riceviamo e pubblichiamo:
Un passato glorioso di ribelle anelito all’uguaglianza e ai diritti degli ultimi è ormai troppo sbiadito per coprire le spoglie di una sinistra dissolta nel brodo del nuovo capitalismo finanziario, dove anche la fabbrica e le leve e il grasso e la paglia e lo sterco e il sudore sono assoggettate alla leva finanziaria e alle profetiche trimestrali di bilancio.
Ma se l’operaio resta, tradotto in molteplici precarietà, e il borghese resiste, a stento, alla società liquida disegnata nel mainstream, la sinistra italiana sembra ormai crisalide pronta a dischiudersi e a prendere il volo sulle teste delle nuove élites baricentriche che la accolgono.
Il Subcomandante Marcos cantava le lodi degli ultimi della sua Selva, una minoranza illetterata e fortemente caratterizzata da tradizioni e costumi, che si difendeva dal globalismo armato e dal mercato che la volevano naufraga nel mare del consumismo transnazionale.
L’élite nostrana invece dimentica gli Indios e guarda da sinistra e in basso gli ultimi, il popolo che puzza, che non ha la laurea, che arranca ogni giorno dietro ai suoi istinti più bassi e fissa il cemento della sua periferia senza comprendere quanta ricchezza porti il meticciato senza regole all’economia dello spread e dei tassi, guarda il popolo che è ignorante, è gretto, è insulso, e non dovrebbe votare, perchè vota a destra, ma compassionevole lo sopporta e vuole amministrarlo.
Il filosofo Massimo Cacciari così è intervenuto alla Santeria Social Club a Milano, nel giugno dell’anno scorso a proposito della crisi della sinistra: “Nessun aggiornamento sulla composizione sociale del Paese, nessuna proposta che avesse un senso di nuova organizzazione di quelle masse di lavoratori o di gente che cercava il lavoro ma inevitabilmente in forme diverse da quelle della grande fase propria della social democrazia che è quella della industrializzazione di massa.
Nulla vietava che si cercasse di vedere e organizzare le nuove forme di lavoro, le forme infinite di autosfruttamento che oggi dominano. Le nuove forme, diciamolo pure la parola, di proletariato che oggi sono quelle dominanti soprattutto all’interno dei giovani.
Nessuno vietava uno sforzo per rappresentare sindacalmente e politicamente tutto ciò.“
Una crisi che affonda anche nel disfacimento del modello socialdemocratico, e nell’evaporazione del romanticismo rivoluzionario del sessantotto, inglobato e convertito alla restaurazione colorata nelle Sylicon Valley del nuovo mondo, crisi a cui i partiti di sinistra non hanno saputo fare fronte proponendo progetti e visioni di un futuro alternativo e possibile, solidamente ancorato alle aspettative dei nuovi “Indios”, quanto piuttosto una rincorsa continua ai propositi degli altri, quella tendenza che Nick Srnicek e Alex Williams, in “Inventare il futuro. Per un mondo senza lavoro”, nel 2015 descrivono come l’attitudine della sinistra europea a reagire alle azioni altrui piuttosto che a impegnarsi nel cambiamento, sacrificando visioni del domani per convenienze del momento.
Ma se Nick Srnicek e Alex Williams puntano il dito contro la pesantezza del qui ed ora, del tangibile contro l’astratto, forse è proprio il respirare l’ odore acre del popolo nel locale e nel momento che è venuto a mancare alla sinistra agiata del 2000, che abbandona i propri feudi popolari in periferia per i salotti del centro.
Ci si domanda in quei salotti cosa pensi l’edicolante schiacciata dalla grande distribuzione, cosa capisca l’operaio appeso ai cancelli chiusi della piccola azienda in provincia, che ne sappia il precario in motorino che non vuol cambiare la sua Euro 2? La massa non è educabile, si conclude forse, ma è coercibile. Va guidata, si dice, con le tasse alle merendine a non consumarne, con i blocchi alla auto più vecchie a non guidarne, con i governi di interesse nazionale a non votarli.
Se fino a vent’anni fa la sinistra unita avrebbe gridato con prepotenza per una scuola avanguardista che preparasse i giovani a cambiare il mondo, ora veleggia fuori da essa, verso lidi di cristallo, luccicanti eppur fragili, e si infrange sui banchi del fast food a favor di vento nell’alternanza scuola-lavoro e dell’ambientalismo non più ribelle ma conformista, come tanti status symbol da mostrare e non saper spiegare.
Una nuova sinistra è possibile, anche se non la chiamassimo sinistra.
Igino Mauro ANNARUMMA