articoli

Scenari africani con uno sguardo all’Europa

di Mario
Boffo

L’Ucraina in Africa. Il Wall Street Journal ha recentemente riportato che militari d’élite ucraini combattono da qualche tempo in Sudan a sostegno delle forze governative impegnate in una dura guerra civile contro  le milizie contrarie sostenute dal Gruppo Wagner. Più che di ambizioni africane di Kiev, si tratta di azioni di disturbo alle iniziative militari che la Russia conduce in Sudan, nell’Africa centrale e nel Sahel; non sarebbero tuttavia estranei all’intervento ucraino alcuni aiuti che Karthoum avrebbe fornito all’Ucraina per la guerra sul proprio terreno.  Quest’esportazione in Africa del conflitto russo-ucraino porta all’onore delle cronache il conflitto in Sudan, una delle tante “guerre dimenticate” in corso nel mondo. Guerre di seconda categoria, almeno se dobbiamo stare alle notizie che circolano sulla stampa occidentale, la quale ci informa, giustamente, su ogni bomba caduta in Ucraina o sul suolo russo e di ogni drone abbattuto nel Mar Rosso, ma non presta troppa attenzione a conflitti che sottotraccia stanno ridisegnando il profilo del continente africano, e con esso i suoi rapporti col resto del mondo. Rapporti che attraversano temi di enorme importanza anche per l’Europa: le migrazioni, gli approvvigionamenti di materie prime fondamentali per l’industria e per la transizione energetica, i cambiamenti geostrategici che vedono i paesi europei sostanzialmente espulsi da tante aree dove erano saldamente posizionati, a favore proprio delle potenze in questo momento avversarie (Russia e Cina), oppure di paesi nostri alleati ma comunque problematici, se non altro per collocazione geografica (Arabia Saudita, Turchia, Qatar, Emirati Arabi Uniti). Senza voler trascurare altre situazioni belliche africane più o meno asimmetriche o comunque delicate (Boko Haram in Nigeria, Shabab in Somalia, il Tigré in Etiopia), sono soprattutto il Sudan e più recentemente il Kivu a suscitare preoccupazione, per i loro aspetti specifici.

Sudan. La guerra in Sudan è scoppiata nell’aprile 2023, a seguito dello scontro tra il presidente e il vicepresidente sudanesi, i due generali artefici del colpo di stato del 2021 e rispettivamente al comando dell’esercito regolare e del gruppo paramilitare delle Forze di Supporto Rapido. Il conflitto è iniziato nella capitale Khartoum e si è esteso ad altre aree del Paese, soprattutto alla regione occidentale del Darfur, dove ha assunto connotati etnico-tribali già emersi in passato e dove si sono riprodotte le stesse violente dinamiche, purtroppo anche ai danni della popolazione civile, la quale nelle aree di conflitto soffre anche di un accesso limitato a cibo, acqua, medicine e delle gravi implicazioni economiche sulla produzione, soprattutto agricola. Nello scenario sudanese gli ucraini cercano di ostacolare l’azione russa intesa a posizionarsi strategicamente in un paese ricco di risorse e che si affaccia sul Mar Rosso, regione oggi al centro di numerosi focolai di crisi. Ruolo dei reparti ucraini sarebbe soprattutto quello di sabotare infrastrutture e attaccare leader africani alleati alla Wagner, analogamente a quanto già in passato segnalato nella Repubblica Centrafricana.

Congo. Una nuova guerra, o piuttosto una ripresa della guerra quasi quarantennale che infuria nel paese, sta scoppiando nella Repubblica Democratica del Congo, e precisamente nella regione del Kivu, dove nel febbraio del 2021 è stato ucciso l’ambasciatore italiano Luca Attanasio. I ribelli del gruppo M23, il “Movimento per il 23 marzo” stanno infatti attaccando la città di Goma, con buone premesse che i combattimenti si estendano a tutta la regione orientale del Congo. Regione complessa e instabile, dove da decenni operano diversi gruppi armati di diversa affiliazione ideologica, politica, o puramente dediti ad attività banditesche o mercenarie. I combattimenti in corso a Goma sono forse ispirati dal limitrofo Ruanda, che sostiene i ribelli dell’M23 e che nutre ambizioni quasi-egemoniche e di controllo anche militare in un’area estremamente ricca di risorse minerarie. Si tratterebbe quindi di una guerra per procura dovuta al controllo di minerali richiestissimi dall’industria tecnologica, anche ai fini della transizione energetica (le cosiddette “terre rare”).

Elementi comuni. Come quello in Sudan, tuttavia, anche il conflitto in Congo contiene elementi, del resto purtroppo tradizionali, di odio etnico: quello tra Hutu e Tutsi, i principali gruppi della regione dei Grandi Laghi, che comprende Ruanda, Burundi, Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania e Kenya, dove è ancora vivo il ricordo del genocidio del 1994 in Ruanda, che segnò il culmine dello scontro tra queste due etnie con il massacro dei Tutsi, meglio collocati nel potere, da parte degli Hutu, più numerosi ma più bassi nella classe sociale. Dopo il genocidio i Tutsi tornarono al potere in Ruanda, costringendo molti Hutu a migrare in massa in Congo. Da allora il Ruanda sostiene che la Repubblica Democratica del Congo protegge e coopera con le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), una milizia formata dagli Hutu fuggiti dal paese. A sua volta il Congo accusa il Ruanda di sostenere i ribelli dell’M23, che sono prevalentemente di etnia Tutsi e rivendicano il loro ruolo di protettori dei Tutsi congolesi. Tra milizie varie, reparti militari del Burundi a difesa del Congo, compagnie private europee, e la missione  MONUSCO delle nazioni Unite, si combatte nella regione una guerra dove l’odio etnico nutre le efferatezze di un confronto per il controllo delle risorse. Entrambi i protagonisti in campo, Congo e Ruanda, si rifiutano però di arrivare a una fine del conflitto, nonostante le mediazioni portate avanti soprattutto dalle Nazioni Unite e dagli Stati Uniti.

Caratteristiche delle guerre d’Africa. Tassello rilevante, anche se poco mediatizzato, della “guerra mondiale a pezzi” evocata dal Papa, i conflitti africani sono focolai importanti del disordine mondiale. Ovvero, si dovrebbe forse dire, dell’”ordine” mondiale basato proprio sulla guerra decentrata come strumento di gestione dell’esistente, finalizzato a ostacolare o a ritardare la strutturazione multipolare che si sta già manifestando, e a mantenere finché sia possibile i paradigmi del capitalismo neoliberista e del mercato globale senza regole. Con l’eccezione della guerra d’Ucraina, “obsoleta” per concetti e per modalità, i conflitti non avvengono fra stati e fra eserciti regolari, ma fra milizie, gruppi mercenari, bande terroristiche, compagnie private di contractors; e il confronto è quasi sempre asimmetrico. Per l’Africa questa non è una novità. Proprio il Congo ha conosciuto anni tragici, fra il 1960 e il 1965, quando dovette affrontare, per menzionare solo le crisi principali, la secessione del Katanga (oggi Shaba), la ribellione dei Simba, la cruenta riconquista del paese da parte dei mercenari di Jean Schramme.

Un continente “vergine”. Logorata da questi e da altri conflitti, oppressa dallo sfruttamento economico operato da paesi occidentali e dalle loro multinazionali, l’Africa è un continente sostanzialmente ancora “vergine”. Nonostante il colonialismo ottocentesco e il neocolonialismo successivo alle indipendenze, nonostante lo sfruttamento predatorio tuttora in corso, l’Africa è ancora una delle aree più ricche del mondo; in risorse, ma anche in potenzialità di crescita, grazie alle risorse minerarie, alla disponibilità di acqua, all’estensione delle foreste e dei terreni messi a coltura. “Vergine” anche perché i popoli africani, molto giovani anagraficamente e ad alto tasso demografico, non hanno ancora espresso al cospetto del mondo le grandi potenzialità che posseggono.

Il fallimento dell’Europa. Incapaci di cogliere la straordinaria opportunità che sarebbe derivata dallo stabilimento di equi rapporti politici ed economici con il grande continente, i paesi europei hanno per lo più badato a mantenere fallaci posizionamenti geopolitici, come per esempio la Francia nelle proprie vecchie colonie, e a esercitare forme di cooperazione superate e non utili a favorire un vero sviluppo economico e sociale. Al contempo, le grandi multinazionali delle risorse minerarie e agricole hanno imposto condizioni durissime di sfruttamento e di sottrazione ai popoli di estesissime aree da mettere a coltura per alimentare i mercati di tutto il mondo. Governi locali corrotti e collaborazionisti hanno favorito tutto ciò, mentre il sistema di governance globale gestito dall’Occidente e dalle sue istituzioni più rappresentative, il Fondo Monetario e la Banca Mondiale, opprimevano molti paesi africani con la tenaglia dei prestiti pesantemente subordinati a dure condizioni di risanamento del debito. L’Occidente non ha saputo intercettare, in sostanza, le grandi domande dell’Africa per uno sviluppo socio-economico non ostacolato da iniqui rapporti di scambio, per una risoluzione dei vincoli che ne sono derivati, per un riconoscimento da pari, per non dover subire spocchiose e ricorrenti critiche in fatto di diritti umani, laddove non sempre si tratta di brutalità (che peraltro tolleriamo con grande condiscendenza presso paesi amici… e ricchi), ma piuttosto di costumi sociali o di situazioni di arretratezza difficili da rimuovere in tempi rapidi (l’Europa ci ha impiegato come  minimo un migliaio d’anni).

Un nuovo colonialismo. La prima a comprendere che fra Europa e Africa si creava un vuoto di opportunità, è stata la Cina, la quale con grande tempismo e pragmatismo offre ai paesi africani il ripianamento del debito e la costruzione di importanti infrastrutture, ricevendone in contraccambio la disponibilità di importanti materie prime. Certo, anche questa è una forma di sfruttamento economico; esso, tuttavia, più che le strategie occidentali, ha favorito una crescita interessante per molti paesi; non solo economica, ma anche sociale, con lo sviluppo di ceti medi del tutto analoghi a quelli che peraltro stanno venendo meno in Occidente. Su linee analoghe si muovono paesi come l’Arabia Saudita, che utilizzano la leva finanziaria per accaparrarsi risorse e terre da deforestare e mettere a coltura. Per le loro finalità, Cina e paesi del Golfo non intervengono militarmente e non suscitano conflitti armati (diversamente da quanto fatto in Nordafrica, dove, per esempio, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno sostenuto diverse fazioni armate). Lo strumento della guerra è invece utilizzato dalla Russia, tramite la Wagner. Mosca coltiva la doppia finalità di accaparramento di risorse e di posizionamento geostrategico in cambio di aiuto militare, per poter influire sui grandi traffici e le grandi migrazioni e poter quindi premere sugli avversari occidentali, anche sostituendoli in vari luoghi in quanto a influenza geopolitica. Obiettivi analoghi ha la Turchia, che gode già di solide posizioni nel Corno d’Africa (oltre che in Libia) e mira a essere fra i paesi che controlleranno il Mar Rosso e lo Stretto di Bab el Mandeb.

L’ennesimo fronte per l’Europa. Per l’Europa, ora come ora e a causa dell’insipienza politica dimostrata da decenni, l’Africa costituisce un terzo fronte strategico, essendo il primo quello occidentale, dove sta subendo il graduale abbandono dell’America dagli scenari del continente e il secondo quello russo, dove si sta ingaggiando in una guerra di parole che potrebbe presto trasformarsi in confronto militare più o meno aperto. Il fronte africano comporta per l’Europa la perdita di controllo nel Mediterraneo, dove sulla riva sud sono sempre più presenti potenze un tempo aliene e dove la Russia sta potenziando le proprie basi, e l’incontrollata pressione migratoria, che sarà certamente in crescita nei prossimi anni a causa dei cambiamenti climatici. L’ormai inesistente influenza europea nell’area del Sahel e dell’Africa centrale, dove non a caso nuovi regimi si pronunciano in maniera ostile all’Europa, aggrava in modo ancor più evidente la sostanziale irrilevanza del nostro continente, e dell’Unione Europea, nelle questioni internazionali di rilievo.

 

Mario Boffo

Articolo precedente
Le nuove recinzioni (registrazione)
Articolo successivo
Costituzione. Proviamo a ricordare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.