Il primo documento ufficiale che parla di Costituzione è un decreto legge per il quale il popolo italiano «eleggerà a suffragio universale diretto e segreto un’Assemblea Costituente per determinare la nuova Costituzione dello Stato».
Il Paese è diviso ed è in guerra ma nell’Italia libera dai nazifascisti a capo del governo c’è Ivanoe Bonomi, un socialista, che a novembre del 1924 ha aderito all’Unione Nazionale di Amendola e nel 1925, rifiutando il fascismo, si è ritirato a vita privata. Dei 20 ministri, 12 sono antifascisti militanti: gli azionisti Alberto Cianca, confinato e fuoruscito, e Guido De Ruggiero, storico della filosofia destituito dall’insegnamento; i cattolici Giovanni Gronchi, uomo della Resistenza; Meuccio Ruini, perseguitato politico, e Alcide De Gasperi, incarcerato dai fascisti; i comunisti Palmiro Togliatti, tornato dall’URSS e Fausto Gullo, confinato; i liberali Benedetto Croce e Carlo Sforza, ex ministro e fuoruscito; il socialista Pietro Mancini, carcerato e confinato; il socialdemocratico Giuseppe Saragat, evaso da Regina Coeli. Tranne De Ruggiero, saranno tutti nella Costituente.
L’Italia divisa è un campo di battaglia e c’è la guerra partigiana, ma la patria non muore, come pensano Galli Della Loggia e la destra che non si riconosce nell’Italia della Resistenza. Come ricorda Gaetano Arfè, sono i giorni in cui «la cultura dell’antifascismo» offre al Paese ideali di libertà, eguaglianza sociale, pace e solidarietà tra i popoli; ideali che vivono nelle coscienze di gran parte degli italiani e che la Costituzione traduce in norme fondanti, disegnando una società incompatibile con quella fascista, che oggi riemerge col mito del capo, la violenza come motore della storia e la gerarchia tra generi, classi, razze, religioni.
La Costituente traduce dati storici in sapienza giuridica. Donne e uomini della Costituente potranno scriverla così com’è, perché sono parte di un processo giunto a compimento, che ha radici nel corpo vivo della società. Senza quella cultura, non sarebbe stata com’è. Una Costituzione non nasce «a freddo». E’ il perno attorno al quale un Paese volta pagina e consacra il futuro che ha conquistato. Per Vico la storia è una successione di cicli: giunta l’età «civile», si torna a quella «primitiva». Ed è vero: dopo atroci esperienze collettive, la Costituzione ha aperto la nostra età «civile»; alterandone l’equilibrio, come vuole la destra, torneremo a quella «primitiva».
Pochi mesi dopo il decreto del 25 giugno 1944, prima di essere fucilato, Giacomo Ulivi, partigiano diciannovenne, scrive parole che ancora parlano a coscienze libere: «Per venti anni […] tutti i giorni ci hanno detto che la politica è un lavoro di specialisti. Lasciate fare […] dicevano: e quello che facevano lo vediamo ora, che nella vita politica ci siamo stati scaraventati dagli eventi. […] No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere».
Ed è per “volerne sapere” che nell’autunno 1945 nascono la Consulta Nazionale e il Ministero della Costituzione: per consentire al popolo e alle forze politiche di giungere all’appuntamento preparate. D’altra parte, gli elettori e le donne chiamate al voto per la prima volta, che hanno vissuto tragiche e sofferte esperienze e pagato sulla propria pelle il conflitto, la violenza delle passioni, sentono che nasce una speranza. L’omicidio Matteotti, l’incendio del Parlamento tedesco, la guerra di Spagna, la battaglia nei cieli di Londra, la tragedia di Stalingrado, Auschwitz, Hiroshima, la guerra in casa, l’occupazione, la Resistenza, hanno scosso anche le persone meno attrezzate culturalmente.
E’ la vita vissuta a dar senso a parole cancellate dal regime: libertà, solidarietà. pace, democrazia, giustizia sociale, questo e molto altro si coglie ora nell’antifascismo e nella Resistenza, che per Arfè sono il crogiuolo in si fondono le esperienze e «nasce una cultura nella quale tra ideologie diverse e tra loro contrapposte si instaurano nuovi rapporti». E’ «una trama unitaria intessuta col filo dell’antifascismo e dell’antinazismo». Nella Costituente prevalgono vite intensamente vissute, antifascisti militanti e grandi sogni. Tutti cercano risposte durature a una sola domanda: come si costruisce un Paese senza guerra e dittatori, in cui ognuno è un «sovrano»? Alla scienza giuridica occorre coscienza storica che l’assemblea possiede e trova perciò la risposta: occorre il sovrano di un Paese fondato sulla dignità dei cittadini. E poiché il solo possibile sovrano di un tale Paese è il popolo, si parte da qui: «L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo…».
Perché tutto si in equilibrio, ci vorranno 325 sedute diurne, 22 giunte alla sera e alla notte – 1663 emendamenti – 292 approvati, 314 respinti, e 1057 ritirati o assorbiti – 1090 interventi di 275 oratori; 15 ordini del giorno e sulle scelte controverse 23 votazioni per appello nominale e 43 a scrutinio segreto. Alla fine, Piero Calamandrei dopo aver salutato nella Costituzione un accordo di alto profilo tra partiti e correnti ideali che hanno fatto la nostra storia, le augurerà lunga e fertile vita e si chiederà «come i nostri posteri tra cento anni giudicheranno questa nostra Assemblea […]: se la sentiranno alta e solenne come noi […]. Io credo di sì: credo che i nostri posteri sentiranno più di noi, tra un secolo, che da questa nostra Costituente è nata veramente una nuova storia, e si immagineranno, come sempre avviene che con l’andare dei secoli la storia si trasfiguri in leggenda, che […] mentre si discuteva della nuova Costituzione repubblicana, seduti su questi banchi non siamo stati noi, uomini effimeri i cui nomi saranno cancellati e dimenticati, ma sia stato tutto un popolo di morti, di quei morti che noi conosciamo ad uno ad uno, caduti nelle nostre file, nelle prigioni e sui patiboli, nelle steppe russe e nelle sabbie africane, nei mari e nei deserti, da Matteotti a Rosselli, da Amendola a Gramsci, fino ai giovinetti partigiani, fino al sacrificio da Anna Maria Enriques e di Tina Lorenzoni nelle quali l’eroismo è giunto alle soglie della santità. Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il lavoro che occorreva per restituire all’Italia la libertà e la dignità».
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