e sociale pesantissima attingendo a pulsioni fasciste mai eliminate. Si assiste, era ora, da alcuni mesi ad una ripresa di mobilitazione, almeno nel campo della difesa dei principi costituzionali, dalla splendida battaglia che dovrebbe sfociare in referendum per impedire ogni tipo di autonomia regionale differenziata, ai quesiti che potrebbero portare a contrastare precariato e jobs act realizzati dalla Cgil, a quello sulla riforma della cittadinanza promosso dalle associazioni di migranti che non godono ancora di tale diritto e da alcune forze politiche. I referendum, per loro stessa natura, mostreranno ben più dei sondaggi relativi ai consensi attribuiti alle forze politiche, una divisione profonda che esiste da anni in Italia, una divisione poco percepita ma concreta perché basata sulle questioni che determinano presente e futuro delle singole e dei singoli. Se poi troverà spazio la legge sul premierato che, con questo sistema elettorale rende ancor più inutile l’architrave parlamentare – da tempo l’esecutivo sovradetermina  il dibattito in aula e questo vale anche negli enti locali – la divisione in due sarà ineluttabile e istituzionalizzata, non ammetterà nemmeno punti di vista significativi eretici.

E non è il sistema USA che si mondializza e penetra anche da noi, questo è avvenuto vari decenni fa, quanto il fatto che il bipolarismo, come il neoliberismo, si trasformano da impianto ideologico di gestione del potere in assetto naturale della vita di ognuna/o. Persino molte forze politiche, al proprio interno, anche quelle più vicine, sono giunte al punto di introiettare la divisione aprioristica come componente fondante, lasciamo a chi ci legge immaginare quali. Due sono i risultati di questa immensa operazione che modifica le relazioni umane: intanto in un mondo diviso, in ogni ambito, in due, comunque ci si schieri, si è sempre più sole/i. Verrebbe da riprendere il detto “è il capitalismo bellezza”. La seconda, forse la più importante è che il mondo diviso in due metà è una realtà apparente, ogni riferimento al magnifico film Matrix non è affatto casuale. Mentre divisi in due ci si scanna, con ogni mezzo, poche famiglie, poche multinazionali, accumulano potere e profitti immensi, senza incontrare più ostacoli, senza dover mediare con nessuno e trattando con tutti. Il paradosso di questa divisione formalmente bipolare in cui anche l’attuale multipolarismo è una cortina fumogena, è che la reale divisione, quella fra sfruttati e sfruttatori, viene fatta annegare, si tenta in ogni modo di negare qualsiasi possibilità di riemergere all’unica conflittualità che ad avviso di chi scrive non cesserà mai di avere ragion d’essere. La lotta di classe.

Stefano Galieni

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1 Commento. Nuovo commento

  • Marcello Pesarini
    23/10/2024 17:34

    Grazie. Ho bisogno di capire, e non sarà per me facile, che tipo di economia, di scambi, di accumulo, muovono tutti questi soldi versati ai due candidati delle elezioni USA. Se grandissimi gruppi industriali, finanziari, versano loro contributi, cosa ne fanno i candidati? Li dichiarano per legge? Rappresentano la fonte per attuare politiche parallele a quelle ufficiali?
    Non sono mai stato esperto di queste cose, ma prima di cedere le armi vorrei provare a capire. Grazie

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