Le due belle giornate che normalmente costituiscono pilastri per la cultura e la storia delle sinistre, quest’anno subiscono l’ennesima violenta strumentalizzazione. Non c’è da stupirsi, è da molto che anche i simboli di una cultura antifascista nel profondo, che ha il coraggio di essere divisiva perché separa concretamente fascisti e antifascisti, sfruttatori e sfruttati, debbano essere rimossi, oltrepassati da un ventunesimo secolo che non vuole annoverare, fra i propri paradigmi, quello del conflitto come motore della Storia.
Il 25 aprile, come Festa della Liberazione, è la prima di queste date. Per decenni e soprattutto dagli ambienti sedicenti progressisti, si è tentato in ogni modo di farla divenire data di pacificazione intesa come “scurdammece ’o passato”, quella in cui vincitori e vinti, avendo entrambi combattuto per ideali, dovevano ricevere comune riconoscimento. Non sono solo le esternazioni di Violante, oggi passato ad avere un ruolo chiave in quell’azienda gioiello per la modernizzazione militare che è la Leonardo Spa, ma è una lenta corrosione che ha teso e tende ad eludere le ragioni di tale giornata fondativa per il Paese. L’obiettivo, ovvio, è la Costituzione in quanto ritenuta legaccio inutile per l’ordoliberismo, ma questa è la parte più legata ai grandi interessi e affrontata nei circuiti della politica e della finanza. Quello che va rimosso è il sentimento accomunante di una parte enorme della popolazione italiana che non percepisce come retorica tale data.
La memoria del fascismo prima e della guerra poi, non è ancora andata del tutto persa e non solo grazie al prezioso lavoro dell’ANPI e a quello degli ultimi sopravvissuti che hanno effettivamente fatto la Resistenza. Si è tramandata di generazione in generazione, ha lasciato ricordi indelebili, nelle città, nelle famiglie e, nonostante il revisionismo imperante, è faticoso rimuoverla. C’è stato chi ha chiesto che non fosse più festa nazionale in quanto appunto “divisiva”, chi si è inventato, per pareggiare, la Giornata del ricordo, in nome della falsificazione di una tragedia complessa come fu quella delle foibe, chi si è inventato una nuova ricorrenza per celebrare gli alpini non in quanto tali ma per le battaglie combattute in Ucraina durante quella vergognosa guerra di regime in cui si distinse l’Armir. Da anni poi – e in questo caso è il becerume fascistoide a premere l’acceleratore – si è passati a vietare piazze, canzoni come “Bella Ciao”, oramai patrimonio di tanti popoli in lotta, a chiudere gli armadi della vergogna in cui sono custoditi i misfatti compiuti in Italia, nelle colonie e durante la guerra dall’esercito in periodo fascista. Pochi giorni addietro alla Camera è stato financo celebrato il generale Maletti, al centro delle oscure trame neofasciste dal dopoguerra agli anni Settanta – poi fuggito in Sudafrica ad un mandato di cattura – e figlio di un altro generale noto per i crimini di guerra coloniale in Libia ed in Etiopia. Il 25 aprile è stata per anni una data “accerchiata”, da una parte chi tendeva a rimuoverla, chi a limitarne il valore e la portata, chi a trasformarlo in una data retorica che sanciva una discontinuità mai completamente realizzata. Negli ultimi anni poi, si è assistito, soprattutto nelle manifestazioni tradizionali di Milano e di Roma, ad una sua forte politicizzazione. Alle inconsulte critiche per la presenza della “brigata ebraica”, presente in piazza con una bandiera quasi identica a quella dello Stato di Israele, non proprio simbolo di concordia, ha fatto spesso seguito il tentativo di impedire la partecipazione agli altri movimenti di liberazione che ancora non avevano ottenuto un proprio 25 aprile, in particolare alle bandiere del popolo palestinese.
Ma il 2022, dopo due anni di piazza vuota a causa della pandemia, rischia di passare alla storia come Liberazione controversa. Inevitabilmente, con l’arrivo della guerra alle porte del continente dopo la scellerata invasione di Putin all’Ucraina, ha trasformato il senso stesso della manifestazione. L’ANPI, dopo una fase congressuale anche complessa, ha preso una posizione che molto si distacca dalla propaganda del nuovo regime in Italia. Invece che accodarsi a chi, mediante la richiesta ossessiva dell’invio di armi all’Ucraina, sceglie di accettare come inevitabile una guerra di lunga durata, ha deciso di porsi in una posizione autenticamente pacifista e non neutrale: nessuno sconto al nazionalismo russo ma che la parola torni alla diplomazia e alle trattative, che si cessi il fuoco, si sostengano i profughi e un popolo vittima di tale aggressione e che si determini una soluzione politica. Un linguaggio a cui probabilmente a Mosca ma soprattutto oltre Atlantico non intendono piegarsi. Il governo dei “migliori” ha scelto di accodarsi a Washington e di unirsi alla valanga di guerrafondai che, quanto Putin, mettono a serio rischio l’equilibrio mondiale. Un governo ed un Parlamento che trovano scarsa opposizione nelle aule, nei dibattiti, nel circuito dell’informazione mainstream ma che, quasi in maniera insperata si connette sentimentalmente con uomini e donne, spesso delusi dalla politica, senza tessera di partito in tasca e con scarsa fiducia in un cambiamento che giunga dalle competizioni elettorali ma che si cerca e si ritrova. Non solo le piazze belle e ricche di questo 25 aprile in tutto il Paese, basta provare a leggere i commenti agli articoli di propaganda bellicista che abbondano sui quotidiani. Non ci sono improvvisamente innamoramenti verso una Russia confusa con l’Unione Sovietica del 1918, c’è odio e repulsione per l’aggressione militare ma, contemporaneamente c’è consapevolezza diffusa che non è con la guerra ulteriore che si ferma un’altra guerra. Subentrano certamente anche le paure rispetto alle conseguenze che le politiche di riarmo porteranno sulla vita quotidiana di ognuna/o di noi, ma c’è prima di tutto quel “ripudio della guerra come strumento per risolvere le controversie” di costituzionale memoria, che indigna, si agita, si manifesta, seppur ancora in forma embrionale ed insufficiente ad irrompere sulla scena politica e pretende di trovare ascolto. Sporcare la Festa della Liberazione con l’equiparazione fra resistenza ucraina ed italiana è non solo un marchiano errore storico ma una profonda vigliaccata. Ovvio che il popolo ucraino debba e voglia resistere all’invasione russa, anche con un proprio e pieno di contraddizioni nazionalismo speculare, ma partire da questo per affermare che, così come noi siamo stati aiutati dagli statunitensi a cui dobbiamo essere grati per aver portato democrazia e Gladio, l’esercito e le milizie ucraine vadano sostenute militarmente, per rendere la guerra ancora più dura e cruenta, tanto la si vede solo dalla TV. Insultare chi non si rassegna alla logica da tifoseria, ad un pensiero binario che non ammette dubbi – se non stai con chi difende gli ucraini stai con Putin – è un atto di violenza alle stesse ragioni della Resistenza nostrana che ebbe inizio quando il regime fascista iniziò a crollare e si pose come obiettivo principale la liberazione per costruire la pace.
Alcuni eventi, durante le manifestazioni più grandi di Roma e di Milano, hanno assunto tonalità grottesche. Nella capitale, la presenza di un’immagine, forse inadeguata alla giornata, una raffigurazione della morte con la falce e i colori della bandiera americana, subito rimossa dopo una richiesta da parte dei rappresentanti dell’ANPI, è stata trasformata dai media di tutto il Paese in un’inesistente polemica fra l’Associazione Nazionale dei Partigiani e Rifondazione Comunista. Peccato che tale polemica non sia mai sorta al punto che il presidente regionale dell’ANPI in un comunicato stampa, mai riportato per intero, ringraziava il servizio d’ordine di tale partito per aver prontamente fatto rimuovere detto vessillo. Alcuni organi di informazione si sono spinti a citare tale dissidio per gettare discredito tanto sull’ANPI quanto su Rifondazione, senza mostrare l’immagine dell’oggetto del contendere né prendersi la briga di sentire i rispettivi rappresentanti. Ampio spazio è stato invece dedicato alla richiesta, fatta sempre dall’ANPI, di non portare in piazza le bandiere della NATO in quanto inadeguate alla giornata. In effetti l’Alleanza Atlantica, nata per proseguire nel 1949 il conflitto fra i due nuovi blocchi, poco aveva a che fare con la Liberazione. Analisti non certo sospettabili di “putinismo” come il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, hanno provato a dire che NATO e conflitto in Ucraina poco o nulla c’entravano con il 25 aprile ma anche tale affermazione ha creato malumori. E nonostante nessuno abbia trovato nulla da eccepire sulla presenza di bandiere ucraine, poco presenti anche a causa di una campagna di demonizzazione verso i pacifisti, si è rapidamente rimosso il diniego che da anni pesa sulle manifestazioni del 25 aprile rispetto alla presenza della comunità di Palestina che, per evitare problemi, ha preferito non partecipare alla manifestazione romana. Diverso il tenore dei problemi che si è verificato a Milano dove il segretario del PD, Enrico Letta, è stato aspramente fischiato e insultato da una parte dei manifestanti per l’incondizionato appoggio dato all’invio di armi in Ucraina e all’approvazione delle spese di riarmo del Paese. Fischi che hanno riguardato lui e la Brigata Ebraica, ma che di fatto non hanno rovinato la bellezza della grande manifestazione milanese. Resta il fatto che il racconto della giornata invece che rimandare alla grandezza, come si diceva, fondativa di tale data, basilare per avviare un periodo di profondo progresso ed emancipazione sociale nel Paese si è rattrappito in un forzato paragone col presente in cui si è lanciato anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dicendo più o meno “Bella Ciao oggi è da dedicare al popolo ucraino”. In definitiva una festa che celebrava la fine di una guerra è stata trasformata in una che sancisce l’inizio, di fatto già avvenuto, di un altro conflitto, dovuto all’aggressione russa ma a cui è da sconsiderati rispondere con una sua estensione.
Le 2 giornate di cui si diceva all’inizio, la seconda è il Primo Maggio, non casualmente subiscono una simile torsione. L’attacco trentennale alle conquiste delle lavoratrici e dei lavoratori intanto non è mai cessato. Anzi l’economia di guerra, in piena continuità con l’impoverimento del Paese a causa della pandemia e della sua gestione, sembra voler colpire solo e soltanto chi di risorse ne ha poche. Mentre si intensificano i licenziamenti, la precarizzazione dei contratti, l’assenza di ogni forma di tutela, e mentre sembrano mancare le risorse anche per garantire un minimo di sostegno persino ai disabili, si trovano come niente fosse 14 mld di euro per incrementare le spese militari. Raccontava, durante l’assemblea nazionale di transform, la senatrice Paola Nugnes, di mail e telefonate che sta ricevendo di persone disperate che si vedono decurtati anche il reddito di cittadinanza o forme di sostegno. La pandemia ha portato ad una crescita della povertà nel Paese. Se nel 2020 quella assoluta era del 7,7%, nel 2021 è diminuita apparentemente al 7,5% ma in numero di persone colpisce ancora 9,4 milioni di persone. La ripresa tanto acclamata è stata fermata da una crescita dell’inflazione che tuttora sta aumentando riducendo il potere d’acquisto dei salari che, va ricordato, non sono mai cresciuti dal 1990 e restano fra i più bassi dell’UE. Il 2022 si è già annunciato come un anno di salari più leggeri, di aumento dei working poors, di una mancata intenzione di affrontare il gap gender, di licenziamenti e di sfratti per morosità incolpevole. Una guerra interna, insomma, che si combatte proprio mentre si invoca l’unità nazionale contro il nemico esterno. 25 Aprile e Primo Maggio debbono invece configurarsi come date capaci di riportare ad un orizzonte di conquiste sociali. Quelle ottenute nel 1945, quelle conquistate negli anni Settanta e poi perse per molteplici responsabilità, quelle che rischiano di cadere nel baratro di una guerra pensata e combattuta da apprendisti stregoni.
Stefano Galieni
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Non sono del tutto d’accordo su quanto avete scritto sulla guerra in Ucraina, in quanto non avete mai citato quali sono state le vere cause dell’invasione dei russi. Gli Stati Uniti mai nominati e neanche i numerosissimi morti del Donbass, massacrati, dal 2014 al 24.02.2022, dalle truppe (regolari e naziste) ucraine, armate dai non citati Usa. Anch’io sono contro la guerra. Ma cerco di comprendere perchè tutto ciò si è verificato. Altrimenti dovrei dare ragione a Giampaolo Pansa e al suo libro “Il sangue dei vinti” del 2003 in cui scrive gli episodi di violenza dei partigiani ma non spiega mai perchè tutto ciò era successo.
Che cosa scatena la resa dei conti della primavera 1945?
Se il padre dei fratelli Cervi avesse incontrato chi avesse ucciso i suoi sette figli, voi cosa pensate che avrebbe potuto fare?
Perchè a Piazzale Loreto assistono persino madri con bambini in braccio o anziani che si reggono col bastone?
In altre parole, che cosa trasforma per qualche giorno i grandi centri del Nord Italia in un mattatoio?
Quindi accusate chi effettivamente crea le guerre per i propri interessi, sia economici che imperialistici, cioè quelli che non avete mai nominato. Vi saluto