articoli

Cosa succede in Serbia

di Marino
Calcinari

Se lo chiede anche chi come Dragana vive da molti anni a Trieste dopo aver lasciato la ex Jugoslavia oltre 30 anni fa ed essere emigrata a Vienna dove vive ancora parte della famiglia, che lei ogni tanto va a trovare utilizzando il Flixbus che parte ogni giorno dalla piazza della stazione, accanto a quel silos ove pervengono i migranti della rotta balcanica..

Attualmente lei vive qui nella periferia della città a Rozzol Melara, un complesso abitativo in stile brutalista, che si presenta come un alveare di cemento e ferro, chiamato “comprensorio”, formato da due corpi di fabbrica a L, dai sette ai quindici piani, del volume di 267.000 metri cubi e che si estende su una superficie di 89.000 metri quadri e conta 648 appartamenti, da 45 a 100 mq, e circa 2.500 residenti.
Recentemente riscoperto dalla TV nazionale per l’ambientazione di una fortunata serie TV (“la Porta rossa” un fanta thriller alquanto discutibile) a Melara vivono molte famiglie non solo della comunità serba ma anche delle molte altre che ormai caratterizzano il capoluogo regionale in senso sempre più policulturale e multietnico ma i serbi, possiamo dire, sono da sempre a Trieste, la chiesa serba ortodossa di San Spiridione costruita tra il 1860 e il 1868 dall’architetto milanese Maciacchini, piastrellata con mosaici conserva ed esibisce un gigantesco candelabro dono dello Zar Paolo I di Russia che fu a Trieste per un breve soggiorno nel 1772… ma non divaghiamo.

Con Dragana ho avuto una lunga conversazione telefonica, chiedendole se potesse rispondere a qualche domanda, che sono essenzialmente quattro:

  • da quanti anni vivi a Trieste;
  • che ricordi hai della Serbia;
  • hai ancora contatti con il tuo Paese;
  • cosa pensi della situazione attuale. 

Dopo un’ora ecco la sintesi della nostra conversazione.
“Ormai vivo a Trieste dal 1992, ma ricordo che sono nata, sono cresciuta ed ho vissuto in un bel tempo, in un sistema politico dove la scuola l’istruzione erano gratuite, dai libri di testo alle mense scolastiche, ho preso il diploma completando tutto il ciclo scolastico nel 1986, vivevo in un piccolo paesino, Veliko Gradiste, poco lontano da Posarevac che è a 80 km da Belgrado ed ho ancora ricordo dei suoi giardini. Io vivevo con i nonni che avevano un appezzamento di terra, coltivano verdure nella campagna che era suddivisa per le diverse coltivazioni, mais e grano, soprattutto e poi le vigne, c’era una stalla con un bue e le gabbie di conigli. Allora si viveva meglio ma dopo il 1990 i “potenti” decisero che quel sistema andava cambiato, cominciarono a parlare di America, altre opportunità, e c’era chi allora voleva la divisione del Paese, i primi ad esprimersi in questo modo e che vollero secedere furono gli sloveni, fu un trauma terribile. Io vivevo, come ho detto, coi miei nonni, ma i miei genitori erano a Vienna ed ancora adesso lì vivono mia madre e mia sorella. Ancora adesso non mi capacito di come sia successo che la Jugoslavia sia finita, so che ci sono state politiche di indebolimento, di divisione, di nazionalismi che si sono trasformate in rivalità ed egoismi sociali, ed anche poi di contrapposizione etnica, non ci potevi credere ma è successo. Vedo cosa sta succedendo adesso, ma quella ribellione dei giovani era cominciata più di tre mesi fa, con la tragedia di Novi Sad e i 15 morti sotto la tettoia, 15 morti e nessun colpevole, è stato come il detonatore di una reazione che ha coinvolto oltre 1 milione e 600 mila persone che chiedono verità e giustizia e di individuare le responsabilità ed i colpevoli. Io mi sento di stare con loro, ho visto alla TV il grande corteo, il Presidente Vucic deve andarsene, non solo per questo fatto, ma per quello che ha compiuto prima, ha svenduto letteralmente tutte le ricchezze, industrie, minerali e terre rare, il litio, di cui è ricca la Serbia ai cinesi ed ai tedeschi. Per fortuna i giovani hanno capito e si stanno ribellando, chiedono verità e giustizia, non sono disposti a compromessi.” 

Fin qui la conversazione con l’amica Dragana.
Ecco poi quanto scrive La Voce del Popolo, quotidiano in lingua italiano che è diffuso in Slovenia, e nell’Istria croata: “Sabato 15 marzo, decine di migliaia di persone – 107.000 secondo la polizia, fino a 325.000 secondo gli organizzatori – si sono radunate nel cuore di Belgrado per la manifestazione ‘15 per 15’, organizzata dal movimento studentesco.
’obiettivo: chiedere giustizia e responsabilità per la morte di 15 persone nel crollo di una tettoia alla stazione ferroviaria di Novi Sad, avvenuto il 1° novembre 2024. Ma ciò che doveva essere un momento di commemorazione silenziosa si è trasformato in un episodio controverso, segnato da accuse di uso di un’arma sonora vietata dalla legge.
La protesta, che si stava svolgendo senza incidenti, ha raggiunto il culmine alle 19, quando i manifestanti hanno osservato 15 minuti di silenzio in Piazza Slavija per onorare le vittime della tragedia di Novi Sad. Tuttavia, il silenzio è stato interrotto da un suono acuto e potente, che ha scatenato panico e confusione tra i presenti. Numerosi video, diffusi sui social media, mostrano scene di persone che si coprono le orecchie, disorientate, mentre alcune fuggono spaventate. Secondo testimoni e analisti, il suono sarebbe stato prodotto da un cosiddetto ‘cannone sonoro’, un’arma non letale che emette onde sonore intense per disperdere la folla, causando disorientamento, mal di testa, nausea e, in casi estremi, danni permanenti all’udito. L’uso di tale dispositivo è vietato dalla legge serba”. 

Certo il governo di Vucic non gode veramente di popolarità, ma chi oggi si batte per la democrazia e per l’unità europea dovrebbe sapere e capire come muoversi e comportarsi davanti a questo scenario, niente affatto rassicurante.

Marino Calcinari

Articolo precedente
Il buttafuori
Articolo successivo
Trump, la UE e la Grecia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.