articoli

Il buttafuori

di Luciano
Beolchi

Ogni articolo ha il suo destinatario per piccolo o grande che sia il numero dei suoi lettori. Questo articolo ha come destinatari quanti guardano infastiditi, seppure ci guardano, a chi cerca una definizione corretta del fenomeno trumpista, soprattutto se come noi usa la parola fascismo. Questo destinatario si chiama in egual misura destra moderata e sinistra moderata. Entrambi li senti dire: che cosa ci sarà mai da temere dal fascismo. In fin dei conti, se al nazifascismo si deve attribuire una colpa davvero grave sarebbe quella dello  sterminio degli ebrei, ma questa è un’evenienza sicuramente da scartare per Trump come per tutti i politici americani, democratici in testa, visto che sono i migliori amici degli ebrei e dei sionisti (che non sono solo tra gli ebrei); e anzi sono coloro che li incitano e li armano- gratuitamente – per togliere di mezzo i palestinesi e, se non si decidono ad andarsene con le cattive, per sterminarli.

Se dunque non sussiste quel pericolo, cosa mai si pretende di fare denunciando come fascista il regime trumpiano: al più suona come un pretesto per offendere la democrazia americana.
Si dimentica che la metà di quanti morirono nei campi di concentramento e di sterminio non erano ebrei, se non in quanto ebrei comunisti ed ebrei militanti nell’armata rossa e nell’esercito repubblicano spagnolo, ma erano comunisti, omosessuali, rom e sinti, prigionieri politici e religiosi, soldati dell’armata rossa obiettori di coscienza, testimoni di Geova, minoranze etniche.
Dunque l’orrenda alleanza in atto tra fascisti e sionisti non svuota automaticamente i campi di concentramento, anche se può cambiarne i destinatari: non più gli ebrei ma i musulmani, i migranti, gli africani e poi i soliti comunisti, i russi, gli zingari; e si fa in fretta a far diventare campi di sterminio quei campi di concentramento che nascono come funghi in tutto il democratico mondo occidentale.

Ma, dicono i nostri moderati di destra e di sinistra, noi non siamo né musulmani, né comunisti, né africani né zingari, perciò cosa abbiamo da temere?
Gente di cattiva memoria lor signori dimenticano che il fascismo porta sempre e comunque la guerra, e non c’è cedimento o concessione che lo possa accontentare. Oppure ci vogliono dire che una guerra commerciale come quella testé cominciata è semplicemente un’onesta e pacifica forma di concorrenza che niente ha a che fare con le guerre? Poco importa che dalla guerra commerciale a quella guerreggiata il passo sia spesso molto breve. Trump casomai è uno che le guerre le fa terminare – ci spiegano – non che le inizia e qualcuno sta già brigando perché gli si conceda il premio Nobel per la pace. In Ucraina Trump fa di tutto perché la guerra passi di mano e tenga impegnati in un modo o nell’altro il fastidioso e petulante gregge degli ex alleati e l’amico Putin.

Il villano e i predecessori

Sul modo di trattare il loro amico e campione Zelensky gli europei e non solo i loro capi di stato hanno strabuzzato gli occhi. Non è certo la prima volta che succede e si può anzi dire dire che il bullismo diplomatico è un’abitudine: dai tempi di Theodore Roosevelt a quelli di Woodrow Wilson che convocava il presidente messicano e i suoi avversari negli Stati Uniti “per risolvere i problemi del Messico”.
Il caso forse più eclatante resta l’accoglienza fatta dal neopresidente Truman al ministro degli esteri dell’URSS, Vjaceslav Molotov. Truman, che Roosevelt si guardava bene dal far avvicinare alle questioni diplomatiche, era diventato Presidente da poche settimane in seguito alla morte improvvisa del suo predecessore. Accogliendo Molotov per la prima volta lo aveva trattato come un cane, costringendo il ministro degli esteri della più grande potenza militare del mondo a protestare perché nessuno la aveva mai trattato così e quello rispose cacciandolo via in malo modo e aggiungendo “Dì al tuo capo…”.  Proprio come in un cattivo film di gangster perché, spiegò Truman agli esterrefatti collaboratori “bisognava insegnare ai rossi quale era lo stile americano.” 

Passando dall’altra parte dell’Atlantico il Parlamento europeo procede nel suo poco nobile tentativo di riscrivere la storia della seconda guerra mondiale, dimenticando che a costringere l’alleata Cecoslovacchia – nel 1938 – a cedere una parte considerevole del suo territorio agli invasori tedeschi furono i suoi alleati, Francia e Inghilterra, e lo fecero, esattamente come gli USA nei confronti dell’Ucraina, senza invitare il Presidente cecoslovacco Benes al tavolo delle trattative. L’unico paese che si rese disponibile a prestare aiuto militare alla Cecoslovacchia fu l’Unione Sovietica, ma su consiglio di Francia e Regno Unito sia la Polonia che la Romania negarono il passaggio all’armata rossa il cui aiuto era stato richiesto da Benes.

Il re è nudo

Ha fatto di più Donald Trump per denunciare la mistificazione della democrazia borghese di quanto abbiano fatto tutti i marxisti in un secolo e mezzo. Ha proclamato forte e chiaro: il re è nudo, ma il denudato monarca non era lui ma la democrazia americana. La Costituzione americana mette nelle mani di Trump un  Führerprinzip affatto  teorico perché gli permette di licenziare centinaia di migliaia di persone con un colpo di penna, cancellare agenzie e  programmi per i quali il parlamento si è azzuffato per anni, abrogare trattati internazionali debitamente sottoscritti, ritirare il suo paese da organismi che per decenni hanno spaccato il capello in quattro per un centesimo di spesa, dichiarare finito il disastro climatico che si avvicina in mille evidenze, prove, tragedie climatiche. Aspettiamo che si cospargano il capo di cenere tutti i Rampini che per decenni ci hanno sempre spiegato con sussiego che dobbiamo inchinarci di fronte alla più grande democrazia del mondo.
Come si può facilmente capire il  Führerprinzip fu introdotto da Hitler subito dopo la sua nomina a cancelliere nel 1933. Una volta giunto in parlamento con la sua maggioranza relativa, che diventava di governo con l’appoggio del democristiano Von Papen, non ebbe altro da fare che dichiarare fuorilegge il Partito Comunista, arrestare i suoi deputati che non erano riusciti a entrare in clandestinità – uno scherzetto non proprio costituzionale. Il Führerprinzip cui s’ispira anche la democrazia americana in pochissime parole vuol dire: il pensiero del Führer fa legge e la sua volontà è superiore a qualsiasi altra volontà, legislazione o istituto. Superiore anche alle stessa Costituzione e ovviamente alla volontà del Parlamento. Infatti in Germania non ci fu bisogno né di abolire l’una, né sopprimere l’altro. Né questo bisogno si sente negli USA.
In subordine Trump ha fatto saltare il privilegio dei bianchi, il privilegio di contare più degli altri e invece ad occhi americani il suprematismo bianco è suprematismo dei bianchi americani. Gli altri sono tutti negri e così può capitare che il Canada sia trattato peggio del Messico. 

Una guerra cominciata male e finita peggio

Le guerre della NATO cominciano e finiscono quando lo dicono gli americani.
La guerra è stata persa – o non è stata vinta – perché si sa che i russi sono selvaggi disposti a sacrificare i loro figli, padri e nipoti. Ma se “si sa” oggi, lo si sapeva anche prima e se ne sarebbe dovuto tener conto. Anche i tedeschi giustificarono la loro disfatta nella seconda guerra mondiale adducendo a responsabili il freddo e il fango: due cose non comparvero all’improvviso e per la prima volta nel 1941. Anche quelli c’erano anche prima e c’erano per i tedeschi, ma anche per i russi.
Quella ucraina è una guerra voluta dagli americani: e più dai democratici che dai repubblicani. È stata cercata da Biden che non ha neanche voluto discutere le ragioni, giuste o sbagliate, dei russi; e chi aveva spinto sull’acceleratore più di ogni altro era stata Hillary Clinton.
Trump ha buon gioco a dire che lui non l’avrebbe fatta. Nessuno può provare il contrario. Il fatto è che lui l’ha portata verso l’inevitabile conclusione. 
L’Europa ha continuato a darsi martellate sulle dita, per così dire, con due espressioni facciali intercambiabili sulla faccia della Presidente von der Leyen: quella sorridente di chi è sicuro di vincere a mani basse e quella severa di chi sa quello che fa e che si deve fare. Nessuno le ha detto che la guerra è finita, anche se la gente continua a morire e che lei non è dalla parte di chi ha vinto. Continua a sorridere e promette di farlo fino alla vittoria inevitabile e alla pace giusta.
E quel mezzo milioni di giovani che sono morti? Sono sulla coscienza dei migranti che l’Europa ha combattuto nel frattempo come suoi più terribili nemici?
E l’Ucraina? Distrutta, fatta a pezzi, tutte le infrastrutture e un’infinità di abitazioni da ricostruire, l’apparato produttivo da rimettere in piedi, difendendola, per quanto possibile, da quelli che da amici per la pelle sono diventati creditori avidi ed esosi. Ma queste sono cose materiali che bene o male, prima o poi si aggiustano.
Il danno più grave e duraturo è che una democrazia di per sé fragile è stata sottoposta a una prova micidiale: cancellati i partiti, interrotto il dialogo tra le diverse comunità che perlomeno dalla fine della seconda guerra mondiale vivevano ragionevolmente in pace; il Paese in preda alla corruzione sulla quale si sono giocate anche le vite di tanti ragazzi. Non è difficile immaginare che quando si andrà a vedere la provenienza dei caduti per classi di reddito, si scopriranno diseguaglianze e scompensi da far accapponare la pelle. Poi arriveranno i polacchi e i rumeni sotto forma di imprese e/o di soldati e bisognerà pagare anche quelli perché non verranno gratis. Un paese con queste terribili ferite morali non può che diventare rancoroso e incattivito, gli uni avvelenati contro gli altri e molti disponibili a seguire chi strillerà di guerra persa, di tradimento, di pugnalata alle spalle. E si scoprirà, guarda un po’, che i fascisti non erano frutto della propaganda putiniana, ma ci sono, sono già organizzati militarmente e sono tanti.
Chi parlava a vanvera di un’Ucraina “una di noi”, chi pretendeva il suo ingresso in Europa in tempi brevissimi, ha purtroppo grandi possibilità di trovarsi di fronte a un paese fascistizzato, alla ricerca della patria perduta e si domanderà se davvero è il caso di accelerare l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea; se non sia portatrice di quel morbo fascista che l’Europa sta già covando di per sé e di cui ha dato prova collettiva nella Risoluzione del Parlamento del 23 gennaio 2025.
Riemergeranno tutte le tendenze centrifughe e quell’orrendo slogan Make *** great again non può che suonare foriero di sventura; e anche se tutti i paesi europei diventassero fascisti, come suggerisce il Parlamento europeo, questo non potrebbe che portare disgrazie, veleno e lotte fratricide, come è nella natura stessa del fascismo.
I 27 governi europei vanno come al solito in ordine sparso, ma sono evidentemente frastornati e fanno come se non fosse successo niente, sicché prendono e fanno prendere all’Ucraina altri pesci in faccia. Dopo aver licenziato la sedicesima lista di sanzioni proprio mentre Trump diceva che la guerra era finita e le sanzioni bisognava pensare di toglierle e non a metterle, hanno presentato al G7 un documento che ripeteva la giaculatoria degli ultimi tre anni: Putin aggressore e criminale, pagherà caro, pagherà tutto; e il governo americano non ha firmato; non contenti hanno presentato all’ONU una risoluzione fotocopia che ha creato un inedito asse USA- Russia. E poi sono stati sbaragliati al Consiglio di sicurezza che con dieci voti a favore e cinque astenuti ha visto trionfare la mozione americana che parla di pace e non ripete l’inutile giaculatoria di cui sopra.
Le autorità europee sembra che vivano in un altro mondo. A cuccia, ha fatto dire Trump a Zelensky e faccia mente locale sulla fine che è toccata a quelli che pensavano di fare di testa loro. Si ricordi di Saddam Hussein e di Tareq Aziz, del presidente afghano Hamid Barzai con i suoi splendidi mantelli. Si ricordi di Gheddafi.
Il truce, il grossolano, l’inaffidabile Trump si dimostra più sagace dei suoi raffinati servitori atlantici: se vuoi trattare con qualcuno, non devi coprirlo di insulti: devi offrirgli il caffè e poi lasciarlo in mutande.

Le regole di Trump

Le regole di Trump non derivano certo dal diritto internazionale, né dall’economia politica e tantomeno dall’etica del giudizio, ma dalla sua esperienza nel mondo commerciale: quando due imprese o due gruppi di imprese si affrontano e nessuna delle due riesce a far fallire l’altra o a comprarla, ciascuna delle due deve essere in grado di rifarsi delle spese sostenute nel confronto; e la cosa si può fare in molti modi.
In questo caso la posta in gioco era un’impresa minore, l’Ucraina, le cui risorse naturali e territoriali verranno spartite dopo un negoziato che sarà duro, ma non perché si parlerà di libertà, democrazia, sfere di influenza e di sicurezza, ma perché si parlerà di soldi; e a questo scopo Trump ha messo in campo non dei Kissinger, ma due tycoon speculatori immobiliaristi le cui capacità negoziali lui conosce bene.

L’Unione Europea è stata clamorosamente espulsa dal terreno di gioco a fine partita: cartellino rosso ed espulsione nel mentre stava sottoscrivendo la 16a lista di sanzioni autolesioniste che l’hanno portata a pagare il gas cinque volte quello che lo pagava prima e cinque volte quello che lo pagano i concorrenti americani. Tutto a un tratto gli Stati membri si sono accorti che quelli che si vantavano di avere come partner cui li legavano indissolubili legami di giustizia, libertà e democrazia (e anche di affetto) era anche giudice-arbitro della partita oltre che giocatore in campo.
Eppure non sono passati neanche tre anni dallo schiaffone di Doha, quando gli americani hanno trattato per anni con i super terroristi afghani e un bel giorno se ne sono andati senza avvisare e portandosi via la cassa.
Veniamo dunque alla vile questione dei soldi, perché anche i membri dell’Unione Europea hanno messo sul tavolo molti soldi, in contanti e in armamenti. È vero, nei gloriosi momenti della battaglia nessuno era così volgare da dire a Zelensky che il conto si allungava; e se qualcuno accennava al problema, “Pagherà la Russia” si rispondeva. Anzi, quei soldi della Russia che sarebbero serviti per la ricostruzione del paese, si cominciava già a dividerseli: tanto alla Francia, tanto all’Inghilterra, un po’ meno all’Italia, niente all’Ungheria che non ha collaborato.
L’Europa, dicono concordemente il giudice-arbitro e il suo amico Putin, ha starnazzato che era sotto attacco di una potenza straniera, che era sul punto di essere invasa, anzi che la stavano già invadendo perché, come dicevano con voce fremente quasi tutti i capi di stato e quasi tutti i parlamenti che acclamavano Zelensky, “Zelensky è uno di noi. Zelensky siamo noi”. Dunque, se l’Europa correva in aiuto di qualcuno era di se stessa. Non lavorava per il bene del mondo, come gli Stati Uniti; e non per garantire la propria sfera di influenza, come sosteneva per parte sua la Russia.
Lavorava e spendeva per difendere i propri confini minacciati ed è semmai debitrice: verso gli Stati Uniti che sono intervenuti per pura generosità ed eventualmente verso l’Ucraina che indubbiamente è quella che ha pagato più caro di tutti la difesa dei confini comuni e può giustamente pretendere una perequazione.
La stessa struttura istituzionale europea, con la guerra ucraina, è arrivata al dunque e il denudamento del re ha dato modo di vedere: un presidente non eletto, senza esercito e senza nessun potere nei confronti di un parlamento che a sua volta ne ha pochissimi nei confronti del Consiglio europeo, a sua volta bloccato dal diritto di veto; e comunque non eletto per le funzioni che svolge.
Zelensky e l’UE si aggiungono alla lunga lista dei traditi e abbandonati dagli Stati Uniti. Non ci credevano gli amici ucraini quando li si avvertiva che la NATO e gli americani erano i loro peggiori nemici; che li avrebbero sacrificati e sfruttati fino in fondo; e poi gli avrebbero presentato il conto. Libertà, democrazia, patria: tutte parole vuote, quando la cosa da capire era che l’Ucraina aveva un problema interno che avrebbe dovuto restare tale. Risolvendo quello, in maniera equa e accettabile per tutte le parti, anche i problemi esterni si sarebbero risolti. E invece, cosa ha fatto Zelensky? Ha messo fuori legge la lingua russa. Ha messo fuori legge i partiti russofoni e si è consegnato mani e piedi a chi per tutt’altri motivi era schierato contro i russi. Lo stesso rischio che stanno correndo i georgiani, che hanno paura di Mosca e sono pronti a consegnarsi alla NATO, per fare la stessa fine dell’Ucraina.

Instrumenta regni

Quasi novanta anni fa Togliatti nelle Lezioni sul fascismo diede del fascismo una definizione che merita di essere ricordata: “Il fascismo è la dittatura terroristica aperta dei settori più reazionari aggressivi e imperialisti del capitale finanziario”. Basta guardare il terzetto Trump, Musk e Vance e riflettere sulle loro gesta recenti e meno recenti per constatare quanto la definizione sia ancora azzeccata e attuale: gli interessi che impone il fascismo sono quelli del capitale finanziario, al comando sono i suoi settori più aggressivi, reazionari e imperialisti e i metodi impiegati all’interno come all’esterno del paese dominante sono quelli di una dittatura terroristica aperta che non fa nessuno sforzo per mascherarsi.
Il limite di questa definizione è di non fare cenno agli instrumenta regni, gli strumenti indispensabili di dominio che sono il Führerprinzip– da cui può derivare e spesso deriva il culto del corpo del capo – e il partito unico.
Diciamo pure, in prima istanza, che il Führerprinzip e il partito unico sono indispensabile complemento di fascismo. Il culto del capo, anche in considerazione del fatto che in tutte le numerose esperienze europee il fascismo non andò oltre la prima generazione, tende ad essere sostituito da impianti ideologici come il manifest destiny negli Stati Uniti e il sionismo in Israele. Non che Hitler col Reich millenario e Mussolini che s’intestò addirittura un’era non fossero consapevoli del problema, ma le circostanze e l’antifascismo mondiale furono loro avversi e quei progetti non ebbero neanche il tempo di affacciarsi alla coscienza collettiva, mentre base e radicamento ben diversi hanno il manifest destiny e il sionismo come teoria del popolo eletto.
Il Führerprinzip fu lo strumento attraverso il quale s’impone il potere assoluto e indiscutibile del capo. Hitler lo stabilì dopo poche settimane di governo. Mussolini, più grossolano e sbrigativo riassunse lo stesso principio nell’espressione arcinota: Il duce ha sempre ragione e Franco nei tre articoli fondativi della falange tradizionalista che lo nominavano in perpetuo Caudillo, Capo dello stato, Capo della Falange medesima, Capo dell’esercito e Capo della Milizia.
Il partito unico in tutti e tre i casi citati era lo strumento altamente intrusivo, pervasivo e omologatore per esercitare il dominio sulle le classi subordinate, in base al principio che la libertà si associa con la proprietà, non certo con la democrazia. Nelle società attuali si è ridotto il bisogno coreografico e intimidatorio di far sfilare orde di camicie nere, brune o azzurre. Gli strumenti del dominio e dell’omologazione informatica attuale ci sembreranno giochi da ragazzi quando li confronteremo con l’intrusività, la pervasività e il dominio dell’AI.
Già Schumpeter aveva dichiarato che la libertà politica non è necessariamente democratica, a significare che la partecipazione popolare alle decisioni non è affatto necessaria. La libertà politica fin dai tempi della fondazione degli Stati Uniti d’America è riservata ai pochi e basata sulla violenza, secondo meccanismi noti e studiati da lunga pezza- si veda per tutti il classico Out of our past di Carl N. Degler. Gli Stati Uniti hanno una loro storia, quelli che Machiavelli chiamava “Principi suoi”, fatti di prevaricazione, violenza, discriminazione, schiavismo, fondamentalismo e intolleranza religiosa e rinnovare non significa altro che “tornare a quegli principi suoi”.
Oggi lo strumento del partito unico è l’AI, assai più efficace nel prendere le decisioni della baraonda elettorale. Una macchina “neutrale” si sostituisce alla partigianeria umana. È una maniera come un’altra di dire che libertà e proprietà sono indissolubili. Tu sarai libero di trasferirti da Kinshasa a Ottawa se hai i soldi per farlo, sarai libero di studiare se hai i soldi per farlo. Smettiamo di diffondere pericolose illusioni tra i poveri, L’AI provvederà a tutto questo.

Luciano Beolchi

Articolo precedente
I popoli europei sono chiamati a interrogarsi sul rilancio dell’attività antimilitarista e disarmista
Articolo successivo
Cosa succede in Serbia

1 Commento. Nuovo commento

  • Antonietta Catellani
    28/03/2025 13:42

    Grazie professore beati i suoi studenti.!Spero di convincere un mio nipote a trasferirsi nel su ateneo

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.