Il lungo colloquio (3 ore e 12 minuti è stato specificato) tra Biden e Xi Jinping in occasione del G20 di Bali, in Indonesia, è stato riportato in generale con un cauto favore dalla gran parte dei mezzi comunicazione. Indubbiamente il fatto che le due maggiori potenze economiche mondiali dialoghino tra loro può favorire un clima di maggiore distensione, sicuramente utile ad affrontare le numerose crisi in atto che hanno una dimensione sempre più intrecciata e globale.
I due partecipanti all’incontro sono in questo momento, e in modo evidentemente diverso dato i rispettivi contesti nazionali, più forti di quanto fossero qualche tempo fa. Più sicuro del suo ruolo il cinese che comunque ha avuto la conferma di un ulteriore quinquennio di leadership nel recente Congresso del Partito Comunista. Mentre l’americano è uscito meno malconcio di quanto si potesse prevedere dalle elezioni di Midterm, con il Senato ancora a guida democratica, mentre la Camera dei Rappresentanti è ormai quasi certamente finita sotto il controllo repubblicano.
Dal punto di vista cinese, come attesta la lettura dei media di Pechino in lingua inglese, la responsabilità del peggioramento dei rapporti tra le due potenze è da attribuire interamente agli Stati Uniti, vuoi per le provocazioni dei viaggi ufficiali di politici statunitensi a Taiwan (vedi Nancy Pelosi) ai quali si affiancano le promesse di massicci aiuti militari, vuoi per le varie iniziative di contrasto che tendono ad impedire lo sviluppo tecnologico cinese nei settori di punta. Xi Jinping ha riconfermato che la questione di Taiwan resta una questione cruciale, benché la sua soluzione possa essere rinviata nel tempo, ma ha anche cercato di convincere l’altro Presidente che la Cina punta ad una qualche forma di gestione condivisa degli assetti mondiali, non ad imporre il proprio predominio. Un multipolarismo grazie al quale tutte le parti possano beneficiare di una crescita economica condivisa e che non implica l’affermazione di un’egemonia cinese da sostituire a quella statunitense.
L’allineamento mondiale sulla guerra in Ucraina, che ha visto gran parte dei paesi esterni al campo dei paesi capitalisti maturi rifiutarsi di essere arruolati nel campo guidato dagli Stati Uniti, è considerato dalla Cina come un segnale evidentemente positivo, per quanto la leadership cinese segua con una certa apprensione l’evoluzione del conflitto. La Russia sembra essersi infilata in una palude dalla quale non sembra in grado di uscire vittoriosa, ma nemmeno può permettersi di riconoscere la propria sconfitta, che per altro sul terreno è lontana dall’essere certa. La Cina, con le sue prese di posizione sulla questione del ricorso ad armi nucleari, ha anche cercato di mettere qualche paletto ad eventuali iniziative avventuriste che provenissero dai settori più oltranzisti del gruppo dirigente russo, senza per questo arrivare alla rottura con Putin.
Anche dalla stessa Europa, pur allineata all’Amministrazione statunitense sull’Ucraina, qualche segnale di prudenza nel rapporto con la Cina è emerso negli ultimi tempi, come attesta il viaggio di Scholz a Pechino. Nella stessa direzione sembra andare anche il colloquio avvenuto a Bali in queste ore tra Macron e Xi, nel quale è stata espressa la comune volontà di tenere aperti canali di comunicazione e collaborazione. C’è sicuramente una differenza di approccio fra i due paesi europei per ragioni storiche. Per la Germania è prioritaria la dimensione economica, mentre il Presidente francese punta maggiormente a delineare un suo ruolo politico sulla scena globale, secondo una tradizione che la Francia, con varie oscillazioni, ha affermato dai tempi di De Gaulle.
La richiesta dell’incontro tra Biden e Xi, come hanno tenuto a sottolineare a Pechino, è venuta dagli Stati Uniti e si è svolta nel luogo dove si trovava ospitata la delegazione cinese. La mossa di Biden può avere avuto diverse motivazioni. Innanzitutto, il rischio che alla lunga gli effetti negativi e l’esasperazione del conflitto con la Cina sfuggissero al controllo delle due parti. Anche il timore che alcuni governi alleati, soprattutto in Europa, non potessero reggere a lungo le ricadute economiche e sociali di una nuova guerra fredda globale.
Qualche microscopico segnale di correzione di rotta si registra anche sull’Ucraina, dato che l’establishment militare vede il pericolo di un prolungamento del conflitto, con gli annessi rischi di eventi dagli effetti poco prevedibili, come la sospetta caduta di alcuni missili all’interno della Polonia. Non ci possono essere dubbi che l’eventuale, e per ora tutt’altro che certo, avvio di una trattativa per mettere fine al conflitto, solleciti iniziative di quei settori che la vogliono in tutti i modi ostacolare.
Biden ha dovuto anche mettere nel conto lo stesso elemento dello scenario globale che da Pechino viene esaltato con favore: il rifiuto di gran parte di quello che si chiamava “terzo mondo” di schierarsi dietro l’Amministrazione statunitense sull’Ucraina e su un ipotetico e assai complicato isolamento economico e tecnologico della potenza cinese. Intanto però ha acquisito una serie di iniziative finalizzate a rilanciare, attraverso consistenti investimenti statali, alcuni settori industriali importanti per mantenere il primato tecnologico. Non si è nemmeno dovuto troppo preoccupare delle conseguenze negative che questo avrà sull’apparato industriale europeo, mancando da questa parte dell’Atlantico una reazione adeguata.
La ripresa di un dialogo tra Cina e Stati Uniti non può che essere visto con favore, ma è necessario realisticamente tenere conto che nessuno dei problemi sottostanti al conflitto tra le due potenze è risolto o in via di risoluzione. Ci sono contraddizioni interne ai meccanismi di sviluppo economico messi in campo con l’imporsi della fase neoliberista che sembrano sempre più difficile da governare.
Non mancheranno nuovi elementi di tensione e provocazione. Il futuro leader dei repubblicani alla Camera dei Rappresentanti di Washington, Kevin McCarthy (appena eletto), aveva già annunciato che avrebbe seguito le tracce di Nancy Pelosi recandosi a Taiwan. Nel suo viaggio in Asia, Biden ha visitato la Cambogia cercando di spostare questo paese dall’area di influenza cinese a quella occidentale.
Insomma, il quadro complessivo resta in movimento, le tensioni e gli elementi di conflitto restano e nemmeno si può delegare a Biden e Xi Jinping la definizione degli assetti internazionali sulla testa del resto del mondo. Per interrompere la spirale del conflitto resta indispensabile che entrino in campo molti soggetti diversi, ad esempio quegli Stati, come gran parte dell’America Latina, che sono guidati da governo progressisti oltre ad un forte movimento contro la guerra, di cui si sente ancora una grande mancanza.
Franco Ferrari