Il primo turno per l’elezione del nuovo presidente di Syriza ha presentato diversi dati politicamente significativi. Innanzitutto la partecipazione al voto che ha mobilitato circa 149.000 iscritti, una parte rilevante dei quali (circa 40.000) ha aderito proprio per poter votare. Il secondo elemento importante è evidentemente il successo di Stefano Kasselakis, entrato in competizione quasi all’ultimo momento e con una biografia nella quale non figura alcun ruolo politico pregresso. Avendo vissuto negli Stati Uniti, nel 2008 quando era studente aveva partecipato come volontario alla campagna elettorale per le primarie di Joe Biden. Campagna rapidamente conclusasi con il ritiro e il sostegno ad Obama.
Kasselakis ha ottenuto il 44,9% dei voti mentre al secondo posto si è collocata col 36,2% Effie Achtsioglou, ex Ministra del lavoro e della sicurezza sociale dal 2016 al 2019. Lontani nel consenso due candidati che si collocano ai lati opposti del panorama politico interno di Syriza. Sul versante moderato Nikos Pappas ha ottenuto l’8,7% mentre Euclid Tsakalotos, esponente della fazione di sinistra “gruppo dei 53”, che raccoglie tendenze critiche da sinistra della politica di Tsipras (nel cui governo era Ministro delle Finanze) che avevano rifiutato la scissione del 2015 dalla quale era nata “Unità Popolare” (ora ridotta a gruppuscolo), ha ottenuto l’8,8%. Solo l’1,3% è andato a Stefanous Tzoumakas, proveniente dal Pasok.
In vista del secondo turno previsto per domenica 24 settembre Pappas e Tsakalotos hanno dato le proprie indicazioni di voto. Nel primo caso a favore di Kasselakis e nel secondo della Achtsioglou. Sulla carta i voti ottenuti da Kasselakis e da Pappas al primo turno sarebbero sufficiente per garantire l’elezione a questo giovane imprenditore navale.
La presenza di un candidato il cui profilo sembra essere così lontano dall’identità di un partito della sinistra radicale ha alimentato le preoccupazioni interne ed anche le voci di scissione che potrebbero avere un impatto notevole sul gruppo della Sinistra al parlamento europeo e sul Partito della Sinistra Europea di cui Syriza rappresenta un elemento importante.
Il profilo del possibile vincitore di domenica prossima sembra indicare la strada di un partito fortemente leaderistico, con un profilo ideologico genericamente progressista ma con inflessioni “patriottiche” per conquistare il forte sentimento nazionale dei greci e un discorso modernizzante di stile “kennediano”. Kasselakis ha lanciato lo slogan del “sogno greco” ricalcato sul classico “sogno americano” di matrice statunitense.
Il successo del giovane imprenditore è stato probabilmente favorito (in attesa di analisi più approfondite) da due fattori: 1) l’elemento della novità che sembra poter ridare slancio ad una formazione politica che negli ultimi anni, dopo la sconfitta del 2019 ha faticato a delineare un profilo ideologico e politico preciso, caduto il tema aggregativo principale, quello della lotta all’austerità; 2) la convinzione di una parte della base elettorale di Syriza che Kasselakis proponga una soluzione vincente in grado di sconfiggere la destra autoritaria e ultraliberista di Nuova Democrazia.
Il meccanismo elettorale scelto per l’elezione del presidente del Partito, con la possibilità di iscrizione appositamente per partecipare alla votazione (che vale per il primo turno ma non varrà per il secondo), ha certamente consentito di fare della scelta un fatto politicamente significativo che ha confermato la capacità di attrazione di Syriza. Per altro questo dato va relativizzato se si considera che alle analoghe elezioni interne del Pasok del 2021 parteciparono 200.000 elettori, ma Syriza ha sempre avuto una base organizzata molto più ristretta di quanto non avessero i socialisti che potevano contare (e in parte ancora contano) su un esteso insediamento di tipo clientelare e su importanti collegamenti in organizzazioni di massa come i sindacati.
Forme di partecipazione più ampia nella elezione delle leadership di quanto non sia l’affidamento ad un “comitato centrale” necessariamente ristretto, che spesso significa manovre di corridoio, scontri ed alleanze tra fazioni più o meno dichiarate, sembrano ormai un fatto ineludibile. Ma l’apertura indiscriminata rende l’elezione più facilmente oggetto dell’influenza dei media, sia quelli apertamente ostili, sia di quelli che tendono ad amplificare sentimenti occasionali e spinte a volte superficiali.
L’elezione diretta implica anche un rafforzamento significativo del ruolo del leader a scapito di un processo di partecipazione collettiva della strategia, della tattica e del profilo ideologico-programmatico del partito. Anche in questo caso siamo in presenza di una tendenza alla personalizzazione che comporta certamente elementi negativi, soprattutto per quelle forze politiche che si propongono come protagoniste di un processo di democratizzazione complessiva della società ma rispetto alla quale forse occorre pensare a vincoli ed elementi di compensazione e di controllo piuttosto che di pura negazione delle tendenze in atto.
La direzione di Tsipras, che sicuramente ha portato Syriza ad essere la principale forza politica della sinistra greca togliendola da una nicchia intellettualmente significativa ma politicamente poco influente, ha lasciato elementi di leaderismo che a lungo andare hanno reso più difficile per il partito ricostruire una nuova strategia adatta ad un contesto sociale e politico diverso da quello determinato dai Memoranda e dall’intervento della trojka. Ha lasciato anche una certa indefinizione dell’identità politica tra essere coalizione di tutto il fronte progressista (conquistando un ruolo che era del Pasok prima della svolta verso la “terza via” blairiana) oppure forza della sinistra antiliberista distinta dai partiti della socialdemocrazia europea su elementi fondamentali.
Le difficoltà di Syriza sono evidentemente parte di una fase piuttosto complessa per tutta la sinistra radicale europea. Se per tutta una fase sono emerse esperienze che potevano costituire un punto di riferimento e di coagulo per l’insieme della sinistra (per una fase anche la stessa Rifondazioni Comunista è diventata riferimento a livello europeo, successivamente ci sono state la Linke, Syriza, Podemos poi recentemente la Nupes francese).
Oggi è più difficile individuare non tanto un modello da copiare (operazione impossibile e che in genere produce versioni molto peggiori dell’originale) quanto una o alcune formazioni che possano svolgere la funzione di locomotiva nel rafforzamento ed espansione della sinistra radicale, antiliberista, anticapitalista a livello europeo. Manca un soggetto sociale a cui appoggiarsi come fu il movimento per la giustizia globale nella formazione del Partito della Sinistra Europea, un’ipotesi strategica come è stato il populismo di sinistra con il successo di Podemos e un tema trainante a livello sovranazionale come nel caso della lotta contro le politiche di austerità dell’Unione Europea.
Si assiste in qualche misura ad un ripiegamento sulla dimensione nazionale e ad un sovrapporsi di ipotesi strategiche poco definite. Esiste inoltre un problema non risolto di definizione dell’identità complessiva della sinistra radicale in Europa. Non è un caso che ci si trovi ad utilizzare, per definire un insieme di forze politiche di diversa matrice, storia e carattere, una formula che viene dalla politologia accademica. La “sinistra radicale” tende ad occupare lo spazio lasciato vuoto dallo spostamento della socialdemocrazia in senso liberista, si rapporta ai nuovi o nuovissimi movimenti sociali senza però riuscire a costruire con essi una connessione solida, fatica a definire le stesse coordinate di fondo del proprio progetto di società.
Tutti temi che in buona misura sottostanno anche al voto degli iscritti di Syriza (vecchi o occasionali) che sono chiamati a presentarsi nuovamente ai seggi domenica prossima.
Franco Ferrari