La visita della Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, insieme alla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è stata bollata dagli abitanti di Lampedusa come una “passarella” utile solo a fini propagandistici. La piccola isola delle Pelagie, 22 km quadrati, come accade ormai periodicamente per oscene scelte politiche – creare allarme e racimolare aiuti UE – è in difficoltà non tanto per il numero di persone arrivate quanto perché la volontà di non operare rapidamente trasferimenti, l’assenza di posti in prima accoglienza, di cui si deve ringraziare l’ancora ministro Salvini, l’assenza di un intervento che non abbia carattere emergenziale, tiene bloccate nell’isola un numero di persone superiore anche agli abitanti stessi. Ma alla passerella è seguito il sincronico uno/due, Von der Leyen/Meloni. La Presidente della Commissione ha proposto un intervento ad effetto in 10 punti, dal governo italiano si è risposto con un immediato Consiglio dei Ministri e relative decisioni che verranno esposte nel cd, “Decreto Sud”.
Partiamo da una analisi dei 10 punti UE.
Il primo punto prevede il sostegno della Commissione europea, dell’Agenzia per l’asilo europea (Easo) e di Frontex, per gestire il grande numero di sbarchi, anche con l’aiuto nella registrazione degli arrivi e delle identificazioni. Ma questi attori dove erano e dove sono quando si tratta di garantire l’esigibilità del diritto d’asilo, i salvataggi in mare? Che aumentino il numero di loro funzionari per identificare le persone e gestire quello che spetterebbe fare alle istituzioni preposte, pare il classico pannicello caldo per dimostrare che l’Europa c’è.
Il secondo punto prevede l’aumento del sostegno al trasferimento dei migranti fuori da Lampedusa, sollecitando gli altri Paesi europei a contribuire. Intanto le disposizioni in vigore in UE non obbligano gli stati membri ad ottemperare a tale richiesta che, in quanto tale, può essere tranquillamente elusa. Si dà per scontato che il Gruppo Visegrad non accetterà neanche una ricollocazione, simile atteggiamento – i cambi di governo ne sono controprova – avranno i Paesi dell’area baltica, scandinava e quelli che si autodefiniscono “frugali” (ovvero poco disponibili a spendere per la “cicala italiana”). Se in Francia si sono intensificati i respingimenti in frontiera, la Germania ha per alcuni giorni bloccato chi fuggiva dall’Italia, un avvertimento che potrebbe trasformarsi in minaccia pesante per il futuro. Come credere allora all’utilità di questo punto?
Il terzo punto riguarda invece il supporto di Frontex per incoraggiare e facilitare un veloce ritorno dei migranti nei loro Paesi di origine, laddove non sono qualificati per l’asilo. E questa è un’ennesima bufala, per utilizzare un fine linguaggio accademico. I rimpatri da “incoraggiare”, non hanno in quasi trent’anni di tentativi, sortito alcun reale effetto. Con i Paesi di origine spesso non ci sono relazioni tali da prevedere il rientro, in alcuni la situazione politica, sociale ed economica, non lo permette, in altri si violerebbe ogni forma di diritto internazionale, alcuni non sono disponibili a riprendersi concittadini. Si aggiunga che tale impostazione, costosa e punitiva, che di fatto si traduce in una differenziazione per nazionalità, un principio, come il diritto d’asilo che è soggettivo e individuale, ha tempi di attuazione lunghi. Dal vertice di Lussemburgo del giugno 2023 si sta cercando di rimandare una parte dei fuggitivi nei paesi di transito ritenuti “sicuri” affidando a questi il compito di rimandarli poi a casa. Il progetto è costoso, difficilmente gli stati rivieraschi del Mediterraneo saranno disponibili a farsene carico e, da ultimo, anche rimandare le persone in questi paesi li espone a rischi di incolumità che potrebbero anche essere elusi ma che cambierebbero definitivamente i connotati all’Europa.
Il quarto punto spiega l’intenzione di rafforzare lo sforzo contro i trafficanti, insieme ai Paesi di origine e transito e usare “il pugno duro” nei confronti di questo business così brutale. Devono a questo scopo migliorare anche le leggi contro i trafficanti. Altra fandonia. Di leggi contro i trafficanti l’Europa e i singoli Stati membri ne producono da tanti anni ma si sono sempre rivelate inefficaci. Il proibizionismo non paga signora Von der Leyen, si rassegni a predisporre invece canali di ingresso regolari in Europa non funzionali unicamente alle esigenze del mercato del lavoro, canali quantitativamente così rilevanti da scoraggiare la necessità di ricorrere ai trafficanti e a chi guadagna anche con le morti in mare.
Bisogna poi, ed è il punto 5 del Piano europeo, rafforzare la sorveglianza aerea e di mare ed esplorare opzioni per espandere missioni navali esistenti o lavorare a istituirne di nuove, nel Mediterraneo. Altro sberleffo ipocrita. La sorveglianza aerea in mare è enorme ed è utilizzata unicamente nel tentativo di convincere le forze armate dei paesi rivieraschi, in particolare Libia e Tunisia, a riprendere le imbarcazioni in fuga che vengono segnalate alle autorità responsabili delle zone SAR (Search And Rescue), “ricerca e soccorso”, di detti governi che sovente preferiscono o intervenire per riportare nei propri centri di detenzione le persone imbarcate o, più spesso, lasciarle in balia del mare o di eventuali soccorritori.
Il sesto punto sottolinea la necessità di adottare azioni contro la logistica dei trafficanti. L’Ue intende quindi lavorare con le autorità italiane per la rimozione e la distruzione di imbarcazioni e canotti. Lo si afferma da tanti anni senza voler comprendere che distruggere un’imbarcazione ottiene il solo risultato di predisporne un’altra per lo stesso scopo. Si affrontano gli effetti di una questione sociale e politica, le partenze, volendo in maniera miope e fallimentare, ignorandone le ragioni.
Il settimo punto prevede che l’Agenzia per l’asilo europeo fornisca sostegno all’Italia per una veloce risposta alle richiesta di asilo e rimpatriare chi presenta richieste non fondate. Anche qui si mente sapendo di mentire. Tutte le cd “procedure accelerate” con cui si considerano in maniera sommaria le richieste di asilo hanno portato unicamente ad aumentare il numero delle persone che, avendo ricevuto il diniego alla protezione, cadono nell’irregolarità. Le risposte veloci non esistono come, già detto, il rimpatrio immediato è solo enunciazione propagandistica. Che l’UE ragioni partendo da questo ed elabori proposte inclusive invece che vendere menzogne per tutto il continente.
L’ottavo prevede di aprire corridoi umanitari e percorsi di arrivo legali per offrire ai migranti vere alternative e spezzare il circolo della narrativa. E qui, finalmente, una nota apparentemente positiva. Apparentemente perché o questi corridoi hanno dimensioni significative, permettono di intervenire dai luoghi di partenza con facilitazioni nella concessione di visti, non si basino unicamente sulle richieste del mercato del lavoro o, altrimenti, sono inefficaci e mantengono inalterata l’idea che in Europa non si potrà mai entrare regolarmente se il colore della pelle è troppo scuro, se si è poveri, se le ragioni per cui si emigra vengono discrezionalmente considerate non sufficienti. Gli ingressi col contagocce non faranno altro che aumentare l’esigenza di provare a raggiungere il continente opulento con ogni mezzo necessario.
Il nono punto del Piano prevede il coinvolgimento dell’Unhcr per la protezione dei migranti sui loro percorsi e per poter aumentare i rimpatri volontari assistiti. Dei rimpatri assistiti abbiamo già detto e della loro scarsa efficacia. Se questo punto venisse realmente applicato, vanificherebbe le politiche proibizioniste dei precedenti, costringerebbero a rispettare quell’art. 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE, perennemente violato e per la cui concreta applicazione si stanno raccogliendo le firme ICE (Iniziativa dei Cittadini Europei) con la campagna Stop Border Violence. E concretamente chi avrebbe l’autorità per intervenire nei paesi dei percorsi migratori? L’ONU? L’UNHCR? Ovvero chi, non ha a volte voluto, altre potuto, intervenire nei teatri peggiori in cui avviene il transito di persone? Almeno un po’ di credibilità. Diamine.
Infine (punto 10), l’UE si impegna a lavorare con la Tunisia per l’attuazione del Memorandum di Intesa e per accelerare la conclusione di nuovi progetti e l’esborso di nuovi fondi diretti alla Tunisia. Ma è possibile non comprendere come la criticità della situazione tunisina sia un combinato disposto fra l’autoritarismo xenofobo del suo presidente Saied e il ricatto imposto dal FMI che presterà una parte dei fondi necessari ad affrontare la crisi economica a patto che si elimini quasi ogni forma dello già scarso stato sociale? Davvero si vuol far credere che dando riconoscimento politico e sostegno economico a questo ennesimo regime le persone, soprattutto i giovani, tenteranno meno di bruciare la frontiera? Viene da chiedersi se questo sarà il modo di approcciarsi alle economie e alle società degli altri Paesi non UE attraversati da crisi economiche, sociali, politiche e ambientali. Se così fosse, ci si abitui a considerare l’effetto collaterale altrimenti chiamato “emigrazione forzata”, come una costante del secolo a venire. Il Memorandum con la Tunisia, allo stesso modo di quello stipulato nel 2017 con la Libia, produrrà unicamente l’aumento dei naufragi, dei respingimenti, delle spese per sostenere nuovi centri di detenzione, in definitiva sarà l’ennesima azione neocoloniale, non solo contraria ai principi fondativi dell’UE, ma politicamente inefficace e causa strutturale di ulteriore instabilità nel Mediterraneo Centrale.
E se tutto questo si realizza in un Paese come l’Italia, oramai isolato dal contesto europeo, il rilancio di Giorgia Meloni, in perenne competizione col suo poco fido ministro Matteo Salvini, è altrettanto miserabile. Nel corso del Consiglio dei Ministri, a seguito della visita a Lampedusa, il Presidente del Consiglio ha lanciato proposte che diventeranno facilmente legge con il prossimo (in disprezzo del Meridione), “decreto Sud” (per il rafforzamento del Mezzogiorno) in cui si mescolano gli interventi sulle tematiche dell’immigrazione con quelle derivanti dal disagio che la cronaca riporta nelle periferie meridionali. Già l’approccio è in continuità col passato. Le decisioni più appariscenti sono quelle di estendere al limite di 18 mesi i tempi di trattenimento di coloro che non saranno considerati richiedenti asilo, nei CPR (Centri Permanenti per i Rimpatri) e la costruzione di nuove simili strutture che sono di fatto di detenzione. L’utilità di questa misura? Difficile da comprendere. Le identificazioni che permettono, nel 50% dei casi, di effettuare i rimpatri, avvengono nei primi 20 giorni. I mesi successivi hanno solo carattere punitivo verso coloro che cercano ostacolare la propria espulsione. Il dispositivo parla di “stranieri non richiedenti asilo, per i quali sussistano esigenze specifiche (se lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei Paesi terzi)”, col risultato che i 18 mesi portano tanto all’ennesima trasformazione dei centri in strutture in cui si sconta una lunga pena senza aver commesso reati gravi e conseguente aumento delle rivolte interne, tanto al fatto che facilmente si riempiono e non risultano più neanche funzionali alle effettive espulsioni. Costituzionalisti come Gaetano Azzariti hanno già condannato il provvedimento. Inoltre, si prevede l’approvazione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della difesa, di un piano per la costruzione, da parte del Genio militare, di ulteriori Cpr, da realizzare in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili, in definitiva uno spreco di risorse pubbliche, di impegno delle forze di polizia per la vigilanza, un bel business per gli enti che li gestiranno senza determinare altro che effetto propaganda. Si aggiunga che, al di là dei tempi necessari a reperire le strutture idonee e a provvedere al loro uso come Cpr (non meno di uno/due anni), il testo non sarà immediatamente applicativo in quanto sarà un emendamento ad un decreto legge in esame alla Camera. Prima di novembre inoltrato non potrà entrare in vigore.
Giorgia Meloni ha dichiarato che tali impegni, uniti al fatto che si potranno continuare a trattenere per 12 mesi i richiedenti asilo – non è chiaro se negli hotspot o nei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), segneranno la svolta. Intanto preannuncia la volontà di spostare nei Paesi del Maghreb i centri per il rimpatrio e per il riconoscimento del diritto d’asilo, una misura di esternalizzazione delle frontiere che non trova neanche disponibili i governi dei paesi interessati che vedrebbero anche violata la propria sovranità nazionale. Annunci privi di contenuto con cui il governo italiano si avvicina alle elezioni europee. Annunci e proposte di cui, al di là di una nostra radicale alterità etica e persino antropologica, ne vanno smontati, anche leggendoli nelle logiche di potere, la natura miope e inadeguata rispetto al presente. Andrebbe detto insomma con chiarezza alla signora Meloni, ai vari Piantedosi, Lollobrigida, Salvini, che pontificano su queste misure, “cambiate mestiere”. Non siete in grado di risolvere – e lo stesso giudizio va dato ai governanti degli ultimi 25 anni – una questione che è di carattere sovranazionale e destinata a restare strutturale perché non affronta le cause delle migrazioni forzate ma unicamente gli effetti fastidiosi per chi sa parlare solo alla pancia delle persone mediante armi di distrazione di massa. E, per favore, non si parli di “piano Mattei” per l’Africa, a meno che non si voglia far riferimento ai 2 Mattei presenti con incarichi in materia (Salvini e Piantedosi) che nulla hanno a che fare con l’Enrico Mattei, imprenditore e partigiano che oggi, con tutta probabilità, si rivolta nella tomba sentendosi chiamato in causa da questa accozzaglia di incapaci figli del nazionalismo neoliberista.
Stefano Galieni