editoriali

Come in Francia?

di Roberto
Morea

La Francia si rivolta per la quarta volta contro la riforma pensionistica che Macron sta cercando di far passare. Una opposizione che raccoglie un ampio consenso e viene rappresentato politicamente da una sinistra nata sulle ceneri del partito socialista francese, quello che fu di Mitterand fino ad arrivare ad Hollande e che ora sembra scomparso dalla scena politica. In Spagna al contrario il governo socialista governa, in coalizione con Unidas Podemos, riuscendo a realizzare anche significativi risultati sul tema dei diritti dei lavoratori. Due esempi, forse estremi, di come il campo del socialismo democratico, ha attraversato la crisi della sinistra in Europa dopo la caduta del muro.

A parte le dovute differenze storiche e geografiche delle varie esperienze delle forze che fanno riferimento alla socialdemocrazia europea, esiste una chiave di lettura che spieghi il perché di una così articolata vicenda?

Io penso di si, per facilità prendiamo ad esempio quello che è il caso italiano.

Il paese con il più grande partito comunista d’occidente che, dopo la caduta del muro, sceglie di aderire al socialismo democratico europeo e di “normalizzare” la presenza di una sinistra con il fine di essere ammessa nel salotto buono del governo del paese.

Questa normalizzazione è passata attraverso la (s)vendita di asset pubblici come telefonia, industrie, poste ecc. e rivendicando il fatto che questa nuova sinistra di governo era riuscita a fare cose che la destra non era riuscita a fare. Questo cammino, neanche tanto lastricato da buone intenzioni, ha fatto si che il centro sinistra e il suo ispiratore, Prodi con il suo Ulivo, trasformasse la sinistra nel suo opposto, cioè il massimo garante della adesione ai principi del mercato unico europeo, a discapito degli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici che sono stati sacrificati all’altare della libera concorrenza e a quello della finanza.

Stessa sorte è successa agli eredi della sinistra che erano al di là del muro, come ad esempio in Cecoslovacchia poi separatasi.

Il congresso del PD, oggi, non sembra fare i conti con questa storia e continua a proporre una alternativa alla destra che non ha niente di veramente alternativo, né sullo scenario Europeo e internazionale, condividendo le scelte di guerra e del suprematismo occidentale verso il resto del mondo, né sul piano interno, in cui le ricette economiche sono ugualmente quelle di confindustria.

Ma allora perché nel nostro paese non abbiamo una forza socialista come quella in Spagna che almeno prova ad assumere la difesa del ruolo dello Stato per difendere salari e interessi collettivi o al contrario la dissoluzione del campo socialista che vediamo in Francia e la crescita di una sinistra di alternativa rappresentata da Melenchon ?

Indubbio che la passività che viviamo è uno degli elementi chiave ed è il frutto proprio di quella stagione di governo che il centro sinistra ha mantenuto a cavallo della fine del secolo e l’inizio del nuovo.

Pochi ricordano la riforma del sistema pensionistico in Italia, proprio perché, a fronte di quella enorme sottrazione di diritti per lavoratrici e lavoratori, sindacati e forze sociali non hanno alzato un dito, subendo il “fascino discreto” del governo amico.

Solo i 5 stelle nelle piazze dei vaffa… hanno raccolto quel malessere sociale e canalizzato quel malessere in un risultato elettorale, purtroppo solo in un risultato elettorale e non in una proposta politica, come abbiamo visto.

In Spagna, al contrario, il malcontento ha assunto, con Podemos prima e con Unidas Podemos poi, la fisionomia di una sinistra capace di tenere e di rilanciare una proposta politica che ha segnato e segna l’alternativa alle destre con una agenda e delle riconquiste sociali.

Che fare quindi qui? La domanda non ha una risposta semplice, potremmo dire che serve una sinistra che non legga l’oggi con l’idea di trovarsi ancora nel Novecento, perché il tempo in cui viviamo, per quanto tecnologicamente più avanzato ricorda molto di più l’Ottocento che il secolo scorso. Siamo di fronte al dilemma di una classe lavoratrice senza una coscienza di sé, di organizzazioni di massa scomparse e incapaci di creare conflitto. Tutto ciò rende complicato avere risposte politiche immediate capaci di ri-aggregare e di offrire una proposta credibile. Serve lavorare sul piano culturale e politico, a mio avviso, anche entrando nelle contraddizioni del sistema politico attuale.

Innanzi tutto, per sconfiggere il bipolarismo della finta contrapposizione di interessi e visioni, che, se ci sono, riguardano pochi e marginali aspetti del vivere sociale.

Per questo la proposta di Unione Popolare può essere efficace, promuovendo dal basso campagne e iniziative che alludono alla ricomposizione degli interessi del mondo del lavoro e contemporaneamente, realizzi una presenza “scenica” che superi la mera rappresentanza ideale.

Articolo precedente
La matassa e il bandolo
Articolo successivo
reddito contro profitto

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.