Lo so che lunedì c’è stata la riunione dell’Eurogruppo che ha approvato la riforma del MES, ma permettetemi questa volta di scartare di lato per commemorare la scomparsa di Diego Armando Maradona.
È passata una settimana, ma non si è spenta la risonanza dell’evento, né il susseguirsi di articoli di stampa, trasmissioni televisive che sconvolgono i palinsesti, manifestazioni di affetto nelle strade e nei luoghi in cui lui ha vissuto e giocato.
Non sono una esperta e neanche un’appassionata di calcio, ma evidentemente questo non c’entra. Il dispiacere per la morte di Diego è stato grande, e non perché fosse il più grande calciatore. E dire che è se come fosse morto uno di famiglia o un amico non è adeguato, perché non puoi avvertire la mancanza di qualcuno che non viveva insieme a te. E infatti non ne avvertiamo la mancanza, sebbene sia morto giovane e avrebbe potuto fare ancora tante cose, ma ne aveva fatte già tante e importanti e talmente importanti che si vede che in tutto il mondo emerge e si manifesta il dolore, si celebrano i ricordi e si moltiplicano gli omaggi, come quello emozionante degli All Blacks nella partita con l’Argentina.
Non ne avvertiamo la mancanza perché lui resta, e non può entrare nel mito perché nel mito1 ci stava già da vivo. E alle lacrime, dopo qualche giorno, subentra la gratitudine.
Nella foto di gruppo scattata in occasione della partitella organizzata per beneficenza nel campetto fangoso di Acerra, per la quale dovette pagare una forte penale ai Lloyd’s di Londra che lo assicuravano, il bimbetto con gli occhiali infagottato nella giacca a vento non guarda l’obiettivo, ma guarda incantato lui che sta alle sue spalle.
È stato paragonato a Caravaggio, a proposito delle sue debolezze, ma il confronto mi pare improprio: Caravaggio è stato uno dei più celebri pittori di tutti i tempi, Diego è il più grande calciatore, ma è anche una persona che nella sua vita privata ha compiuto scelte e fatto cose per me giuste, ha avvicinato due continenti contrastando l’ingiustizia e mettendosi dalla parte del sud del mondo manifestando l’appartenenza a una classe e un’empatia con tutti coloro che la riconoscono.
Hebe de Bonafini, presidente dell’Asociación Madres de Plaza de Mayo (che dagli anni ’70 chiede giustizia per i desaparecidos della dittatura militare argentina), ha salutato Diego come un figlio, dicendo “Non appartiene più soltanto a noi, appartiene al mondo e il mondo ricorderà Diego per essere fedele agli umili, come quando scelse di andare a giocare a Napoli”.
I riconoscimenti sono stati tanti e i più vari, curiosi come quello del Financial times che scrive che nel 2005, l’allora governatore della Banca d’Inghilterra Lord Mervyn King descrisse i due gol segnati dall’argentino contro l’Inghilterra nella Coppa del Mondo del 1986 per mostrare come si erano modernizzati i banchieri centrali, attestando il contributo di Maradona alla teoria monetaria. Istituzionali, come quello di Macron, o del Presidente cubano Canel che scrive al Presidente argentino Alberto Fernandéz Pérez per esprimere anche a nome di Raùl Castro le condoglianze per un profondo, affettuoso e fedele amico di Fidél e del popolo cubano.
Voglio citare l’articolo di Enrico Pugliese sul Manifesto, la notte in cui diventammo tutti maradoneti, che mette in rilievo la sua capacità di generare un “afflato interclassista” raccontando di quella serata di maggio 1987 quando tutti scendemmo nelle strade a Napoli vestiti di azzurro per festeggiare il primo scudetto. E pure l’articolo di padre Maurizio Patriciello Fratelli napoletani e argentini grazie per esservi ribellati alla morte, su Avvenire.
Che c’entra con Transform!Italia ? Beh, a parte il fatto che Diego ha trasformato 354 volte un’azione in gol, va detto che è stato sempre vicino, ricambiato, a capi di Stato impegnati nella trasformazione dei sistemi che governavano o governano, a partire da Fidel Castro, e poi Evo Morales, i Kirchner, Hugo Chavez, Dilma e Lula, Daniel Ortega, Pepe Mujica, Rafael Correa, Nicolas Maduro, fino a Papa Bergoglio, Francisquito, che ha incontrato diverse volte, a cui ha regalato la maglia numero dieci, dichiarandosi capitano della sua squadra e pronto ad aiutarlo per aiutare i poveri del mondo.
Chi pensa che si sta esagerando con le celebrazioni mi ha fatto venire in mente un passaggio che sento appropriato:
“L’elemento popolare “sente”, ma non sempre comprende o sa; l’elemento intellettuale “sa”, ma non sempre comprende e specialmente “sente”. I due estremi sono pertanto la pedanteria e il filisteismo da una parte e la passione cieca e il settarismo dall’altra. Non che il pedante non possa essere appassionato, anzi; la pedanteria appassionata è altrettanto ridicola e pericolosa che il settarismo e la demagogia più sfrenati. L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed esser appassionato (non solo del sapere in sé, ma per l’oggetto del sapere) cioè che l’intellettuale possa essere tale (e non un puro pedante) se distinto e staccato dal popolo-nazione, cioè senza sentire le passioni elementari del popolo, comprendendole e quindi spiegandole e giustificandole nella determinata situazione storica, e collegandole dialetticamente alle leggi della storia, a una superiore concezione del mondo, scientificamente e coerentemente elaborata, il “sapere”; non si fa politica-storia senza questa passione, cioè senza questa connessione sentimentale tra intellettuali e popolo-nazione.”
- Dal greco mỳthos (“parola, racconto”), una narrazione di particolari gesta compiute da dei, semidei, eroi e mostri. Il m. può offrire una spiegazione di fenomeni naturali, legittimare pratiche rituali o istituzioni sociali e, più genericamente, rispondere alle grandi domande che gli uomini si pongono. Caratteristica essenziale del m. è che esso si sia diffuso oralmente prima di essere scritto, e che si perpetui nella tradizione di un popolo.
Per Platone il m. è, in alcuni casi, contrapposto alla verità, ma può essere anche un modo per approssimarsi ad essa, quando si siano raggiunti i limiti del pensiero razionale. Questi m. valgono o per autorità di antiche tradizioni e di racconti miracolosi, o soltanto per sé, come rappresentazioni intuitive e visive di ciò che in realtà trascende il potere dell’occhio mortale (Treccani).[↩]