articoli

Comunque comunisti

di Roberto
Musacchio

Confesso che mi fa impressione rendermi conto di aver partecipato dal vivo ad una vicenda come quella dello scioglimento del PCI ritrovandola ancora ora a decenni di distanza sui giornali. A colpi di testi sulla grande stampa, Occhetto cui risponde Tortorella, ma anche di riprese sui social da parte di compagni con cui ho condiviso pezzi di quella Storia e poi di quella successiva di Rifondazione comunista. Mi fa impressione perché mi ritrovo avanti con gli anni e come uno dei testimoni rimasti con un certo accesso alle discussioni avvenute allora in quanto lavoravo a Botteghe Oscure e facevo parte del Comitato Centrale. La discussione aperta da Occhetto verte su una ipotetica richiesta di intervento sovietico contro le sue, di Occhetto, intenzioni. Cosa recisamente negata da Tortorella che ricorda e rivendica l’autonomia che il PCI aveva da tempo. Claudio Grassi, che viene dall’area cossuttiana e con cui ho condiviso, essendo io ex Pdup e della mozione Ingrao, quella battaglia e poi una lunga parte di Rifondazione Comunista, ha lamentato una qualche continuità nel considerare Cossutta ancora altro. Io condivido con lui che a tutti coloro che difesero il PCI e soprattutto costruirono la democrazia dobbiamo comunque un ringraziamento. E che il  cruccio è, aggiungo, non essere stati noi all’altezza. Nel merito penso che il punto sia provare a ricostruire più precisamente i temi intorno ai quali si svolsero discussioni e decisioni di allora. Che non mi pare fossero proprio il rapporto con l’Urss dove per altro c’era Gorbaciov con cui semmai il rapporto fu colpevolmente debole anche da parte dei comunisti (“Ma che preferite Eltsin?” dissi una volta ad un occhettiano, scherzando ma non troppo).

Ma il tema fu, se la memoria non mi falla, una “discussione sul comunque”. Cioè se bisognasse comunque uscire o comunque restare dentro. Io, che stavo allora col gruppo del Pdup, sostenni il vedremo. Poi i tempi furono sfasati ma possiamo dire che ci trovammo fuori e a fare perlopiù Rifondazione comunista. Che è stata una reale resistenza. Infatti oggi tutto è peggio. In realtà la discussione sul comunque non era solo tattica ma rimandava alla possibilità o meno di rifondazione di un partito comunista dopo il socialismo reale. Secondo me ci fu un certo grado di “sconfittismo” in gran parte del gruppo dirigente che rese più difficile la battaglia politica contro l’occhettismo e che poi lasciò molto popolo comunista privo di una parte significativa dei suoi dirigenti. Una parte sostanzialmente lasciò. Altri continueranno culturalmente. Rifondazione si trovò a guida di personalità che erano limitrofe al grosso del gruppo dirigente della Storia del Pci. E ciò ha condizionato la Storia successiva. Occhetto prova a coinvolgere nelle sue scelte Enrico Berlinguer. Io allora ero fuori, nel Pdup. Devo dire che avevo l’impressione che Berlinguer non avesse per nulla quella tentazione. Anzi che cercasse una riconnessione storica e sociale della questione comunista. Penso all’eurocomunismo, alla lettura della questione morale come connessa al capitalismo, al terremoto, alla lotta alla Fiat, per la scala mobile e contro Craxi. Ricordo che fui tra coloro che propose di mettere a disposizione di questa nuova fase le forze del Pdup entrando nel PCI. Prevalse un certo attendismo e a mio avviso fu un grave errore. Arrivammo al PCI che Berlinguer era morto. I dirigenti contano e lui probabilmente era l’ultimo che come Togliatti facesse politica con tutto il suo essere coincidendo col partito. Trovai un partito che mi apparve grande ma un po’ smarrito e incerto. Un bel partito che mi lasciò fare una grande battaglia sul nucleare. Che persi e qualcuno mi disse che era meglio così. Io pensavo che era meglio avessimo vinto e lo scoppio di Chernobyl me lo confermò. Su quanto conta voler vincere mi concedo un ultimo ricordo un po’ annebbiato. Era la presentazione di non ricordo quale libro in una sala della Camera. Lo ricordo perché fu l’ultima volta che vidi Magri che aveva deciso di lasciarci e io non lo sapevo e fu poco dopo. La discussione, mi pare tra Ingrao e Bertinotti, la ricordo sul tema se il ‘68 chiudeva o apriva un’epoca. Con Ingrao che retrodatava la sconfitta già al 1956. E Bertinotti più “ottimista”. Lo aveva detto Gramsci che ci vuole il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà. Ma non è facile perché tutto passa per le persone, le loro costruzioni, la Storia. Il Comunismo certamente aveva perso alla fine di un secolo in cui aveva cominciato vincendo. Oggi però semplicemente non ci possiamo più permettere lo sconfittismo perché c’è la guerra che incombe. Ed allora forse è ora di ripartire da un comunque comunisti.

Roberto Musacchio

Articolo precedente
La sinistra radicale in Europa resta frammentata
Articolo successivo
“Abbiamo bisogno del tuo coraggio”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.